“Il momento populista in Tunisia”: si intitola così il webinar organizzato dal Centro Arabo di Ricerca e di Studi Politici (Carep) di Parigi, che ha visto l’intervento di Asma Nouira, professoressa associata di Scienze politiche all’Università di Tunisi El Manar, che ha illustrato questo fenomeno nel Paese nordafricano. Riportiamo qui di seguito il suo intervento.
“Il termine populismo in Tunisia è apparso ed è diventato un elemento del linguaggio politico da più di trent’anni, ma attualmente vi è una connotazione peggiorativa nel suo utilizzo. Il populismo in sé non è qualcosa di negativo; da qualcuno è visto come qualcosa di positivo, poichè va ad aggiustare i problemi della democrazia rappresentativa, mentre per altri è negativo e può affossare il gioco democratico. Per quanto riguarda la Tunisia il punto di partenza sono le elezioni del 2019: nonostante il termine sia apparso ed utilizzato nel linguaggio politico qualche anno prima, dai politici per screditarsi l’uno contro gli altri, le elezioni del 2019 hanno dimostrato e hanno dato l’occasione a delle forze e a degli attori populisti di emergere.
Queste elezioni e l’ascesa del populismo hanno mostrato come la crisi sia profonda in Tunisia: se i populisti hanno vinto, è perché vi è una domanda populista. Abbiamo visto durante le elezioni, in particolar modo durante le elezioni presidenziali, come la maggior parte, se non la quasi totalità dei candidati, abbiano utilizzato un linguaggio populista. Anche a livello delle legislative, delle forze politiche hanno utilizzato un linguaggio populista. Ci sono delle forze populiste che si costruiscono non unicamente come un fenomeno passeggero e con un linguaggio utile solo per una campagna elettorale, ma piuttosto come un fenomeno che si installa e che prende ma mano forma. Il risultato delle elezioni legislative presidenziali ha dimostrato che c’è una forte domanda populista in Tunisia”.
Le caratteristiche del populismo in Tunisia
“Bisogna ricordare che la rivoluzione ha in qualche modo preparato il campo per il momento populista, anche attraverso gli slogan: per esempio “el shab iurid”, “il popolo vuole” ha dato la sensazione al cittadino medio che poteva criticare, far andare via l’élite con ciò che adesso chiamiamo il dégagisme in diversi campi, come l’università, dove i sindacati urlano “dégage” (“vattene”) al personale amministrativo; si è visto anche nelle fabbriche, con gli operai che urlano “dégage” al proprietario. La rivoluzione ha quindi dato questa sensazione al popolo di poter criticare e mandare via l’élite, che sia politica, economica o qualsiasi altro tipo di élite.
Questo popolo vede dunque il suo potere confiscato da un’élite; a ciò si aggiunge la questione della sovranità e abbiamo assistito all’ascesa della francofobia: mentre il populismo in Occidente è verso gli stranieri, soprattutto legato al fenomeno dell’immigrazione, in Tunisia il nostro nemico straniero è in particolar modo la Francia più che altre forze occidentali. C’è anche la teoria del complotto, un rapporto ambivalente con i media e il culto del soggetto”.
Caratteristiche del populismo: critica dell’élite, sovranità e teoria del complotto e rapporto ambivalente con i media
« La critica dell’élite è al cuore stesso del populismo: è quest’idea che è centrale, quella di un popolo puro tradito da un’élite corrotta. Un linguaggio trasversale sia nei candidati delle elezioni legislative che presidenziali, ma bisogna ricordarsi che questo popolo è una finzione: non corrisponde alla popolazione, al cittadino né in senso giuridico, né in senso filosofico; il popolo è una finzione non definita dal populista. Un altro argomento chiave che si ritrova nel discorso populista è che lo Stato ha fallito, è ostaggio di un’élite corrotta. La seconda caratteristica del populismo è la sovranità, che si può legare alla teoria del complotto. A volte si accusano i servizi segreti stranieri di organizzare degli omicidi o di entrare nei giochi politici tunisini, ma abbiamo trovato anche questo aspetto di animosità nei confronti della Francia. La Francia è l’antica potenza coloniale: secondo i populisti continua a esurpare le risorse naturali. Questi elementi si ritrovano in più candidati, come ad esempio Seifeddine Makhlouf di Al Karama.
Un’altra caratteristica è un rapporto ambivalente con i media: i populisti sono ostili ai media nonostante ne siano la creazione. Prendiamo l’esempio di Kais Saied, ma ci sono anche dei populisti che sono proprietari di qualche canale mediatico come Nabil Karoui. Rispetto ai media tradizionali utilizzano i cosidetti media alternativi: facebook ,twitter, youtube e così via. C’è un altro elemento molto importante nel populismo, che è un elemento molto pericoloso: le fake news, ossia delle notizie false. Anche se si prova che l’informazione è falsa, lei comunque continua a perdurare ed è propagata su grande scala attraverso facebook. I populisti utilizzano le fake news nei loro discorsi. Ad esempio diverse fake news hanno dato vita a dei movimenti, come “Winu el petrol”, “dove è il petrolio”, dove si pretende che ci siano delle risorse naturali in Tunisia; tutto si è costruito attorno a questa informazione, anche se degli specialisti hanno dimostrato che non fosse del tutto vera: abbiamo delle risorse, ma non fino a questo punto. Queste informazioni hanno dato vita a un movimento che si appella “winu el petrol”, un movimento importante che ha giocato un ruolo significativo nella nascita del populismo in Tunisia prima delle elezioni del 2019”.
In Tunisia esistono tre tipi di populismo: antirivoluzionario, social – liberale e radical – conservatore
“Seguendo questi criteri possiamo definire tre tipi di populismo in Tunisia: il populismo antirivoluzionario, incarnato da Abir Moussi e dal partito desturiano; il populismo social – liberale che difende i poveri, incarnato da Nabil Karoui (Qalb Tounes), e infine il populismo radical – conservatore che si rifà al movimento rivoluzionario, ma sulla base di valori conservatori, incarnato da Kais Saied. Questi tre populismi hanno creato una terza cultura, ossia una cultura né di destra né di sinistra.
Per quanto riguarda il populismo controrivoluzionario, incarnato da Abir Moussi, sovranista, che vede nella rivoluzione una cospirazione realizzata dalle forze straniere, fa apertamente l’elogio dell’ancien régime, non riconosce la Costituzione del 2014, vuole instaurare un regime presidenziale; un populismo piuttosto conservatore: si è pronunciata apertamente contro l’uguaglianza nell’eredità uomo e donna o la legalizzazione dell’omosessualità e così via. E qui evidentemente è per piacere alla massa, che è la preoccupazione maggiore dei populisti.
Per quanto riguarda il populismo social – liberale, abbiamo due personaggi che lo incarnano perfettamente: Hachemi Hamdi, che è sulla scena politica dal 2011 e che mantiene questo discorso populista dalle elezioni dell’assemblea nazionale del popolo, riprendendo lo stesso discorso nel 2014 e nel 2019, quando si è presentato alle elezioni presidenziali. Il suo discorso si fonda sulla difesa dei poveri, lo “zaweli”, colui che non ha niente. Fa delle promesse irrealizzabili per attirare le simpatie di questa categoria della popolazione. Il secondo personaggio, prodotto del 2019, è Nabil Karoui, che è arrivato al secondo turno delle presidenziali. Si pone come il difensore del popolo povero e fa in un certo senso un populismo alimentare, ossia la parola d’ordine di Saied era “il popolo vuole”, quella di Karoui “il popolo è povero”.
Il terzo tipo è il populismo dell’attuale presidente, un populismo radical – conservatore, che si basa sui movimenti rivoluzionari del 2011, ma con un fondo conservatore, non è né islamista né secolare“.
Il populismo di Kais Saied: mitificazione del popolo, dualismo istituzionale e culto della personalità
“Si possono tratteggiare quattro elementi del populismo di Kais Saied. Il primo è la mitificazione del popolo, aspetto che è al cuore del populismo: inventa un popolo immaginario; il popolo non è la popolazione, non sono i cittadini, non definisce il popolo, ma il popolo secondo lui è la volontà, “el shab iurid”, “il popolo vuole”, ha ripreso questo slogan della rivoluzione, ma lo sappiamo ciò che vuole il popolo? Non lo sappiamo, ma lui lo sa, lo dice, “il popolo sa ciò che vuole”. E ciò lo dispensa dall’avere un programma politico: quando si fa una domanda sul programma politico risponde “il popolo vuole e il popolo sa ciò che vuole” e non smette di dire che il popolo è il principale attore, che farà ciò che il popolo vuole.
Il secondo elemento del suo populismo è un dualismo istituzionale: ha raddoppiato le istituzioni, creando dei consigli paralleli, come se volesse raddoppiare il sistema. Qui si iscrive perfettamente nella tradizione populista, rifiutando la democrazia rappresentativa: ed è per questo che non smette di criticare il parlamento, perché quest’ultimo è costituito da persone che hanno usurpato la volontà popolare. E’ un progetto nel quale il popolo va a riprendere o esprimere questa volontà attraverso un sistema che va dal basso verso l’alto, dunque delle elezioni che vanno dal basso verso l’alto; si andrà ad eleggere dei consigli dal basso, poi questi consigli andranno ad indire altri consigli, man mano crescendo. Durante la campagna elettorale il progetto non era chiaro, nemmeno ora è ancora chiaro, ma era portato avanti in tutte le campagne esplicative dalla sua équipe attraverso facebook e sui media. A due anni dalle elezioni riprende questi discorsi, riprende il progetto in maniera diretta, ma questo dualismo istituzionale si prolunga a livello costituzionale, poiché rimetteva in questione la Costituzione del 2014; aveva promesso che avrebbe cambiato la Costituzione se fosse stato eletto, ha mantenuto la sua promessa, lanciando un referendum online per dare vita a una nuova Costituzione.
Il terzo elemento è il culto della personalità: anche i suoi addetti ai lavori lo hanno soprannominato “Cesare” nella campagna esplicativa, aveva il ruolo di educatore nei confronti del popolo. Una volta al potere è ancora critico nei confronti dei personaggi politici, i parlamentari, i ministri, il governo, praticamente ha ingannato l’opposizione nonostante fosse anch’egli nel sistema. Si poneva come un antisistema, ma era nel sistema; si presentava come il salvatore, incontrava i giovani, coltivava questo culto della personalità.
Il quarto elemento è il fatto che lui rappresenta un mix inedito tra delle idee che provengono a volte dalla destra conservatrice, altre volte dalla sinistra protestatrice, quindi sono delle forze che si incontrano. Il portavoce di Hizb ut-Tahrir diceva che era una nuova pagina che si apriva in Tunisia, in un contesto regionale rivoluzionario; allo stesso tempo nella sua campagna ci sono dei personaggi che appartengono all’estrema sinistra, la sinistra leninista marxista”.
Venti pagine facebook a supporto di Kais Saied
“La terza cultura di cui ho parlato in precedenza si è propagata soprattutto attraverso i social network, attraverso facebook. Sul piano puramente tecnico è veramente difficile definirla, ma abbiamo identificato una ventina di pagine che supportano Kais Saied. La più vecchia è del 2012, la più recente del 2019 e dunque si iscrive nella continuità. Nei gruppi il numero varia da qualche centinaia a delle migliaia. La popolazione è varia: ci sono giovani e meno giovani, con differenti livelli di istruzione. Per la maggior parte dei casi sono tenute da persone anonime, solo di quattro conosciamo il nome. Se analizziamo il discorso che si ritrova in queste pagine, non c’è una frontiera ideologica tra le varie idee, ma un mix, per esempio il rifiuto dell’abolizione della pena di morte; c’è un’ostilità verso il sindacato Ugtt; c’è un odio verso gli altri populisti come Abir Moussi e Nabil Karoui, mentre c’è un modo di fare un po’ relativizzato nei confronti di Al Karama.
Si trova anche del nazionalismo arabo: se da un lato c’è una sensibilità alla causa palestinese, dall’altro lato non si trovano delle persone che supportano invece la crisi dello Yemen o la questione libica. Nella maggior parte dei casi sono sostenitori della teoria del complotto, di una mano invisibile che fa muovere le cose. Propagano dalle fake news, come il fatto che la Tunisia abbia delle risorse in oro e in petrolio e soprattutto che la Francia stia rubando le risorse naturali della Tunisia e hanno messo anche in dubbio l’indipendenza stessa della Tunisia. Vi è una concentrazione sulla Francia e non si trova nulla verso le altre forze occidentali, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna o gli altri paesi europei”.
La vittoria del populismo in Tunisia : un chiaro sintomo di una crisi politica, economica e culturale
“Come si può spiegare questa vittoria del populismo nel 2019? Il populismo è l’espressione di una crisi politica, economica e culturale, ma tutti gli elementi erano presenti prima del 2019. Se si torna indietro e si guarda a ciò che è successo dal 2011, si ritrovano questi elementi che hanno permesso la vittoria delle forze populiste nel 2019. A livello politico vi è la crisi dell’élite, ci sono i modernisti che hanno perso la battaglia delle idee, ma ci sono anche delle migliaia di persone giovani e meno giovani che esprimono il loro odio verso questa élite modernista, descrivendola come un’élite lontana dalle loro preoccupazioni, opportunista, che va da loro solo in occasione delle elezioni.
Dal 2011 c’è stato un degrado dell’immagine del politico: il populismo del 2011 ha permesso l’accesso al potere a delle persone che non sono dei politici, che non hanno mai fatto della politica e che hanno dato un’immagine molto negativa della politica. Un’immagine perdurata anche dopo le elezioni del 2014: il Parlamento era il luogo pubblico dove si vedeva la scena politica e dove il popolo tunisino guardava il politico, vedendo come agisce. Quindi si vedeva lo show parlamentare con le violenze, sia fisiche che verbali, all’interno del Parlamento; c’era ciò quello che il tunisino chiama il turismo politico, ossia i parlamentari che cambiavano partito; c’era un forte assenteismo e anche una qualità molto mediocre del dibattito, sia all’interno del Parlamento che di fronte alle telecamere. Per questo motivo il popolo tunisino ha costruito un’immagine molto negativa del politico e dell’élite politica”.
Sfiducia nei partiti e nelle istituzioni
“C’è anche una perdita di fiducia nelle istituzioni: la crisi dell’esecutivo, ricordiamoci la crisi delle due teste dell’esecutivo, che risalgono al presidente precedente Essebsi e poi è continuata con Kais Saied. E poi purtroppo le plenarie parlamentari erano riprese dalle televisioni e condivise soprattutto su facebook. C’è anche il problema della giustizia: le persone non hanno più fiducia in essa; la questione dell’indipendenza della giustizia è stata dibattuta e dibattuta. C’è anche la capacità del governo di lottare contro la corruzione, che diventa sempre più estesa, con persone corrotte e nominate anche nei posti di decisione all’interno dello stesso Parlamento.
Da un lato le elezioni presidenziali hanno dimostrato che le persone non hanno dato più fiducia ai partiti, scegliendo dei candidati indipendenti che sono stati eletti, mentre le elezioni legislative hanno lasciato un margine: le liste indipendenti non hanno vinto le legislative, contrariamente a quanto accaduto invece nel 2018 con le elezioni a livello locale. Certamente ci sono altri fattori che spiegano la vittoria delle liste indipendenti nel 2018, ma per quanto riguarda il sistema dei partiti, si è vista la nascita di nuovi partiti, altri partiti disgregarsi come Nidaa Tounes, e quindi la fiducia nei partiti è venuta sempre meno”.
Crisi economica e crisi identitaria per un populismo che durerà nel tempo
“A livello economico la crisi perdura: c’è un divario sempre più ampio tra poveri e ricchi, dunque un deterioramento della situazione economica; un’ assenza di soluzioni adeguate alle sfide che il Paese sta affrontando. Tutto ciò è stato un contesto favorevole, oltre alle fake news (come il movimento winu el petrol) È un discorso, quello del fatto che la Tunisia abbia le risorse ma sia spogliata dalla Francia e dalle altre forze occidentali, che è nato prima del 2019: questo movimento data 2015, ma questo discorso continua anche con lo stesso presidente Kais Saied. Non si è smesso di nutrire queste informazioni, per giustificare in qualche modo i problemi economici che nemmeno il governo è riuscito a risolvere.
Dal 2011 c’è anche una crisi identitaria, non bisogna negarla, e questo può darsi che abbia generato una sorta di xenofobia nei confronti degli stranieri, il sentimento di essere vittima di un complotto dell’Occidente. Dunque un contesto davvero favorevole all’ascesa del populismo, c’era una forte richiesta. E d’altra parte le numerose inchieste sociologiche, portate avanti da sociologi, politologi, sondaggi, barometri politici, hanno dimostrato tutto questo, ma l’élite politica non ha voluto vedere, non ha davvero visto il populismo arrivare, per più ragioni. Kais Saied e Nabil Karoui hanno costruito il loro discorso per rispondere a questa domanda di populismo e il risultato è di fronte ai nostri occhi. Si tratta di un fenomeno passeggero o di un fenomeno che durerà nel tempo? Credo che vivremo il populismo per un po’ di tempo”.
Qui potete vedere il webinar (in francese).
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