Alla scoperta del sud tunisino: un’altra Tunisia, con un fascino a cui è difficile resistere

Nel sud della Tunisia la gente è accogliente, le strade generalmente molto più pulite, il paesaggio muta anche radicalmente nel giro di pochi chilometri. La luce è forte. E, cosa davvero impagabile, spesso si è avvolti dall’abbraccio del silenzio, un silenzio assoluto.
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Il tour guidato non è la maniera più amata dai viaggiatori per esplorare, si sa. Difficile che la maggioranza di chi si sposta in cerca di nuovi luoghi e di storie da conoscere si affidi ai viaggi organizzati, forse per una sorta di ritrosia naturale a tutto ciò che ha un organigramma rigido e deciso da altri. E però, di tanto in tanto, possono essere una scelta adatta per ampliare le proprie esperienze affidandosi – se si è fortunati e si sceglie bene – a chi i posti li conosce nel profondo. Per non parlare dei tipi umani con cui si condivide il viaggio e coi quali si dovrà interagire: anche questo, in fondo, è un modo per fare conoscenza.

La mia esperienza di viaggio organizzato è una sei notti alla scoperta della parte a me meno conosciuta della Tunisia. All’aeroporto di Cartagine ci viene a “intruppare” Ridha, un ragazzo berbero, per l’occasione agghindato in costume tradizionale. Nello spiazzo sono parcheggiati dei mezzi bianchi a quattro ruote motrici ed è con quelli che ci sposteremo per il territorio. Ci si guarda, ci si conosce, si parte. E che dire ora? Certo, ci sono le soste e le visite prestabilite ma a raccontarle una in fila all’altra, come in una sorta di guida turistica, si rischierebbe di compilare un elenco noioso. Quindi sì, ecco le tappe: Tunisi, Kairouan, Sbeitla, Tozeur e la sua medina, Chebika, l’oasi di montagna, Chott el Djerid il grande lago salato, Douz e poi, come poteva essere altrimenti, il deserto del Sahara. Alcune di queste esperienze sono state magnifiche, ma preferisco tentare un compendio emozionale di questa piccola avventura, piuttosto che affidarmi alla mera enumerazione delle attrazioni.

Sbeitla - photo credits Rosita Ferrato

Anzitutto, il sud della Tunisia è altro, è diverso. E io ho scoperto di essere una donna di città, benché la città sia Tunisi, abituata ad altri ritmi e contesti. Eppure, per molti, questa parte di Paese rappresenta un’attrattiva particolare, esercita un fascino difficile da resistere e i motivi sono abbondanti e legittimi. La gente è accogliente, le strade generalmente molto più pulite, il paesaggio muta anche radicalmente nel giro di pochi chilometri. La luce è forte. E, cosa davvero impagabile, spesso si è avvolti dall’abbraccio del silenzio, un silenzio assoluto. Nei giorni del tour mi sono arrampicata, scalza, sulle rocce dell’oasi di montagna, ho immerso i piedi in acque fresche, tali nonostante la calura. Acque cristalline che parevano quelle di Fontaine de Vaucluse e nelle quali nuotano piccole rane e zarzumia, una specie di piccola lucertola acquatica.

Mi sono confrontata con tante persone del posto. Gente nata e cresciuta nella bellezza delle oasi ma, allo stesso tempo, costretta a pensare a un futuro – per sé e per i loro cari – lontano dal Paese per la mancanza di prospettive e per la cronica crisi di mezzi. Ho anche trovato, per contro, chi (come me!) dalla Tunisia non se ne andrebbe per nessun motivo. Neanche per una vacanza: è il caso di Sadok, che si è costruito il suo piccolo paradiso, un hotel e ristorante da mille e una notte tirato su da un terreno su cui, un tempo, le uniche cose che proiettavano ombra erano le palme. Ho incrociato visi sorridenti, occhi come perle nere. Ho osservato vipere e scorpioni prigionieri in bottiglia “ma non si preoccupi, madame, perché una volta mostrati ai turisti li rimettiamo in libertà”. E ci ho voluto credere. Ho ancora negli occhi foulard variopinti stesi al sole e cullati dal vento, autisti incoraggiati dai loro stessi passeggeri a prodursi in manovre piuttosto azzardate per superare, con uno spunto di acceleratore, le dune più ripide. Ho ascoltato con piacere e trasporto i suonatori di mesuit, un flauto tradizionale che accompagnava con dolcezza i fuochi serali nel campo. Nel deserto, poi, ho assistito alle movenze sinuose dei danzatori durante una cena beduina. Ho trovato gatti che sono venuti a salutarmi nella stanza del Tente El Bey dove abbiamo dormito.

Chott el Djerid - photo credits Rosita Ferrato

Ho mangiato pane tabouna, e ho vissuto una forte tempesta di sabbia che ha interrotto la nostra escursione nel deserto – ma questa è un’altra storia, e meriterà di essere trattata a parte. Ho vissuto incontri magici: a Tozeur, salendo le scale dell’albergo, mi sono imbattuta nel noto attore e, tra l’altro, protagonista della telenovela Harga (che racconta il dramma dell’immigrazione), Aymen Mabrouk. Il mondo è davvero piccolo e, a volte, sa essere generoso. Ho vissuto momenti di relax in una boutique della medina, un angolo fresco in una mattinata afosa, mi sono persa in chiacchiere e risate di nuovi amici, come Cristhian e Mimmo. E tutto questo in un viaggio organizzato: l’ho dovuto fare, per scrollarmi di dosso alcuni dei pregiudizi che citavo. Sarà difficile dimenticare le bellezze dell’ora del tramonto a Zaafrane, o lo splendido villaggio berbero di Chenini. E così la meraviglia delle case scavate nella montagna a Matmata, mentre ci veniva offerto il pane col miele.

PS Grazie, per tutto, a Tina Rago. Vivere il Sud è un nome azzeccatissimo per la sua iniziativa. Per scoprire i prossimi tour: tina.rago@laltratunisia.it

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