Aveva solo sei mesi quando la madre la portò in Italia, per raggiungere il marito, arrivato nel Belpaese nell’86. Takwa Haddad, 27 anni, ora vive in Tunisia, dove lavora nell’ambito della cooperazione internazionale. Una scelta nata dalla voglia di mettersi in gioco concretamente nel l’ambito che stava studiando : « Le seconde generazioni non hanno mai radici e non sanno mai dove andranno a vivere : per questo motivo si tende a studiare tutte le lingue possibili. Io stessa ho frequentato il liceo linguistico, imparando il francese, l’inglese e lo spagnolo. L’arabo classico mi sono sempre rifiutata di studiarlo : per me era inconcepibile, quando tornavo in Tunisia per le vacanze, che i miei cugini potessero giocare, mentre io dovevo studiare. In Italia il Consolato organizzava dei corsi per i figli dei migranti alla domenica o in settimana dopo la scuola, ma non riuscivo a frequentarli. In più, con i famigliari si parlava il tunisino. Col senno di poi mi sono pentita di questa scelta ».
L’infanzia trascorre serena, senza nessun problema : « Sono stata molto fortunata, non ho mai vissuto episodi di razzismo o un trattamento diverso, sia a scuola che nel mio entourage. Sin da bambini i miei fratelli ed io abbiamo frequentato sia l’oratorio che la moschea. Abitavamo nella canonica di una chiesa : era troppo grande per il parroco, perciò l’aveva messa in affitto. La casa aveva un muro condiviso con la chiesa : la domenica mattina mamma ci faceva stare in assoluto silenzio per rispetto della Messa che si stava svolgendo accanto a noi. Ringraziamo sempre nostra madre per la capacità che ha avuto di gestire questo mix di lingue, culture, tradizioni ». Quando arriva il momento di frequentare l’Università, Takwa non ha dubbi : « La scelta è derivata da una semplice domanda : io dove voglio vivere ? In Italia, in Tunisia, in Europa ? Volevo avere più opportunità e così mi sono iscritta al corso di laurea in Relazioni internazionali a Bologna ». Per il primo anno Takwa studia in Italia, poi va a Parigi per l’Erasmus e infine il terzo anno lo trascorre tra Bologna e la Tunisia, dove svolge un periodo di volontariato per la ong Overseas, per unire la teoria alla pratica. Un trasferimento che doveva essere solo temporaneo e che avrebbe dovuto permetterle di farsi un po’ le ossa sul campo.
Nel 2018 mette quindi piede in Tunisia, per la prima volta fuori dal contesto familiare ovattato : « Prima la Tunisia era solo la casa dei miei famigliari. Durante le vacanze estive, stavamo sempre con la famiglia, non giravamo il Paese, ci dividevamo tra Kairouan e Sousse ». Il primo impatto con una realtà diversa a quella a cui era abituata è stato scioccante : « Mi occupavo di progetti con giovani e donne nelle aree rurali della Tunisia. E’ come se avessi conosciuto ex novo il Paese. Quando devi lavorare, entrare in contatto con le istituzioni, è diverso dal vivere la Tunisia in vacanza. All’inizio avevo delle crisi di pianto, sentivo il peso del lavoro che facevo, mi portavo appresso le storie di queste donne che incontravo, e per cui avrei voluto fare qualcosa. C’è stato un periodo in cui durante il week end prendevo un volo per rientrare in Italia e staccare la spina per qualche giorno, avevo bisogno di ricaricarmi. Poi ho iniziato a farmi gli anticorpi, a capire che dovevo avere un approccio tunisino, se volevo portare a casa degli obiettivi. E così è stato ».
Nel 2019 coglie l’opportunità di svolgere il Servizio civile internazionale, sempre con la ong Overseas: « Grazie a questa esperienza ho davvero conosciuto la realtà tunisina tout court : dal nord, al sud, al centro, dalle donne di campagna fino alla borghesia tunisina ». Diventa responsabile junior per un progetto tra Jendouba e Kairouan, ma il suo essere giovane, italo – tunisina (e donna) all’inizio causa dei problemi :non viene presa sul serio. « Non si viene riconosciuti al cento per cento come tunisini, si resta sempre metà stranieri, avendo la doppia cittadinanza ». Terminato il servizio civile, a febbraio 2020 rientra in Italia : l’ong le propone di svolgere una ricerca sull’impatto del progetto sulle donne. Lavoro che realizza a distanza, causa pandemia : a giugno del 2020 rientra a Tunisi.
Qui le si presenta un’altra occasione : un concorso per lavorare in ambito della cooperazione internazionale, che riesce a vincere. Ed è a quel punto che il trasferimento temporaneo diventa definitivo : « Non pensavo che ce l’avrei fatta a superare le selezioni, invece eccomi qui. Sono contenta, il lavoro mi piace molto. La Tunisia è un Paese bellissimo, ma viverci a volte è dura. Io sono abitata agli standard del Nord Italia : ho vissuto tutta la vita a Modena, che ha tanti difetti, ma è una città efficiente. Qui invece non funziona nulla, i problemi sono tantissimi ». A partire dal non sentirsi protetta dalle istituzioni : « Ho paura della polizia : a ogni posto di blocco mi sussulta il cuore, a causa delle esperienze negative che ho avuto. Se vedono una ragazza sola, fanno un sacco di domande, e cercano di estorcere del denaro. Inoltre il modo in cui ti guardano, come se fossi carne da macello, e in cui ti trattano : ora sono ancora più aggressivi a causa del coprifuoco e delle varie restrizioni. Una volta, ero in macchina con delle amiche, stavamo andando da Tozeur verso Kairouan e siamo state vittime di un tentativo di rapimento. Un suv ha provato a tamponarci e farci uscire di strada : fortunatamente siamo riuscite a scappare e metterci in salvo. Ho provato a contattare la polizia, ma mi hanno risposto che non potevano far nulla, non sapevano nemmeno dove eravamo, e poi hanno riattaccato e staccato il telefono. A Sidi Bouzid siamo riuscite a trovare una stazione di polizia, per andare a sporgere denuncia. Ma per loro ero io in torto : ero passata da quelle parti senza un uomo. Quando capitano queste situazioni, si perde la speranza nelle istituzioni ».
E aggiunge : « Forse risulterò impopolare nel dire queste cose, ma per vivere in Tunisia bisogna considerare diversi aspetti. Un conto viverci da pensionato, un altro dover affrontare tutti i giorni la quotidianità tunisina. Io mi sento una privilegiata : ho un buon lavoro, vivo in un quartiere tranquillo. Ma ho dovuto adottare determinate accortezze, che in Italia non avevo. Ad esempio la casa in cui sono in affitto ha il codice di sicurezza per entrare : vivo perlopiù da sola, mio marito è spesso in trasferta all’estero. Abito nei pressi del luogo di lavoro : quando piove, le strade diventano spesso impraticabili, si allaga tutto. Bisogna avere una macchina personale : dove vivo non ci sono gli autobus o la metro ; i taxi non sempre si trovano, soprattutto negli orari di punta. La sanità è un altro punto dolente : noi come famiglia abbiamo avuto pessime esperienze negli ospedali pubblici, e le cliniche private hanno prezzi esorbitanti. Lavorando, si può avere un rimborso, ma bisogna comunque anticipare i soldi. Alcune medicine essendo importate sono carissime. Mi è capitato di comprare un integratore per capelli : mi è costato 250 dinari ! L’aspetto della sicurezza e della sanità, oltre alla consapevolezza che se succede qualcosa bisogna spesso contare sulle proprie forze e conoscenze, sono cose di cui tenere conto, soprattutto se si è vissuto per molti anni in Europa e si è abituati a certi standard » .
« Ho amato ogni singola parte di questa esperienza. Ho riso, pianto, conosciuto persone straordinarie e allontanato quelle sbagliate. Ho macinato km, parlato in media 3 lingue al giorno, mangiato fino a scoppiare, maledetto tradizioni ancestrali e ringraziato per la bellezza. Ho lavorato tantissimo spesso ad orari improbabili e in posti dove è più semplice trovare benzina di contrabbando che una connessione internet decente. Ho messo anima, passione e corpo in tutto il lavoro che ho seguito e costruito: dalle attività alla contabilità. Ho conosciuto donne e giovani al margine della società, ho visto povertà, miseria, rabbia, frustrazione e desiderio di riscatto. Ho ammirato il coraggio di donne e uomini, ascoltato storie di rivoluzionari. Ho odiato il maschilismo, la morale patriarcale, l’immobilismo istituzionale, il disinteresse politico e la scarsa volontà dei potenti di cambiare le cose. Mesi formidabili »
« Il Paese ad ogni modo è bellissimo : ci sono luoghi meravigliosi. C’è sempre qualcosa da fare, in qualsiasi ambito : è molto attivo, dinamico. Senza contare l’aspetto della socialità : si intessono facilmente dei rapporti umani, non c’è tutta quella diffidenza che può esserci in Italia. Vivo in questo quartiere da novembre, e mi sembra di stare con la mia famiglia. La solidarietà è molto presente, probabilmente perchè il sistema non funziona. E poi è un Paese giovane : puoi uscire e andare a bere un caffè da solo, per poi ritrovarti a parlare del più e del meno con un gruppo di giovani sconosciuti. La società civile è super attiva : quasi ogni giorno c’è una manifestazione. Sicuramente per un giovane che vuole crearsi delle opportunità è il Paese ideale ».
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