17 dicembre 2010: l’immolazione di Bouazizi e la scintilla della rivoluzione in Tunisia

Cosa è successo il 17 dicembre 2010 e quale è la situazione attuale della Tunisia, a dieci anni dall'immolazione del giovane Mohamed Bouazizi, diventato il simbolo della Rivoluzione della dignità in Tunisia?
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« Per rendere possibile ciò che era impossibile c’è voluto un ragazzo di Sidi Bouzid, un ragazzo uguale a tutti gli altri. E’ la variabile umana che è indispensabile in ogni mutamento sociale . Non ci sono svolte storiche, non si verificano avenimenti che modificano il corso generale degli eventi se non ci sono esseri umani che li guidano in prima fila, uomini disponibili a pagare il costo di quei cambiamenti. La storia, in altre parole, ha bisogno di uomini. Quella decisiva variabile umana non sono altro che i loro gesti individuali. E Mohamed è il simbolo di tutto questo. Nella massa degli uomini che si sottomettono a una dittatura, a un certo punto uno alza la testa e urla uno slogan, lancia un ordine, incita alla rivolta e, inaspettatamente, la rivolta si realizza, i primi segni del mutamento prendono corpo. La testa di quel primo ribelle sarà la prima a saltare, ma il cambiamento è innescato.

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Ecco cosa deve rimanere di lui : la sua storia, i suoi ventisei anni, le speranze e i sogni, le delusioni e la rabbia di un giovane costretto a vivere in una prigione a cielo aperto come Sidi Bouzid, che a un certo punto solleva la testa, cerca un modo per farsi sentire, consapevole del prezzo che pagherà »

Con queste parole Habib Omri, nel libro « La rabbia e la speranza – storia di Mohamed Bouazizi, il giovane tunisino che ha dato inizio alla primavera araba », scritto con Raffaele Masto e Stefano Vergine, descrive Mohamed Bouazizi. Bouazizi è il simbolo della rivoluzione tunisina : il 17 dicembre, in segno di protesta, si immola davanti alla sede del governorato di Sidi Bouzid, sua cittadina. Il suo gesto sarà la scintilla che innescherà la Rivoluzione della dignità in Tunisia e che porterà alla cacciata, il 14 gennaio 2011, del dittatore Ben Ali.

Una data che da quest’anno, per decreto presidenziale n° 2021 – 223 del 7 dicembre 2021, sarà giorno festivo in Tunisia, più precisamente « festa della rivoluzione », andando a sostituire quella del 14 gennaio, che da marzo 2011 era stata scelta come giornata simbolo della Rivoluzione, in cui l’ex presidente Ben Ali, che governava la Tunisia da ormai 23 anni, a seguito delle proteste scoppiate in tutto il Paese aveva lasciato la Tunisia per rifugiarsi in Arabia Saudita. « Il 17 dicembre è la data anniversario della rivoluzione e non il 14 gennaio – ha detto il presidente Kais Saied -, come annunciato dopo il 14 gennaio 2011. Sidi Bouzid è la scintilla della rivoluzione, là dove tutto ha preso il via, ma sfortunatamente il fervore rivoluzionario si è contenuto durante questo periodo per impedire al popolo di esprimere la sua volontà ». Una decisione che ha diviso ulteriormente il popolo tunisino.

Mahdi Elleuch, analista politico e ricercatore per la ong Legal Agenda Tunis, in un’intervista a Tv5monde ha dichiarato che questa scelta « E’ da legare alla personalità di Kais Saied, appassionato se non addirittura ossessionato dalla storia. Questo costituisce in un primo luogo un tentativo di riscrivere la storia. Lui considera il 14 gennaio, e tutta la transizione democratica che è seguita, come la confisca della rivoluzione. Per lui, la rivoluzione autentica è il 17 dicembre. Poi la volontà popolare sarebbe stata dirottata dalle élites con le sue rivendicazioni politiche e le sue priorità ».

Una decisione, quella di sostituire il giorno di festa nazionale, a cui Saied stava pensando da tempo: il 17 dicembre del 2019, un mese dopo il suo giuramento come presidente della Tunisia, si era recato a Sidi Bouzid per commemorare il gesto di Bouazizi, promettendo di « realizzare le rivendicazioni della rivoluzione » e preannunciando proprio che il 17 dicembre sarebbe stato proclamato giorno di festa nazionale e sostenendo che il 14 gennaio fosse il giorno della « confisca della rivoluzione ». Saied ha inoltre scelto, in questi giorni, il 17 dicembre 2022 come data in cui si terranno nuove elezioni legislative : fino a quel momento, il Parlamento rimarrà sospeso e tante incognite aspettano la Tunisia.

Oggi a Tunisi sono state organizzate due manifestazioni di segno opposto : una di fronte al Teatro municipale in Avenue Bourguiba, dal collettivo « Cittadini contro il colpo di stato » guidato da Jaouher Ben Mbarek, l’altra a sostegno del presidente Kais Saied. E in tutto il Paese sono state indette delle proteste. Le proteste, lo scendere il piazza, sono una delle conquiste della rivoluzione, il potersi riappropriare dello spazio pubblico e poter esprimere il proprio dissenso, sebbene la violenza della polizia e la repressione sia andata di pari passo in questo decennio.

Le rivendicazioni sociali e i movimenti di protesta: due possibili scenari

Secondo l’ultimo rapporto del Ftdes, il Forum tunisino per i diritti economici e sociali, durante il mese di ottobre 2021 ci sono stati 789 movimenti di protesta (21% in meno rispetto a settembre, 78% in più rispetto ad agosto), proteste che nel 76% avevano rivendicazioni sociali. Cifre che, secondo il Ftdes, « Sono indicatori simili a ciò che era successo nell’ultimo trimestre del 2015, dove c’erano state delle tregue dei movimenti sociali nella speranza di veder realizzate le proprie rivendicazioni ». Cosa che non accadde, portando da gennaio 2016 l’avvio di nuove proteste. Numeri che aprirebbero a due possibili scenari : « Il primo è il proseguimento della tregua da parte dei movimenti sociali che hanno organizzato e portato avanti le loro battaglie e che hanno degli accordi che non sono stati ancora messi in atto, come gli operai dei cantieri urbani e coloro che beneficiano dei meccanismi precari del lavoro e delle domande di lavoro nelle tradizionali regioni delle contestazioni come Kasserine, Sidi Bouzid, Gafsa, Gabes e Tatouine e questa situazione dipenderà dalla probabilità con cui il governo stabilirà un piano d’azione con un’agenda chiara per la realizzazione di questi accordi e con delle opzioni economiche capaci di rispondere a coloro che hanno dei diritti economici e sociali. Il secondo scenario vede la rottura di questa tregua e il passaggio verso un’esplosione sociale maggiore alimentata dall’incapacità del presidente e del suo governo, questa volta, a rispondere alle alte attese post 25 luglio ».

E di Bouazizi ce ne sono stati in Tunisia negli ultimi undici anni : le immolazioni sono sempre più frequenti, così come i tentativi di suicidio : 19 quelli registrati nel mese di settembre 2021, uno ogni due giorni, soprattutto nella fascia 26 – 35 anni, 47,4% proprio per immolazione. Slahedine Ben Fraj, professore di sociologia alla Facoltà di scienze umani e sociali a Tunisi, in un’intervista al giornale on line tunisino Gnet news, sostiene che dal 2011 questa pratica è chiamata il « suicidio – show », e rappresenta più di una semplice modo di mettere fine alla propria vita, ma un « modo per trasmettere un messaggio sociale », un fenomeno che ha visto il proliferarsi proprio con l’aumento delle proteste a sfondo economico. « Simboleggia nell’inconscio dei giovani un atto eroico sacrificale, realizzato con l’obiettivo di far sentire la propria voce e quella di tutta una categoria sociale stigmatizzata dal sistema. Queste persone cercano di fare del loro tentativo di suicidio o della loro morte, uno spettacolo, sacrificando il loro corpo per una causa sociale ».

Un dossier sullo scoppio della Rivoluzione tunisina del 2010

Con questi articoli vogliamo aiutarvi a capire cosa è successo il 17 dicembre 2010 : Leila Belhadj Mohamed qui fa un’analisi sulle motivazioni per cui il Paese è scontento dopo dieci anni e sulle possibili conseguenze della crisi attuale; Alice Passamonti recensisce la graphic novel « La rivoluzione dei gelsomini » di Takoua Ben Mohamed ; Giada Frana riporta la testimonianza di Amel Rabhi, insegnante di francese a Kasserine, tra le regioni che hanno dato più « martiri » alla Rivoluzione.

Inoltre vi rimandiamo agli altri articoli pubblicati nei mesi scorsi, dove abbiamo riportato due interventi del convegno “Tawrat al karama – memorie, percorsi e analisi a dieci anni dalla rivoluzione tunisina”Tawrat al karama – memorie, percorsi e analisi a dieci anni dalla rivoluzione tunisina organizzato a gennaio 2021 dal Dipartimento di Civiltà e forme del sapere dell’Università di Pisa. Due giornate dense e interessanti, con una prospettiva che ha voluto tenere insieme sia lo sguardo della sponda nord che quello della sponda sud del Mediterraneo.

Da questo convegno abbiamo scelto due interventi – una scelta ardua visto che sia gli ospiti che gli argomenti portati erano di qualità -: uno di Clara Capelli, economista, sulla situazione economica tunisina. Una scelta voluta e dovuta: sempre più spesso molti invocano i dati economici del pre rivoluzione sottolineando come “si stava meglio quando si stava peggio”: ma la questione è molto più complessa. E poi le testimonianze raccolte da Chiara Diana, dell’Università di Bruxelles, attorno al tema dei minorenni e del loro apporto alla rivoluzione tunisina: un tema poco indagato, poiché non direttamente protagonisti di quelle giornate.

E ancora, il documentario della ong International Alert Tunisia realizzato a Ettadhamen e Douar Hicher, due dei quartieri popolari più grandi della Grand Tunis, dove i giovani prendono la parola e dove ci si rende conto ancora di più dell’enorme divario esistente tra i vari quartieri.

E poi il libro – piccolo ma significativo – “Tunisian girl, la rivoluzione vista da un blog” di Lina Ben Mhenni, blogger e attivista (scomparsa prematuramente a gennaio 2020), sempre in prima linea nel pre e post rivoluzione, che racconta come si è arrivati a riuscire a scacciare Ben Ali e il ruolo dei cyberattivisti e della rete.

E, ultima ma non per importanza, la rubrica “Kelma bi et-tunsi” di Gemma Baccini, che ci accompagna nelle parole della rivoluzione.

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