Essere italiani a Tunisi: benvoluti o raggirati

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Oggi è una di quelle giornate uggiose in cui Tunisi sembra Londra. Fino a qualche giorno fa il tempo era splendido: temperature alte, sole cocente e costumi che fremevano per essere tirati fuori dalla valigia, poi è arrivata un’ondata di nubi e vento a rovinare questi bellissimi piani. Il tempo uggioso di solito mi porta malinconia, un po’ di insofferenza e, ancor più spesso, mi porta pensieri. In questi giorni la chat con i miei amici storici è accesissima: abbiamo deciso di andare in vacanza tutti insieme questa estate e stiamo facendo voli pindarici per incastrare date, costi e disponibilità di tutti. Di fronte a questa leggerezza, però, mi viene da pensare alla fortuna che abbiamo a poterci svegliare una mattina a caso e programmare un viaggio in una qualunque parte d’Europa. Fortunati sì, anzi fortunatissimi. Non voglio cadere in una retorica melensa e scontata ma, vivendo a Tunisi, ci si rende davvero conto di quanto si è fortunati ad avere questa possibilità: essere italiani a Tunisi vuol dire percepire il peso della nostra origine e del nostro passaporto, percepire in tutta la sua forza una libertà di movimento che ad altri (molti) è preclusa.

Qui a Tunisi ci sono tanti, tantissimi ragazzi della mia età ed anche più piccoli che farebbero carte false (e, in effetti, spesso lo fanno) per venire in Italia, ma non possono. Per avere un visto turistico devono dimostrare di avere un conto corrente fuori dal comune e di visti lavorativi neanche a parlarne. Molti ragazzi sognano l’Italia, la vedono come un Eldorado al di là del Mediterraneo, hanno in mente un’immagine del nostro Paese che non esiste eppure la percepiscono forte, eppure è una spinta fortissima a voler raggiungere lo stivale. Questo, chiaramente, ha delle conseguenze sul modo in cui uno studente italiano viene percepito dalle persone del posto: talvolta con curiosità, altre volte con invidia se non addirittura con rabbia.

Un episodio può chiarire meglio quello che sto cercando di dire: terzo giorno a Tunisi, io ed il mio coinquilino prendiamo un taxi per andare alla Bourghiba School ed abbiamo la sfortuna di imbatterci nella persona sbagliata. Sin da subito, dal momento in cui ci sente parlare (guarda un po’), il tassista si pone con noi in modo amichevole (diffidate!) e ci chiede da che parte dell’Italia veniamo. Gli rispondiamo e questi, con un misto di rabbia repressa, frustrazione e stizza, inizia ad accusarci di essere tutti straricchi: “ci sono tunisini che sono andati in Italia e sono tornati con la Mercedes, voi avete un sacco di soldi!” (Li avete visti questi tunisini, voi?) Per carità, la situazione economica dei due Paesi non è assolutamente comparabile, ma da qui a pensare che noi italiani siamo tutti gonfi di denaro ce ne passa. Il colmo, comunque, è alla fine della vicenda: per pagare una corsa che aveva raggiunto i sei dinari, gli porgo una banconota da venti, lui mi fa cenno “ciao ciao” con la mano, al che gli chiediamo il resto e lui mi restituisce solo dieci dinari. E gli altri quattro? Dove sono?! Lui, infastidito dalla nostra insistenza risponde “cosa saranno mai quattro dinari per voi italiani?!”, “volete i vostri soldi? Bene, chiudete lo sportello così ripartiamo e andiamo in giro fino al momento in cui la corsa non raggiunge i dieci dinari”. Inutile dire che, a quel punto, lo abbiamo “salutato” e siamo scesi dal taxi. Da quel momento in avanti, ho smesso di elargire banconote da venti ai tassisti (non fatelo mai!).

Taxi ad hammamet – Photo by Naseem Buras on Unsplash

Essere italiani qui, purtroppo, vuol dire anche dover prestare attenzione alla persona che si ha davanti e ai suoi possibili tentativi di fregarci. Per fortuna, però, Tunisi non è solo questo. Avrò preso circa un centinaio di taxi da quando sono qui e questo “signore” coinvolto nella storia che vi ho raccontato è stato solo un’eccezione: i più, infatti, quando scoprono che siamo italiani, sorpresi e quasi felici, iniziano a menzionare cantanti e canzoni italiane, a citare personaggi dello sport e dello spettacolo, da Totò Schillaci a Maria De FilippiMolti tunisini amano l’Italia, in molti ci hanno vissuto, altri semplicemente hanno passato la loro infanzia a guardare i programmi della Rai quando ancora poteva essere vista sulle reti locali. Altri ancora sono felici di imbattersi in due ragazzi italiani che, probabilmente, gli ricordano dei bei tempi andati in cui gruppi di tunisini, ogni anno, erano liberi di andare in Sicilia per lavorare e poi tornare comodamente a casa una volta finita la stagione. 

Essere italiani a Tunisi vuol dire incontrare ancora una volta i due estremi: puoi essere benvoluto a prima occhiata solo per la tua origine o andare incontro a tentativi vari di raggiro. Quando direte di venire dall’Italia, in ogni caso, non otterrete mai una risposta banale, statene certi. 

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