In questi giorni si è tanto discusso dell’articolo 80 della Costituzione tunisina, a cui il Presidente tunisino Kais Saied si è appellato, e che a livello giuridico ha fatto sorgere diversi interrogativi. Ne abbiamo parlato con Tania Groppi, professoressa di Diritto pubblico all’Università di Siena e autrice del libro, assieme a Irene Spigno, « Tunisia – la primavera della Costituzione » (Carocci editore, 2015).
Nota : L’ARP, l ‘Assemblea dei Rappresentanti del Popolo, è il Parlamento tunisino monocamerale.
L’articolo 80 recita :
In caso di pericolo imminente che minaccia le istituzioni della nazione, la sicurezza e l’indipendenza del Paese e il funzionamento regolare dei poteri pubblici, il Presidente della Repubblica può prendere le misure necessarie per questa situazione eccezionale, dopo aver consultato il Capo del governo e il Presidente dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo e aver informato il presidente della Corte costituzionale. Queste misure saranno annunciate al popolo attraverso un messaggio alla nazione.
Queste misure devono avere come obiettivo garantire il ritorno nel più breve tempo possibile un funzionamento regolare dei poteri pubblici. Durante questo periodo, l’Assemblea dei rappresentanti del popolo è considerata in uno stato di riunione permanente. In questo caso, il Presidente della Repubblica non può sciogliere l’Assemblea dei rappresentanti del popolo e non può essere presentata una mozione di sfiducia contro il governo.
Trenta giorni dopo l’entrata in vigore di queste misure, e in qualsiasi momento a partire da questa data, il presidente dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo o trenta membri della suddetta Assemblea possono rivolgersi alla Corte costituzionale per decidere sul mantenimento dello stato di eccezione. La Corte si pronuncia in udienza pubblica entro 15 giorni
Queste misure terminano quando hanno fine le circostanze che le hanno generate. Il Presidente della Repubblica rivolgerà un messaggio al popolo al riguardo“.
« La Costituzione tunisina del 2014, considerata una buona Costituzione in quanto risponde ai principi di costituzionalismo del XXI° secolo, presenta un problema, legato alla parte riguardante la forma di governo, in particolar modo il rapporto tra il governo e il Presidente, ma non solo : anche il rapporto di quest’ultimo con il Parlamento non è chiaro. Tra Presidente e Primo ministro ci sono sovrapposizioni di competenze che possono generare conflitti. Vi è quindi un dualismo nel potere esecutivo, risultato del compromesso del 2013, ottenuto tramite la mediazione del Quartetto per il dialogo nazionale (composto da quattro organizzazioni della società civile che nel 2013 evitarono lo scoppio di una guerra civile, ndr) : da una parte vi era infatti Ennahda che voleva una forma di governo parlamentare per controllare meglio la maggioranza politica, dall’altra i laici che volevano seguire la tradizione e puntare a una forma più presidenziale, pensando che in questo tipo di elezione avrebbero avuto la meglio. Tutti erano consapevoli dei rischi e del fatto che questa forma indefinita potesse portare a conflitti tra il Presidente e il governo, ma si pensava che a livello giuridico vi fosse una via d’uscita, data dalla Corte Costituzionale. Questo organo, che doveva essere creato già sette anni fa, ad oggi non esiste.
Il problema dei rapporti tra Presidente della Repubblica e primo ministro, che rappresenta un punto debole della Costituzione tunisina, poteva comunque essere risolto in più modi: in primo luogo, come appena detto. con la creazione di una Corte Costituzionale; in secondo luogo con il raggiungimento di un consenso che permettesse la revisione della Costituzione ; in terzo luogo con lo sviluppo di una prassi basata su accordi e negoziazioni tra le varie forze politiche, accordi non per forza messi per iscritto, ma tali da generare, nel tempo delle vere e proprie consuetudini costituzionali. Tuttavia, ciò è assai difficile in una nuova democrazia, dove c‘è bisogno di regole scritte. Anche gli anni dal 2014 al 2019 hanno visto rapporti assai complicati tra Presidente e governo, ma vi era una maggioranza uniforme che sosteneva il Presidente e il governo : i difetti sopracitati della Costituzione tunisina si sono visti meno, anche se ci sono state tante crisi di governo, diversi primi ministri e diverse problematiche, ma non così eclatanti a livello di rapporto con gli organi costituzionali.
Il vero problema è sorto con le elezioni del 2019 : da lì è emersa un’Assemblea dei rappresentanti del popolo frammentata. E ciò riporta, a livello giuridico, al problema legato alla legge elettorale, che è totalmente proporzionale, senza nessun correttivo, e consente anche con pochissimi voti di essere eletti in Parlamento. Un Parlamento così frammentato, a cui si è aggiunta la crisi totale dei partiti non islamisti, con l’implosione di Nidaa Tounes che ha lasciato un grande vuoto nello schieramento laico, a cui si aggiunge la frammentazione storica della sinistra tunisina. L’elezione di Rached Ghannouchi (Ennahda) come presidente dell’Assemblea dei Rappresentanti del popolo non ne ha facilitato i lavori. Ma soprattutto sono mancate delle norme volte a rendere coesi i gruppi parlamentari e a ridurre la frammentazione del parlamento.
I costituzionalisti tunisini chiedono da diversi anni una riforma costituzionale, in cui venga rivisto il rapporto tra il Presidente e il Primo ministro, o perlomeno la modifica della legge elettorale, in modo che l’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo non ne esca così frammentata. In tutti i Paesi quando si deve affrontare una crisi politica bisognerebbe modificare le norme, ma ci si trova di fronte al cosiddetto « paradosso delle riforme », a un circolo vizioso : se non vi è una maggioranza coesa, non si riesce ad arrivare a delle modifiche e così, quando c’è più bisogno di riforme, non si riesce a realizzarle.
L’articolo 80 va quindi letto in questo contesto giuridico più ampio. E’ un articolo che noi non abbiamo nella Costituzione italiana, ma riprende quella francese ed esiste anche in molte altre che hanno scelto di disciplinare i poteri in caso di emergenza. Questo articolo a livello giuridico ci pone dinnanzi a diversi interrogativi. In primo luogo : ci si può appellare ad esso in mancanza di una Corte Costituzionale ? Mi pare di poter dire che si può fare : l’assenza di questo organo non impedisce di poter ricorrere ai poteri di emergenza, semplicemente si bypassa la consultazione dell’organo non ancora istituito, il cui intervento è sì importante, ma non essenziale nella procedura in esame. L’altro punto riguarda invece il contenuto dei poteri di emergenza, lo spazio della discrezionalità del Presidente, sia nel decretare lo stato di emergenza, che nel decidere quali misure assumere. Questo articolo prevede che l’Assemblea dei rappresentanti del popolo sia convocata in maniera permanente, il che appare difficilmente compatibile con il contenuto della decisione presidenziale : Kais Saied ha infatti congelato per trenta giorni le attività parlamentari. Questo sembra il punto più problematico, anche a dare un’interpretazione dei poteri presidenziali molto ampia.
Credo però che occorra introdurre un altro elemento, per meglio comprendere la scelta del Presidente tunisino : la drammatica situazione di emergenza in cui si trova la Tunisia. Da mesi il Paese vive una situazione emergenziale su più fronti : sanitario, economico, sociale, a cui va sommata la crisi istituzionale legata ai conflitti tra il Presidente, il governo e il Parlamento, senza una maggioranza parlamentare chiara e in cui il Parlamento e il governo sono bloccati e incapaci di prendere decisioni politiche. In questo quadro si colloca il gesto di Kais Saied, a mio avviso un gesto coraggioso : si è assunto il rischio e la responsabilità di leggere in maniera estensiva l’articolo 80, forzando la norma per rispondere a una realtà problematica, a dei dati di fatto che probabilmente impedivano di attendere ulteriormente l’adozione di queste misure emergenziali.
Chiaramente bisogna muoversi in un quadro normativo. La situazione, vista da un osservatore esterno, avrebbe dovuto portare allo scioglimento del parlamento, ma il Presidente non ha questo potere, se non nel caso in cui il Parlamento sfiduci il governo. Di fronte a questo vero e proprio blocco politico, la soluzione più logica sarebbe stata il ritorno alle urne, previa la revisione della legge elettorale. In questo contesto il Presidente ha quindi ritenuto, probabilmente, che il male minore fosse forzare un po’ l’articolo 80. Una situazione non nuova quando si tratta di affrontare emergenze, che spingono i decisori politici a richiamarsi alla necessità come fonte di legittimazione, anche oltre lo specifico quadro normativo previsto per le situazioni di emergenza. Naturalmente, misure di questo tipo, basate sullo stato di necessità, devono avere una durata temporale limitata ed essere proporzionate rispetto alle situazioni fattuali da affrontare.
Una volta compiuto questo gesto da parte del Presidente, le diverse forze della società tunisina dovranno mettersi in moto, per dare il via a un vero dialogo nazionale che possa avviare e supportare le riforme indispensabili per il Paese, una sorta di « governo Draghi » tunisino. Questo utilizzo del potere di emergenza può essere visto come un appello a tutti i soggetti, politici e sociali, a mettere da parte le proprie divergenze per il bene del Paese. Se la Tunisia riuscirà davvero a mantenersi un’eccezione – come è sempre stata dipinta – rispetto agli altri Paesi dell’area, lo vedremo in questa difficile prova ».
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