La prima elementare l’aveva frequentata in Tunisia: all’epoca i genitori pensavano di (ri)trasferirsi nel Paese natìo, così la mandarono in Tunisia, da una zia, affinché potesse cominciare a familiarizzare con la lingua araba, con l’idea di raggiungerla successivamente. I progetti di vita andarono diversamente e la famiglia rimase in Italia, ma a lei, nata e cresciuta a Trento, rimase sempre la curiosità e la voglia di ritornarci. E così ad agosto 2020 Firiel Timoumi, 27 anni, una laurea magistrale in Relazioni internazionali a Venezia, parte per la Tunisia, destinazione Sfax, per uno stage presso l’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni « Mio papà è arrivato in Italia negli anni Ottanta: prima si era recato in Belgio, ma non vi era la possibilità di regolarizzarsi. In Italia c’era suo nipote, e così lo ha raggiunto. Per me la Tunisia è sempre stata la terra dei famigliari e delle vacanze: stavamo a Kairouan e qualche volta andavamo al mare a Sousse. Di Tunisi conoscevo solo l’aeroporto e il porto, era solo una città di passaggio. Un conto è ciò che si vede solo d’estate, un altro vivere il Paese in modo diverso».
In Italia «Credo di aver vissuto sulla mia pelle una situazione di bullismo, di cui all’epoca ero inconsapevole: ero appassionata della lingua italiana, molto brava nell’analisi grammaticale e logica. Durante le prime settimane di scuola alle medie, su questo argomento ottenni il massimo dei voti su tutta la classe e l’insegnante commentò dicendo che l’unica a prendere un bel voto era stata la marocchina della classe. In più per tutti gli anni delle medie, la professoressa diceva che non poteva darmi più di buono in pagella perché non ero madrelingua. E, confrontandomi con altre seconde generazioni, mi sono resa conto che è una cosa che capita spesso, come il sentirsi consigliare delle scuole professionali o comunque dei licei meno impegnativi, forse per un pregiudizio nei nostri confronti».
Firiel non metteva piede in Tunisia dal 2015, tra gli impegni universitari e i vari tirocini che la tenevano occupata nel periodo estivo, in cui la famiglia delle due sponde del Mediterraneo si riuniva nuovamente. «Volevo sia conoscere meglio le mie origini, sia il fenomeno della migrazione irregolare che toccava la Tunisia ». E rimane sorpresa positivamente dal Paese: «Per la prima volta ero da sola, lontana dalla famiglia sia in Italia che in Tunisia, e dovevo arrangiarmi in un Paese che non conoscevo effettivamente. Rispetto al mio vissuto di partenza, che si limitava alle esperienze in ambito estivo, sono rimasta sorpresa dal punto di vista delle libertà personali e sulla donna in generale. I miei genitori hanno sempre vissuto in campagna, e non si parlava più di tanto della Tunisia. Non mi aspettavo di incontrare donne tunisine che potessero bere o fumare, ad esempio. Dipende molto dalle zone e dallo status sociale». E aggiunge: «E’ un’esperienza che è stata molto formativa, e mi ha permesso di capire meglio il Paese, anche su questi aspetti. In più, grazie a questo stage, mi sono spostata anche a Sousse, Mahdia e Monastir, visitando così queste altre città. E poi ho visitato meglio Tunisi, Hammamet, Djerba e Sousse ».
Riguardo allo stage, svolto da agosto 2020 a maggio 2021, racconta: «Pensavo che la Tunisia fosse un Paese di passaggio, sono rimasta sorpresa dal numeri di migranti che vivono, lavorano e studiano in Tunisia, provenienti soprattutto dall’Africa Subsahariana. Io mi occupavo di intervistare i migranti per comprendere il livello di vulnerabilità del beneficiario, cercavo di capire cosa volesse fare, se rimanere in Tunisia o rientrare volontariamente al Paese di origine, preparavo i kit per le azioni di salvataggio in mare, gestivo il dossier finanziario di ogni mese e, se c’era la possibilità di organizzare eventi, ne gestivo la logistica. Nell’ultimo periodo ho assistito ad almeno tre operazioni di salvataggio in mare, perlopiù persone partite dalla Libia, ma che poi si erano perse. La maggior parte delle barche trattenute dalla guardia costiera tunisina, sono dei subsahariani e dell’Asia (Bangladesh), ma sono soprattutto i tunisini che arrivano in Italia».
«L’unico aspetto problematico di questa esperienza, sono state le amicizie con le donne tunisine. All’inizio avevo affittato una casa condivisa, ma poi me ne sono dovuta andare via: non ce la facevo più. Mi hanno creato diversi problemi, fino a farmi sentire minacciata. Quindi ho poi affittato un appartamento da sola. Al lavoro invece, con le mie colleghe e la mia responsabile, mi sono trovata molto bene. Sono le ragazze della mia età che sono furbe e maliziose: ovviamente non tutte, ma molte. E a volte è come se facessero le cose per ricevere qualcosa in cambio, secondo me per colpa della corruzione generale del Paese e delle condizioni di vita che costringono a cercare sempre degli escamotages».
Ora Firiel è pronta a ripartire, destinazione Costa D’Avorio: «Avendo lavorato a contatto con tantissimi ivoriani, mi sono incuriosita su questa zona dell’Africa. E così, quando ho visto il bando per un progetto in Costa D’Avorio per svolgere il Servizio Civile Internazionale, ho fatto domanda, e sono stata selezionata: partirò ad agosto per questa nuova avventura».
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