La Tunisia ha commemorato il decimo anniversario della sua rivoluzione in mezzo a una crisi sanitaria e a una continua instabilità politica che colpisce tutte le istituzioni del Paese. Una rivoluzione che, nel 2011, non solo ha segnato la fine di una dittatura durata 23 anni, ma ha anche spinto il Paese e altri nella regione verso la transizione democratica, un percorso che solo la Tunisia continua a percorrere.
Il 14 gennaio 2021 era un giorno atteso da tutti gli attori politici e della società civile tunisina: un momento di commemorazione e ricordo per alcuni, una data simbolica per protestare contro la lentezza delle riforme per altri, o anche una nuova opportunità per dare voce alle richieste di una vita più dignitosa.
Tuttavia, da quel giorno, la repressione della polizia contro gli attivisti dei diritti umani e i membri dei movimenti sociali ha solo continuato ad espandersi, con più di 2.000 arresti effettuati tra gennaio e marzo 2021, brutalità e repressione che vediamo costantemente anche nelle ultime settimane.
A parte una timida copertura da parte dei media tunisini e una copertura romanzata da parte della stampa estera, il decimo anniversario della rivoluzione è stato commemorato in uno scenario morigerato e soprattutto indifferente. Tuttavia, alcune manifestazioni hanno offerto momenti che hanno fatto più discutere dell’evento stesso: i manifestanti in Tunisia hanno innalzato cartelli con slogan contro le istituzioni e contro diversi i politici – ad esempio richieste di scioglimento immediato del Parlamento, dimissioni del suo presidente e dei leader dei blocchi parlamentari. Questi slogan erano spesso accompagnati da bandiere raramente viste nelle strade della Tunisia, in particolare la bandiera arcobaleno della comunità LGBTQIA+.
Dopo il 14 gennaio, sono stati organizzati raduni per celebrare il decimo anniversario e per protestare contro la situazione generale della Tunisia, contro la crisi politico-istituzionale e per la lentezza nell’attuare le riforme necessarie. Nonostante il blocco istituito dalle forze di sicurezza, i manifestanti si sono riuniti in più occasioni nell’Avenue Bourguiba, centro storico di Tunisi e spazio altamente simbolico della Rivoluzione, inveendo contro i palazzi delle istituzioni, con azioni non violente e inneggiando a slogan antigovernativi e contro le forze di polizia.
Le immagini dei palloncini carichi di vernice lanciati contro gli scudi della polizia, o della ragazza che ha usato lo stesso come specchio per mettersi il rossetto, sono state condivise sui social media e su alcuni media. La reazione delle forze di polizia è in linea con diversi regimi dittatoriali: sono state utilizzate le foto diffuse sui social media per rintracciare gli attivisti. Per settimane, Tunisi, e in particolare il quartiere Ettadhamen, è stata terreno di quella che può essere considerata una caccia alle streghe. Più di 2.000 manifestanti sono stati arrestati e accusati sulla base di false accuse come reato di indecenza, disturbo dell’ordine pubblico o diffamazione di pubblici ufficiali in servizio. Questi arresti non si sono limitati alla capitale, ma si sono diffusi in tutta la nazione in almeno 14 governatorati.
Un comunicato stampa del 9 marzo 2021 cofirmato da più di 60 associazioni e organizzazioni nazionali e internazionali ha ricordato l’ondata di “arresti abusivi […] e la violenza, le minacce e le molestie da parte degli agenti di polizia sul terreno e sui social media“.
Il Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES) ha sottolineato nello stesso comunicato stampa dell’11 marzo 2021 che
“oltre 2.000 arresti, la maggior parte dei quali arbitrari, sono stati registrati in due settimane in almeno 14 governatorati del paese. Più del 30% degli arrestati erano minori. Sono state commesse diverse violazioni dei diritti: detenzioni arbitrarie, umiliazioni, torture, trattamenti inumani e degradanti, minacce e intimidazioni verbali e fisiche, molestie e sorveglianza online. Molti attivisti e sostenitori dei diritti umani hanno anche riferito di essere stati arrestati e/o perseguitati per il loro attivismo“.
Ci sono stati diversi casi di repressione particolarmente eclatanti: il 24 gennaio 2021, Haykel Rachdi, un giovane manifestante, è morto dopo essere stato colpito da una bombola di gas lacrimogeno a Sbeitla (governatorato di Kasserine) durante una protesta notturna. Il 28 febbraio, Rania Amdouni, un’attivista LGBTQIA+, è stata arrestata in una stazione di polizia dove si era recata per sporgere denuncia per le molestie e le minacce quotidiane degli agenti che la pedinavano. Il 3 marzo, Abdessalam Zayane è stato arrestato durante le manifestazioni a Sfax; è morto in detenzione per non aver ricevuto insulina. L’8 marzo, tre membri di organizzazioni della società civile, Mehdi Barhoumi (International Alert), Mondher Saoudi (Cartographie Citoyenne) e Sami Hmaïed, sono stati arrestati sulla base di segnalazioni anonime non confermate di assembramenti illegali e sono stati sottoposti a trattamenti degradanti in detenzione. Infine, lo scorso giugno la morte di Ahmed Ben Ammar dopo il fermo da parte delle forze dell’ordine e il video della brutalità della polizia contro il minore di 15 anni a Sidi Hassine ci ricorda che, oggi più che mai dal 2011, gli abusi sono molto reali e sempre più flagranti da parte del Governo.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani in Tunisia, immediatamente dopo le manifestazioni di giugno, ha dichiarato preoccupazione per “le gravi e ripetute violazioni dall’inizio dell’anno [che] rivelano continue disfunzioni nei servizi di sicurezza interni“. Ma anche altre organizzazioni per i diritti umani come l’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura (OMCT), hanno riportato l’evidenza di pressioni da parte del sindacato delle forze dell’ordine su magistrati e avvocati coinvolti in casi di presunti abusi della polizia, ma anche nei confronti delle vittime e dei testimoni. Importante sottolineare che le rimostranze legali lanciate in risposta a presunte trasgressioni sono ignorate, o spariscono all’interno della burocrazia dello Stato.
Questa ondata di repressione senza precedenti rivela il grande vuoto creato dalla mancanza di riforme nel settore della sicurezza negli ultimi dieci anni. Pugno duro sul tema dei diritti e delle libertà da parte del Primo Ministro, nonché Ministero degli Interni, una marcata reticenza da parte degli agenti di polizia verso qualsiasi forma di protesta, e un contesto politico e sanitario estremamente teso hanno senza dubbio portato al più grande declino delle libertà individuali e collettive dalla cacciata di Ben Ali.
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