Le scene a cui abbiamo assistito ieri, 14 gennaio 2022, nella giornata che commemora la fuga di Ben Ali, non sono molto diverse da quelle che abbiamo visto nelle manifestazioni degli ultimi anni nel Paese: la polizia ha usato cannoni ad acqua, manganelli e gas lacrimogeni per disperdere centinaia di manifestanti che cercavano di raggiungere l’Orologio dell’Avenue Bourguiba dall’Avenue Mohamed V per manifestare contro il presidente Kais Saied, nonostante il divieto assoluto a manifestare in base alle restrizioni contro il COVID-19.
La polizia ha poi cercato di disperdere diversi gruppi di manifestanti, almeno uno dei quali aveva centinaia di dimostranti. Decine di blindati delle forze dell’ordine si sono fermate nella zona e due cannoni ad acqua sono stati posizionati fuori dall’edificio del ministero dell’Interno, che si trova sulla stessa strada.
Le opposizioni in piazza contro il colpo di stato
La manifestazione è stata organizzata dal movimento “Cittadini contro il colpo di stato”, appoggiato dai partiti dell’opposizione, tra cui Ennahdha, il Partito dei lavoratori e la Coalizione dei partiti socialdemocratici, per manifestare contro la sospensione del Parlamento da parte del presidente Kais Saied, l’assunzione del potere esecutivo e le mosse per riscrivere la Costituzione, definite dalle opposizioni come un vero e proprio colpo di stato.
Alcuni manifestanti hanno sfondato un cordone di polizia prima che le cariche di manganelo, i gas lacrimogeni e i cannoni ad acqua li respingessero. Secondo Fathi Jarai, presidente dell’organismo indipendente contro la tortura, questo è stato l’intervento più violento da parte delle forze di polizia da marzo dell’anno scorso, sia in termini di metodi utilizzati, sia per il numero di arresti.
Dalla commemorazione della fuga di Ben Ali a una giornata di rabbia contro Saied
Perché quest’anno, il 14 gennaio è diventata una data di rabbia contro il presidente, e non una commemorazione per la fuga di Ben Ali? In primo luogo, va ricordato che lo scorso 25 luglio Kais Saied ha sospeso il Parlamento, accentrato nelle sue mani il potere esecutivo, manovrato quello giudiziario, spostato la festa della Rivoluzione dal 14 gennaio al 17 dicembre e, alla fine del 2021, annunciato la volontà di modificare la Costituzione e anticipato le elezioni legislative, che dovrebbero avvenire il prossimo dicembre.
Tuttavia, ha sempre negato le accuse di golpe e ha promesso di sostenere i diritti e le libertà conquistati nella rivoluzione tunisina del 2011, la scintilla che ha innescato le rivolte della primavera araba in tutta la regione. I partiti politici e parte della popolazione, però, non sono d’accordo con Saied.
Alcuni attivisti, manifestando davanti alla Banca centrale, hanno paragonato le mosse di Saied a quelle dell’ex dittatore Zine El Abidine Ben Ali, che ha governato la Tunisia con il pugno di ferro per più di due decenni. Come ogni 14 gennaio, il popolo protesta per spingere le proprie richieste rivoluzionarie. E questa è la dimostrazione che i tunisini restano vigili per non permettere a Kais Saied di ripristinare la dittatura.
La manifestazione di ieri è andata contro la posizione governativa che ha imposto il divieto di tutti i raduni al chiuso o all’aperto, che è stato annunciato martedì per fermare la nuova ondata di COVID-19 dovuta alla diffusione, anche nel Paese nordafricano, della variante Omicron.
Ennahdha, il partito con il maggior numero di seggi in Parlamento, e altri partiti che hanno partecipato alla protesta hanno accusato il Governo di aver introdotto il divieto e di aver ripreso il coprifuoco notturno per motivi politici piuttosto che sanitari, come un modo per prevenire le proteste.
Le questioni legate alle proteste
Fondamentale sottolineare due questioni legate alle proteste. Sono settimane che i manifestanti si radunano nel centro della capitale per mostrare il loro dissenso nei confronti di Kais Saied, anche se il tasso di partecipazione non è mai stato elevato. Anche ieri, il numero di partecipanti era più o meno lo stesso, il che dimostra come anche la base popolare sia ancora spaccata sulla figura di Kais Saied. E proprio perché la partecipazione è stata bassa, è ancora più problematico l’aumento della repressione utilizzata dalle forze dell’ordine. Sembrava davvero di essere tornati al primo trimestre del 2021.
In secondo luogo, tra i target della repressione di ieri ci sono stati, come sempre, i giornalisti. Sono molteplici le testimonianze della stampa locale e dei corrispondenti esteri di istanza a Tunisi, di pestaggi da parte della polizia. Tra gli altri, Mathieu Galtier, corrispondente di Libération e Jeune Afrique, ha riportato di essere stato aggredito violentemente e trascinato tra due camionette della polizia (qui la ferma condanna dell’aggressione da parte dell’Associazione dei Corrispondenti Stranieri in Nordafrica, NAFCC).
Per molti giornalisti è stato quasi impossibile riprendere le aggressioni. È evidente come, ormai, la libertà della stampa nel Paese sia messa a repentaglio.
Mehdi Jelassi, presidente del sindacato nazionale dei giornalisti tunisini (SNJT), ha denunciato lo scorso lunedì sia la repressione governativa, sia l’atteggiamento connivente della televisione di Stato, che segue le direttive presidenziali censurando l’informazione e non invitando più i rappresentanti dei partiti. Solo la televisione privata sta tentando di portare avanti un’informazione indipendente.
Anche l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si è espresso in settimana in merito alla condizione della libertà di espressione e di stampa nel Paese.
Le cose sono davvero cambiate con Kais Saied?
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