Dopo le proiezioni dei cortometraggi in lingua originale, durante la seconda giornata al Catania Film Fest dedicata alla Tunisia, si è svolto un panel dedicato al rapporto tra la Sicilia e la Tunisia, due sponde del Mediterraneo che non condividono soltanto la vicinanza geografica. Condotti dalla giornalista Laura Silvia Battaglia, gli ospiti Mohammed Challouf, regista, Giada Frana, direttrice de “L’altra Tunisia”, Rosario Sapienza, antropologo e Marta Bellingreri, giornalista, hanno discusso, tra i tanti temi affrontati, di frontiere e migrazione, sviluppo economico e degli sguardi giornalistici sulla Tunisia.
Approdi mediterranei. Sognare e illudersi tra Sicilia e Tunisia
«La Sicilia non possiamo considerarla al cento percento Europa e La Tunisia non possiamo considerarla al cento percento Africa. Entrambe sono terre di mezzo. Non c’è un noi e un loro, c’è un continuum»: a dichiararlo è l’antropologo Rosario Sapienza. Al centro del discorso, la vicinanza, non soltanto geografica, di queste due sponde del Mare Nostrum, Sicilia e Tunisia, che hanno un forte legame che investe diversi aspetti: «Siamo terra di confine: noi siamo l’Europa che si affaccia all’Africa – prosegue Sapienza –, la Tunisia è l’Africa che si affaccia all’Europa». L’antropologo ha, così, evidenziato la grande fortuna dell’Europa di poter dialogare con zone geografiche contigue, fortuna ancora parzialmente considerata. C’è ancora molto da lavorare, ma è indubbio che queste zone geografiche vicine rappresentino un futuro positivo: «Un confine invalicabile nel quale le umanità soffrono l’attraversamento, quando in realtà è ovvio che il futuro più razionale, visionario e più prolifico è quello di attraversare questo confine» ha spiegato l’antropologo. «Le opportunità economiche dello sviluppo sono date dallo sfruttare le vie commerciali, che cercano di colmare delle discontinuità. E questa disponibilità non sta in Europa, ma ai suoi bordi: il sud est e il sud sono le frontiere».
La frontiera da attraversare
La questione della frontiera è un concetto chiave, in vista di un importante sviluppo Mediterraneo, rappresentato dall’apertura alla Tunisia e a tutte le terre di confine. L’antropologo Sapienza pone la riflessione considerando il particolare momento storico, che conduce alla necessità di «attraversare tale frontiera»: «Non abbiamo altra opportunità se non aprire l’Europa in un momento in cui la globalizzazione mostra tutte le sue spigolosità, i suoi rischi ambientali, d’impatto sociale, di scarsa sostenibilità. La Tunisia ha avvicinato l’apertura progressiva a questa diversità che non è così drastica, per trovare dei mercati di continuità in un mondo che è l’unico che ha un margine di sviluppo, cioè il Sud est – e quindi tutta l’Asia Minore, la parte relativa all’Africa subsahariana – in cui gli attori protagonisti sono quelle terre di mezzo che possono garantire questa transizione».
La frontiera rappresenta un’opportunità e non un problema: «Se l’Europa vuole riposizionarsi in questo scacchiere geopolitico in rapidissima evoluzione, deve guardare all’esterno». Qual è, allora, il miglior modo per affrontare la questione nel nostro continente e «come fa un siciliano a convincere la fortezza Europa che queste terre di mezzo non sono un problema, non sono un’emergenza, ma sono un’opportunità?» domanda Laura Silvia Battaglia. «Nessuno deve convincere l’Europa che la Tunisia è l’ultima cartuccia che possiamo spararci per dimostrare che c’è una maniera di andare avanti insieme. L’Europa e il Fondo Monetario Internazionale versano una marea di soldi al Nord Africa e in particolare alla Tunisia. E se perdessimo quest’ultima, ci ritroveremmo probabilmente in una situazione di non ritorno, in una logica di dialogo. Dipende dalla nostra capacità di sfruttare un’occasione che ci viene offerta».
Scambio storico tra Sicilia-Tunisia e media italiani
Il regista tunisino Mohammed Challouf ha posto l’accento proprio su questo «scambio» tra i due Paesi mediterranei, anche, e soprattutto, da un punto di vista culturale, che potrebbe essere la vera chiave di volta per la spinta alla cooperazione e alla crescita economica dei Paesi coinvolti: «Il nostro dialetto è un misto tra berbero, arabo, francese e italiano e anche a livello gastronomico esiste un’influenza. I tunisini hanno imparato la pesca del tonno attraverso l’esperienza acquisita frequentando pescatori siciliani, che si erano stabiliti in Tunisia. Anche se la cultura più diffusa in Tunisia resta quella francese – perché l’Istituto di Cultura della Francia qui ha molti mezzi per organizzare varie iniziative -, ogni volta che ho organizzato qualcosa sulla cultura italiana, era presente la Sicilia. Però l’Italia investe pochissimo per far arrivare cinema, cultura e arte in Tunisia, non ha i mezzi. Purtroppo, l’informazione in Italia è diventata spettacolo, la televisione italiana non dedica spazio al cinema e alla cultura tunisina, rimane tutto concentrato sulle attività della società civile».
Lo sguardo alternativo de “L’Altra Tunisia”
Malgrado la realtà miope dei media, in Italia esistono progetti giornalistici che lavorano su questo scambio culturale con la Tunisia. «C’è qualcuno che sulla Tunisia non solo ci ha provato, ma ci ha creduto in un modo incredibile». Laura Silvia Battaglia introduce così, la giornalista Giada Frana, direttrice de “L’Altra Tunisia”, progetto nato per bloccare questa unica informazione riguardante soltanto sbarchi di minorenni, possibile pericolo jihadista che veicolava tra i media italiani. In collegamento da Bergamo, Giada Frana ha spiegato le motivazioni che l’hanno spinta a creare il sito: «Ho vissuto per due anni in Tunisia e mi sono accorta che era un laboratorio sociale, pieno di vitalità. C’era tanto da raccontare sulla Tunisia, così ho deciso di farlo a 360 gradi, con un altro sguardo nella sua quotidianità e nelle sue sfaccettature». “L’Altra Tunisia” nasce, pertanto, come portavoce di notizie e storie sul paese Nordafricano, come testimonianza di questo scambio. Attraverso il racconto di storie di italiani in Tunisia o tunisini in Tunisia o in Italia, ma non solo, propone una narrazione diversa sulla Tunisia: «Abbiamo raccontato qualcosa che rompe un po’ gli stereotipi di genere – illustra Giada Frana -, come un’accademia di dj per donne in Tunisia. Un dj donna non è una cosa che si vede sempre, neanche qui in Italia. Raccontiamo anche storie di coppie miste formate da italiani e tunisini e storie di seconde generazioni di tunisini, i nuovi italiani, che vivono in Italia e che, conoscendo la Tunisia soltanto d’estate perché paese d’origine dei loro genitori, hanno deciso di ritrovare le loro radici riscoprendo la Tunisia».
La migrazione non è un’emergenza
Si parla di un flusso continuo di individui che, nella storia, hanno dialogato continuamente. Una storia comune che, talvolta, viene negata, ma si tratta di guardare nella giusta prospettiva e considerare i problemi che sussistono ancora, secondo Rosario Sapienza: «La migrazione è ancora vista come emergenza. Inoltre, i problemi ci vengono proposti come ansiolitico – sapere che abbiamo tanti problemi ci fa sentire meno responsabili, quando invece ci sono tante responsabilità che ci dovrebbero responsabilizzare». Non è l’immigrazione ad essere un problema, ma la «maniera in cui viene gestita oggi, non possiamo negarlo. Le migrazioni dovrebbero essere più aperte e reversibili, in una prospettiva di mobilità. Lavorare in Tunisia è sicuramente una priorità, sono gli scambi che fanno la differenza, non certo l’incremento di un flusso unidirezionale e con scelte di vita obbligate».
La crisi della Tunisia di oggi
La Tunisia sta affrontando una difficile realtà, con la carenza di alcuni beni di prima necessità nei supermercati e con l’abbassamento delle condizioni di vita. Come ha spiegato il regista Mohammed Challouf, si tratta, certamente, di un «disagio mondiale, che da noi è più accentuato perché stiamo vivendo un momento difficile. Dopo la dittatura di Bourguiba, è arrivata una dittatura di ventitré anni, quella di Ben Ali, che ha fatto una confusione incredibile presso il popolo tunisino che non sa più come comportarsi. Tutto è stato bloccato, come le risorse naturali, e dal 2011 non siamo ancora riusciti a ritrovare la vita produttiva, economica. Mancano tanti beni, non dò la colpa solo a chi ci governa, che ha l’80 percento delle colpe ma anche alla popolazione tunisina, che non si sta dando da fare. Ognuno chiede il suo diritto, ma pochi pensano al loro dovere».
Dalla Rivoluzione ai supermercati senza zucchero
«La Tunisia di oggi mostra forse che le principali richieste della rivoluzione sono state disattese, perché la prima richiesta riguardava i diritti socio-economici – è stata chiamata la “Rivoluzione della dignità”». A spiegarlo è stata la giornalista Marta Bellingreri, la quale ha illustrato le problematicità nelle quali vive la popolazione tunisina. Gli ultimi anni, in Tunisia, sono stati costellati da incremento della disoccupazione, vulnerabilità, fragilità sociali e con il protagonismo della corruzione che ha trovato terreno fertile. «Il 25 luglio 2021, il colpo di stato del presidente Kaïs Saïed, il quale ha congelato il Parlamento, ha interrotto quel percorso politico intrapreso dalla Tunisia. Il nuovo presidente ha avuto molti appoggi – ma non tutti ci hanno creduto –, in quanto il suo obiettivo era quello di combattere la corruzione, ma è apparso più un tentativo di strozzare questo processo democratico. La pandemia e la crisi che ha toccato molti Paesi dipendenti dal grano ucraino ha portato la situazione al culmine». La Tunisia è anche una fucina di iniziative artistiche, dove persistono forza e voglia di cambiamento: «Permangono vitali tanti settori della società civile, nonostante onde di depressione rispetto a delle delusioni. In un festival d’arte femminista con performance e conferenze sull’ “artivismo”, ovvero sull’arte e l’attivismo, a Tunisi si sono riunite artiste provenienti da Africa ed Europa. A settembre c’è stato un forum di scienze sociali e un’altra iniziativa femminista che testimonia questa vitalità. Anche in una piccola realtà può, quindi, accadere e da lì è partita, con la rivoluzione, un’onda che ha cambiato per sempre, spesso con conseguenze negative, la mente l’immaginario, la società. Oggi c’è un tentativo di resistere al fatto che la Tunisia si possa trasformare in una dittatura. Questo ci dice che dovremmo essere maggiormente vicini alla Tunisia, per sostenere quel processo democratico che non merita assolutamente di essere perduto».
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