A fine agosto 2021 era ancora disponibile nelle migliori librerie francofone della capitale l’edizione di aprile-giugno 2021 della rivista “alternativa” Nawaat con un dossier sul sistema giudiziario tunisino intitolato La République des Robes Noires (“La Repubblica delle toghe”) che oggi appare ancora più attuale alla luce dell’annunciato scioglimento del Consiglio Superiore della Magistratura e delle proteste che ha suscitato tanto nel Paese quanto nella comunità internazionale.
E’ questo solo l’ultimo atto di una serie di misure nei confronti del giudiziario messe in opera da Kais Saied sin dal giorno della sua presa di potere, quando si è arrogato la funzione di Procuratore generale della Repubblica. Solo pochi giorni dopo veniva messo agli arresti domiciliari il giudice Bechir Akremi, accusato di corruzione; poco dopo la stessa sorte è toccata al presidente dell’Istanza Nazionale di Lotta contro la Corruzione, Chawki Tabib, ex presidente dell’Ordine degli Avvocati. L’iniziativa giudiziaria è passata al Ministro dell’Interno e si sono moltiplicati i divieti di espatrio, gli arresti domiciliari e il deferimento dei civili a tribunali militari che ha visto tra le prime vittime il deputato indipendente e blogger Yassine Ayari. E’ un avvocato anche la vittima più recente e illustre, Noureddine Bhiri, vice-presidente del partito Ennahdha, ex ministro della Giustizia, ex presidente del Csm, deputato dell’ARP, prelevato da agenti in borghese, portato in un luogo sconosciuto e ricomparso nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Biserta dove attualmente è in sciopero della fame.
I Tunisini non hanno grande simpatia per i loro magistrati (Rihab Boukhayatis, “Magistrati in Tunisia: perché così conservatori, cosi autoritari?” ), accusati di clientelismo, corruzione, tradizionalismo. Certo non hanno dato una gran prova di solidarietà nazionale e spirito di sacrifico quando, subito dopo la Rivoluzione, si sono resi protagonisti (al pari di tutti i settori del pubblico impiego) di periodiche rivendicazioni salariali di stampo corporativo, da ultimo quelle dello stesso CSM accolte con il decreto governativo del 26 maggio 2021. Tuttavia, secondo Faouzi Maalaoui, ex magistrato passato al foro, il problema principale sarebbe la crescente incompetenza, più che la corruzione, dei magistrati. Oggi i giuristi più brillanti preferirebbero il foro o l’accademia, ragion per cui Maalaoui sostiene la necessità di innalzare le retribuzioni dei magistrati, scelta che tuttavia appare difficile giustificare agli occhi di una popolazione impoverita. Kais Saied, ad ogni buon conto, ha fatto l’esatto contrario, emanando un mese fa un decreto che sopprime tutti i bonus e i privilegi del CSM.
Diverso il discorso per quanto riguarda gli avvocati (Boukhayatis, “Questi avvocati che fanno e disfano la vita pubblica”), “onnipresenti nei media e nella società civile”, protagonisti della vita politica della Tunisia post-Rivoluzione. Era un principe del foro l’esponente della sinistra radicale Chokri Belaid assassinato nel 2013, così come lo è stato Abdelfattah Mourou prima di diventare vice-presidente dell’ARP e candidato alle elezioni presidenziali per Ennahdha. E’ avvocato Bochra Bel Haj Hmida, incaricata a suo tempo da Béji Caid Essebsi di presiedere la Commissione per le Libertà Individuali e l’Eguaglianza il cui rapporto ha tanto fatto discutere. In passato, da giovane praticante, si è battuta come una leonessa per difendere i ragazzi condannati a morte durante le “rivolte del pane” del 1984 e in ciò rappresenta bene la corporazione degli avvocati tunisini: partigiani fino alla faziosità in politica, generosi fino al sacrificio nella difesa dei diritti umani. Caratteristiche che se da un lato spiegano la sovra-rappresentanza degli avvocati nell’ARP (ma questo è un tratto comune a molte democrazie moderne), dall’altro hanno contribuito anche alla delegittimazione del parlamento, percepito come una compagine di elites al contempo iper-legaliste e corporative, come la leader di Attayar, Samia Abbou, che all’Arp si è distinta per le sue denunce infuocate contro la corruzione ma nel 2017 si era unita al “voto unanime di tutti gli avvocati dell’ARP contro la legge finanziaria che prevedeva la tassazione dei liberi professionisti, in particolare medici e avvocati”.
Nel toccare i privilegi degli uni e degli altri Kais Saied ha messo la mano su uno dei tanti aspetti non solo istituzionali ma anche sociali che la Rivoluzione non ha ancora se non debolmente scalfito anche se ha aperto le porte, è bene ricordarlo, a quanti finora erano stati esclusi. Si tratta di un aspetto le cui radici storiche risalgono a prima dell’Indipendenza, come ci ricorda l’articolo di Sihem Bensedrine dedicato a Ahmed Mestiri (“Ahmed Mestiri, de colonizzatore della giustizia tunisina”), che fu appena trentunenne ministro della Giustizia all’epoca dell’Indipendenza e lottò per strappare alla Francia le prerogative giudiziarie che essa continuava a rivendicare nel suo ex Protettorato: accesso agli archivi, giurisdizione sui Francesi (ivi compresi gli assassini della banda della Mano Rossa), uso della lingua francese anziché dell’arabo. Dall’emancipazione dalla tutela francese Mestiri passò poi alla riforma complessiva del sistema, ma i suoi sforzi di creare una istituzione giudiziaria indipendente “sono stati purtroppo minati dal capo dell’esecutivo volto a piegarla alla sua volontà” scrive Bensedrine. Habib Bourguiba istituì i Tribunali speciali sostenendo che i giudici formati sotto il vecchio regime erano troppo imbevuti dei suoi princìpi per potersi adattare in tempi brevi alle nuove circostanze; li usò di fatto per reprimere ogni forma di dissenso e di pluralismo politico.
Mestiri sostenne Bourguiba. Nelle sue memorie ne assume la responsabilità, ammette che ci furono “abusi, sbavature, vittime innocenti”, pur richiamando uno stato di necessità (“la presenza coloniale non era del tutto terminata e lo Stato usciva appena dal limbo”) riconosce che “si tratta di una pagina dolorosa della Tunisia indipendente” aggiungendo “ma io sono tra coloro che ha contribuito a girarla”. Mestiri è morto il 23 maggio 2021: chissà se oggi sarebbe ancora convinto che quella pagina dolorosa è stata del tutto girata.
© Riproduzione riservata