Il racconto del nostro primo viaggio on the road da nord a sud della Tunisia prosegue. Lasciate alle spalle le esperienze di Zriba El Alia e Jradou, abbiamo percorso mezzo Paese per arrivare finalmente nel profondo sud, incominciando con il villaggio berbero di Douiret, nel governatorato di Tataouine. Non sapevamo bene cosa aspettarci. Non ne avevamo idea. Quando siamo arrivati siamo entrati in giorni incantati, in un universo parallelo, degno di un film fantasy.
Il meteo era ideale per la visita: senza nuvole, non troppo caldo. Il paesaggio roccioso e desertico, una tavolozza di ocra, rosso, arancione e giallo. Prima si incontra la città nuova in zona pianeggiante. Una volta superata ci si avvicina al vecchio villaggio, percorrendo una strada asfaltata che corre sulla pianura, circondata da altipiani. La corsia proietta dritti nel cuore della vecchia Douiret, dove termina. È come un lungo corridoio che introduce in un reame sospeso, sotto un incantesimo.
L’antico insediamento Amazigh si erige su una piccola collina, che ha di fronte a sé. Esso visse anche una peculiare fase di espansione orizzontale, con minuscole abitazioni trogloditiche quasi scolpite nella collina, come se fosse fatta di burro, in una lunga e sottile linea da ciascun lato del villaggio. Mi sembrava un miraggio. Nel complesso, il borgo era simile a una versione più piccola di una Babele, una Ziqqurat atipicamente in località nordafricana.
Poco prima della destinazione dà il benvenuto un bellissimo ulivo solitario sulla destra. Un ampio cimitero rudimentale senza recinzione copre la vasta pianura a sinistra ai piedi della città vecchia. Vi sono anche delle piccole costruzioni a uso spirituale all’apparenza, forse delle minuscole Zaouia.
Presto si arriva al villaggio vero e proprio. È possibile lasciare l’auto nel “parcheggio” del piazzale. Il borgo è costituito da vicoli stretti leggermente in pendenza. Si incontra un basso edificio restaurato, che abbiamo trovato aperto. È un hotel semplice, carino e pulito con un ristorante e bagni. I proprietari sono due fratelli che cucinano per gli ospiti, se richiesto. Sembra che ci siano solo due alberghi attivi nel centro storico.
Procediamo risalendo la collina, indovinando la strada. È stato abbastanza facile. Si arriva in questo modo al nucleo più antico dell’insediamento, in cima alla timida altura. Il suo fascino decadente è irresistibile. Ci siamo concessi di perderci nel labirinto delle stanze collassate: anche in questo senso una caotica Babele. Siamo andati alla ricerca di tracce degli Amazigh, il popolo originario. Forse le abbiamo trovate nelle scritte incomprensibili e suggestive su alcune pareti.
Ma la protagonista assoluta è stata la vista panoramica sulla valle. Probabilmente la migliore che abbia mai visto. I rilievi austeri e imponenti, di una bellezza sacra, senza eguali. Allo stesso tempo le forme sinuose e sfumate suscitano sensazioni di pace e d’incanto, idilliache. Sono impressioni di maestosità. Nel mezzo, la platea di casette, stradine e grinze si distende in un grembo rassicurante.
Lassù eravamo solo noi tre e due americani, padre e figlio. Abbiamo interagito a malapena. Probabilmente eravamo tutti senza parole. Non osavamo né intendevamo infrangere l’atmosfera misteriosa, ancestrale, catartica, solenne e sublime in cui eravamo immersi. In quei momenti ero profondamente connesso con la terra, con la roccia, con il mondo. Ero presente in quel momento e in quel luogo, nel cosiddetto “qui e ora”. Dopo qualche minuto abbiamo visto il padre americano teletrasportatosi in un lontano punto più in alto a destra, la sua sagoma che si stagliava in controluce. Abbiamo deciso di imitare le sue prodezze.
Abbiamo trovato quindi piccole piste in sua direzione. I sentieri conducevano a un enorme altopiano, quasi un plateau, surreale. Su di esso, una piccola costruzione, forse un ricovero per pastori. Tutto era mistico al grado superlativo. C’era qualche piccolo campo lavorato, circa tre. Sul suolo tante pietre meravigliose, di diversa natura, colore, consistenza, superficie. Ne abbiamo raccolte alcune, le conserviamo ancora gelosamente. Da lì abbiamo visto il tramonto. Stupefacente. Il sole calante stendeva dolcemente sulla valle una coperta di sonno, inseguendo incalzante l’arancio acceso degli ultimi raggi del sole. Il disco infuocato tramontava dando, col suo mite calore, il bacio della buona notte alla vecchia Douiret e a noi suoi grati ospiti.
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