E’ il 2009 quando Flavia, 32 anni, navigando su internet si imbatte in un annuncio di lavoro di una famiglia italiana che, a Tunisi, cerca una babysitter per i suoi figli. Flavia, che all’epoca lavorava come commessa in un centro commerciale in sostituzione maternità e a cui non era stato rinnovato il contratto, decide di buttarsi : « Molti pensavano fosse una truffa, la cosiddetta ‘tratta delle bianche ‘ . Io li ho contattati in privato, mi sono presentata e detta interessata alla proposta : offrivano vitto e alloggio, avrei dovuto aiutare i figli a ripassare le materie scolastiche. Da lì abbiamo cominciato a sentirci per e-mail e per telefono, sia lui, che la moglie e i figli ». E’ giugno del 2009 e Flavia decide così di partire per questa avventura, lei che è stata in un Paese arabo – ma non in Tunisia – solo per una breve vacanza. Un vero e proprio salto nel buio, con i genitori pieni di dubbi e lei un po’ spaventata per questo passo, ma pronta a iniziare questa nuova esperienza.
« Ricordo ancora le scene della famiglia che mi attendeva in aeroporto – racconta -. Mi installo a casa loro, abitavano nella periferia sud di Tunisi. C’era ancora Ben Alì : una delle prime cose che ho visto sono questi mega cartelli nelle piazze con la sua immagine, con lui con la mano sul cuore. Per me era un presidente come tutti gli altri, non sapevo nulla della situazione politica ». Flavia si trova subito bene in Tunisia, anche per l’accoglienza che la gente le riserva : « Ho fatto amicizia facilmente con diverse famiglie, sia tunisine che italiane, creando così una mia rete personale di contatti ed amicizie. Mi occupavo della quotidianità dei bambini : li aiutavo a fare i compiti, li portavo ogni tanto al mare. Nel frattempo facevo anche colloqui per lavori diversi ».
Flavia lavora per un anno per questa famiglia, per poi rientrare in Italia, ma con poco entusiasmo : « Non avevo più voglia di vivere in Italia. Sono ritornata quasi subito in Tunisia per lavorare in un call center e poi sono stata chiamata a lavorare in una scuola privata, dapprima come segretaria amministrativa e poi come insegnante. Mi sono trovata molto bene : mi si è aperto un altro mondo. Lo stipendio era però molto basso (350 dinari), per cui non potevo permettermi un appartamento da sola e mi sono trasferita presso un’altra famiglia con figli. Nel tempo libero facevo la babysitter per loro e la sera per altre famiglie, per arrotondare. Ci vuole un forte spirito di adattamento per vivere con persone che non si conoscono, ma sono stata fortunata : ho sempre incontrato famiglie serie e persone buone. Piano piano sono riuscita ad affittare un appartamento per conto mio. Non giravo molto, di notte non uscivo, se non sporadicamente con i miei colleghi. All’epoca c’era un massiccio controllo della polizia sulle strade. Stavo attenta a dove andavo, a chi frequentavo».
La Rivoluzione, un evento inaspettato
Poco prima della Rivoluzione, Flavia deve rientrare in Italia per motivi famigliari : mai si sarebbe immaginata che sarebbe stata lontana dal Paese nordafricano per un anno, dovendo poi ricominciare di nuovo da zero : « Non avevo seguito ciò che stava succedendo nel Paese e non pensavo che la situazione potesse arrivare a quei livelli. Sono ritornata in Tunisia, ospite di una mia amica tunisina, ma volevo trovare casa nella banlieu sud, perché ero rimasta legata a quei luoghi e alle amicizie fatte. Il destino ha voluto che incontrassi il proprietario dell’appartamento che presi poi in affitto, un signore tunisino. Era un bellissimo appartamento, già arredato, moderno. La moglie ogni tanto preparava il cibo anche per me. Non avevo fretta di trovare un altro lavoro : potevo infatti mantenermi nell’attesa grazie a delle entrate dall’Italia ».
Flavia sente di essere ritornata a casa : « Il post rivoluzione non mi sembrava traumatico. A Tunisi avevo la mia casa, le mie conoscenze, la vita non costava molto avendo delle entrate in euro e ciò mi permetteva una certa agiatezza. Mi trovavo nel mio elemento, non mi mancava l’Italia, o la famiglia. E poi un giorno, al supermercato, incontro il mio futuro marito. All’inizio non pensavamo che questa storia andasse così. Ma avevo ormai 36 anni, volevo costruirmi un futuro, avere una famiglia. Così, nel giro di quattro mesi, ci abbiamo pensato e riflettuto e abbiamo deciso di sposarci. Sono tornata in Italia per fare i documenti necessari per questo passo e nel settembre del 2012 ci siamo sposati, facendo una festa in Tunisia con i nostri amici ».
Il matrimonio con un uomo tunisino e il ritorno in Italia
Per un anno e mezzo la coppia rimane a vivere in Tunisia, per poi trasferirsi in Italia nella primavera 2014 : « Ero in dolce attesa, la sua famiglia abitava molto lontana da Tunisi, non avrebbe potuto aiutarci, così abbiamo preferito rientrare in Italia, in modo da essere vicini almeno a una delle nostre famiglie, in caso di necessità. A me sarebbe piaciuta l’idea di tornare a vivere in Tunisia, ma nel corso degli anni l’abbiamo accantonata e scendiamo solo per le vacanze. Mio marito in Italia ha dovuto ricominciare da zero, come ho fatto io nel suo Paese : non conosceva la lingua, ha frequentato un corso per impararla, ha cominciato lavori stagionali, si è adattato a tante situazioni, spesso ha avuto anche a che fare con persone con pregiudizi nei suoi confronti. Se per me vivere in Tunisia è stata la scoperta di un mondo nuovo e mi sono sentita una persona di valore, per lui il percorso in Italia è stato molto più difficoltoso, a causa dei numerosi pregiudizi. Ha dovuto faticare, essere umile, per superare le piccole difficoltà. Per me invece l’inserimento in Tunisia è stato semplice, forse anche per il mio carattere espansivo, mentre lui è più riservato e anche in Tunisia aveva poche conoscenze, perlopiù legate alla famiglia . Ma è faticoso essere uno straniero in Italia, mentre in Tunisia la gente era bendisposta nei miei confronti ».
« Io sapevo di avere un valore aggiunto in quanto italiana, e di poter quindi far sentire la mia voce anche in caso di episodi negativi, come la richiesta di mazzette, vedevo che avevo più voce in capitolo rispetto agli stessi tunisini, che invece subivano queste angherie. Sono le uniche situazioni che mi hanno messo a disagio negli anni che ho vissuto lì. Ho sempre amato la loro grande accoglienza ed umanità, il volersi raccontare, l’entusiasmo nel fare conoscenza di altre persone. Ho viaggiato molto e per quanto mi riguarda sono predisposta nel conoscere senza giudicare e ciò mi ha portato fortuna, ad instaurare amicizie che durano tuttora ». E aggiunge : « Con il tempo mio marito qui si è fatto voler bene, anche se abbiamo avuto diversi momenti di scoraggiamento in cui abbiamo pensato di tornare a vivere in Tunisia. Ma qui in Italia abbiamo una casa di proprietà, dei risparmi e la famiglia vicina, tornare in Tunisia avrebbe voluto dire ricominciare da zero per entrambi, perdipiù con un bambino piccolo ».
Il figlio, che ora ha sette anni, nel Paese paterno è stato solo due volte : « Mi dispiace che non lo conosca molto e che sia penalizzato nel non vivere appieno le feste musulmane ». Per quanto riguarda la coppia, la diversa religione non è mai stata un problema : « Non siamo persone radicali, io vengo da una famiglia tradizionalista, ma non ci siamo mai scontrati, se non a volte degli scontri ‘ideologici’ perchè io mi pongo diverse domande, mentre lui dice che è così e basta, non vi è un pensiero critico. Abbiamo battezzato nostro figlio e fatto anche la circoncisione. Abbiamo un libro che spiega ai bambini i pilastri dell’Islam, ma di fatto la religione non è un argomento presente nella nostra quotidianità » .
La Tunisia sempre nei suoi pensieri, malgrado la distanza
Nonostante in Tunisia Flavia non ritorni da tre anni, il legame con questo Paese è più vivo che mai : « Mio malgrado, è una terra ricorrente nei miei discorsi, salta sempre fuori in qualche modo, negli aneddoti, nei luoghi che ricordo, è un argomento vivo. Ho frequentato persone di ogni ceto sociale in quegli anni. Ho visto gente umile che non possedeva quasi nulla conservare una dignità pur nella miseria ; persone che hanno fatto sacrifici pur di far sposare i figli e permettere loro di crearsi una posizione nella società. Io mi ci trovavo a pennello. E’ un’altra mentalità, un’altra cultura, a volte ci vuole un po’ di sforzo per cogliere il buono in una realtà diversa da quella a cui si è abituati e non tutti ci riescono».
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