Sono le 16.30 di sabato 17 dicembre: nel seggio di via Tobagi a Bergamo, allestito in uno spazio comunale in occasione delle elezioni legislative tunisine, non c’è anima viva, a parte i due scrutatori e il presidente del seggio. “All’estero si poteva votare dal 15 dicembre – spiega Boulbeba Ben Hlel, presidente del seggio -. Il seggio in questi giorni era aperto dalle 8.00 del mattino alle 18.00: ma è venuta a votare un’unica persona”. Nell’urna, una scatola trasparente in cui mettere la scheda su cui apporre la propria scelta, – se si può definire tale, vista la presenza di un unico candidato -, si intravede la scheda dell’unica persona che si è recata a votare. Sulla scrivania, a destra dell’ingresso, il registro dei votanti, le schede elettorali da vidimare e consegnare agli elettori, e l’immancabile inchiostro blu indelebile, dove intingere il dito indice, segno riconoscibile dell’essersi recati alle urne.
“Sono 1.279 le persone iscritte in questo seggio – spiega Ben Hlel -. Il registro è stato chiuso il 20 novembre: entro questa data, chi non era ancora iscritto poteva farlo, recandosi al Consolato, al proprio Comune in Tunisia o direttamente sul sito dell’Isie (l’Istanza Superiore Indipendente per le Elezioni). Sono cinque circoscrizioni consolari in Italia: Bergamo rientra in quella di Milano”.
Alle 17.15 dalla porta fa capolino un ragazzo. “Salam aleykoum”, mostra la sua carta d’identità, il registro viene controllato, infila l’indice nell’inchiostro e prende la scheda elettorale per andare a votare. Sarà il secondo votante, e l’ultimo della giornata. “Bisogna partecipare, per il futuro del proprio Paese – racconta Karim Aouadi, in Italia da 25 anni -, non si può essere indifferenti di fronte a questi cambiamenti radicali. Tutti, uomini e donne, dobbiamo votare per migliorare la situazione politica della Tunisia. Io sono sposato con un’italiana, e ho due figlie di otto e dieci anni: quando c’è stato il Referendum a luglio, le ho portate qui con me, per fare vedere loro come si partecipa e l’importanza di votare. Sento il dovere di partecipare: la patria è per me come una seconda madre, che non si può abbandonare nel momento del bisogno”. E aggiunge: “Torno in Tunisia tutti gli anni. Prima della Rivoluzione c’era pressione, un senso di soffocamento. Poi abbiamo avuto la libertà: l’importante è che la gente sappia gestirla bene, non per mandare il Paese verso il caos, ma per un futuro migliore”.
Alle 18.00 si chiudono le votazioni. I primi scrutini preliminari in Tunisia segnano un’affluenza dell’8,8%: mai finora il Paese aveva visto un’affluenza così bassa, dal 2011 a questa parte. “Sono stato di recente in Tunisia per portare a mia mamma delle medicine per i reumatismi, che non riusciva a trovare lì. Dopo due anni che mancavo ho portato diversi regali. Volevo portare due chili di castagne, ma mio fratello mi ha detto di portare lo zucchero che era introvabile. Era quasi più felice dello zucchero che del resto” mi ha detto qualche giorno fa un amico tunisino che vive nel Belpaese da anni. “Prevale un’atmosfera di pessimismo e assenza di speranza. Chi può parte o cerca di farlo e questo fenomeno preoccupante riguarda giovani, una ricchezza che il Paese non dovrebbe perdere” riferisce un altro amico.
In Italia, su 50 mila 128 iscritti nelle liste elettorali, hanno votato in 689: 644 i voti validi per il candidato, Sami Ben Abdelaali, ex consulente di Crocetta, approdato al Parlamento tunisino nel 2019 con la lista indipendente Koulna Tounes, 14 schede bianche e 31 nulle. Solo l’1,37% si è recato alle urne. Anche in questo caso, come per il referendum del 25 luglio, ha vinto l’astensionismo.
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