L’intervento di Chiara Diana (Université libre di Bruxelles) che segue è un estratto del convegno “Tawrat al karama – memorie, percorsi e analisi a dieci anni dalla rivoluzione tunisina” organizzato a gennaio 2021 dal Dipartimento di Civiltà e forme del sapere dell’Università di Pisa.
Perché interrogare le memorie individuali della rivoluzione tunisina? Qual è l’interesse di andare a cercare la memoria individuale delle persone? Quale è il ruolo di queste memorie nella costruzione del fatto storico? A cosa servono le testimonianze dei minori che vi hanno preso parte? A queste domande ha provato a rispondere Chiara Diana, dell’Université libre di Bruxelles, attraverso un’ampia ricerca sulla costruzione di una memoria individuale e collettiva della rivoluzione tunisina, attraverso l’analisi delle istituzioni della transizione democratica, della narrazione degli attori del panorama politico tunisino post Ben Ali, dei manuali scolastici e delle testimonianze ed esperienze delle persone comuni.
Le testimonianze sono state raccolte nel 2018 e 2019, sul campo, attraverso interviste individuali non strutturate, con diversi attori sociali e politici, membri della società civile e famiglie comuni con bambini e giovani che hanno vissuto la rivoluzione non come attori principali. La rivoluzione tunisina ha infatti coinvolto una serie di attori appartenenti a diverse classi sociali, ma poco è stato detto su come i minorenni vi hanno partecipato.
“La memoria della rivoluzione dei nostri intervistati si costruisce partendo dalle esperienze personali ed è influenzata dalle emozioni del singolo e dalle esperienze di vita in un determinato contesto e spazio. Da sottolineare che non esiste una definizione unitaria di memoria: è dinamica, soggettiva, non è il riflesso perfetto del passato, perché condizionata dal vissuto e dalle emozioni di chi la vive. È processuale, si rimodella in funzione del presente. Non esiste perciò una verità storica oggettiva. Le esperienze soggettive determinano punti di vista differenti sullo stesso fenomeno storico. La memoria di un evento si forma attraverso la complessa interazione tra lo spazio pubblico e quello privato e tra la pressione del passato e la contingenza del presente. La memoria è fondamentalmente una costruzione, quindi soggetta ad errori e distorsioni”
96 le interviste raccolte, di cui 29 a minori tra 10 e 17 anni e 21 a giovani tra 18 e 26 anni. “Una scelta non casuale: è importante indagare su come le persone considerate di meno impatto sulla rivoluzione possano aver vissuto questo evento direttamente o indirettamente e quale è l’effetto del vissuto del fatto storico sul resto della loro vita”. Gli intervistati appartengono a tutte le classi sociali: operaia, media, medio alta, e provengono da diverse zone: Sidi Bouzid, Kasserine. Gafsa, Bardo, la Goulette, fino alla Grand Tunis. “L’eterogeneità dei profili ha fatto emergere aspetti salienti delle origini della rivoluzione tunisina e della storia del Paese”
“I casi di Sidi Bouzid, Cité Ennour est e Kasserine, Cité Ezzouhour rivelano episodi traumatici, segnati dalla violenza sproporzionata della polizia, dalla paura, dall’insicurezza e persino dalla perdita di un membro caro della famiglia. Ad esempio Nazim, di Sidi Bouzid, 15enne e fratello di uno dei primi martiri della rivoluzione: “Stavo tornando a casa da scuola e ho visto gli scontri tra la polizia e i manifestanti. Mio fratello è stato ferito. Era il 18 dicembre, le ore 13”. Hamez, di Kasserine, attualmente 20enne, rammenta quel periodo con orrore: “Mi ricordo, ero piccolo, avevo 11 anni, è iniziato tutto nel mio quartiere. Avevo dei vicini che erano stati gravemente feriti, io stesso sono stato colpito da una bomboletta di gas lacrimogeno alla gamba”. Nei racconti di questa parte della Tunisia, dove sono iniziati gli scontri e la rivoluzione, i sentimenti prevalenti sono di paura, angoscia, terrore, sofferenza.
Se analizziamo invece le testimonianze a Gabes e Sfax, notiamo che l’emozione associata alla rivoluzione cambia totalmente: si hanno esperienze di attivismo ed emancipazione, entusiasmo, gioia, felicità e infine orgoglio. Come per Bouthania, 21enne di Gabes, che racconta come la rivoluzione le abbia permesso di riprogrammare il suo futuro: “Ricordo che prima della rivoluzione, probabilmente nel 2009, sognavo di fare il giudice. Avevo chiesto al mio insegnante di educazione islamica un consiglio per diventare giudice. Mi aveva sconsigliata perché nel nostro Paese non serviva, non c’era giustizia. Ma dopo la rivoluzione ho fatto la stessa domanda allo stesso insegnante e questa volta la sua risposta è stata: “Sarò felice se uno dei miei studenti diventerà un giudice”. Malek, 24enne di Sfax, evoca lo stato di eccitazione ed entusiasmo quando ha partecipato alle manifestazioni, ripete che era molto giovane, non capiva cosa stesse succedendo, ma la condivisione di questi momenti con sua madre fosse stata qualcosa che l’avesse aiutata a capire: “All’inizio non ho capito bene cosa fosse esattamente, per fortuna c’era mia madre. Siamo uscite insieme per partecipare alla manifestazione del 12 gennaio 2011. Ho partecipato al sit in della Kasba con i miei amici, abbiamo passato le notti a chiacchierare e a discutere”. La testimonianza di Dalì, 21enne, di Sfax, è emblematica su come la rivoluzione abbia segnato sui giovani l’inizio di un percorso di attivismo politico e cittadino: “Avevo tra i 12 e 13 anni, erano giorni festivi ed io ero con i grandi, andavo spesso al chiosco più vicino dove c’era sempre gente che parlava di ciò che succedeva nella zona. Raccoglievo informazioni e poi le condividevo su facebook. Ho partecipato a tutte le manifestazioni che sono state organizzate a Sfax, anche senza sapere chi le organizzava. Una volta mi sono reso conto di essere a una manifestazione di islamisti”.
“Grazie a queste testimonianze – conclude – è possibile tracciare una cartografia delle emozioni della memoria della rivoluzione. Rivoluzione che non è un fatto storico monolitico: questo rivela le tensioni sociali che nascono dalle diseguaglianze tra le regioni costiere e quelle interne. Possiamo dire che l’interesse di interrogare le memorie individuali della rivoluzione tunisina risiede proprio nel fatto che queste contribuiscono alla costruzione della memoria collettiva della rivoluzione. La memoria collettiva è fatta di memorie individuali. Le testimonianze rivelano l’aspetto utilitario: la disponibilità di informazioni sul vissuto dell’evento garantisce un sapere utile sul loro effetto sul presente e quindi contribuisce ad aumentare il grado di credibilità dell’azione futura. Ciò significa che l’esperienza della rivoluzione può contribuire a portare a fare delle scelte di vita diverse, come è stato per Bouthania”.
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