Tutto inizia un anonimo sabato nell’ottobre 2022 dal consueto perdersi intenzionale per le stradine di Sidi Bou Said, cittadina che è meraviglioso gioiello del litorale nord della “grande Tunisi”. La “Santorini della Tunisia” è famosa e turistica soprattutto per le sue case bianche e porte blu, per il pittoresco groviglio di stradine, per le splendide viste panoramiche e per i caffè. Giunti nella zona alta del villaggio, sentiamo due uomini, di cui uno tunisino all’aspetto, parlare in francese di un toro indicando un cancello. Incuriositi, sbirciamo e vediamo effettivamente un grande toro legato. I due signori ci spiegano che verrà sacrificato l’indomani mattina in un evento tradizionale a cui ci invitano.
Siamo nella Zawiya, a Sidi Bou Said, dove si sta svolgendo un antico rituale sufi (Qui trovate la prima parte del reportage). Un altro ragazzo inizia ad entrare in trance. La tensione cresce di nuovo. Esagitato, viene tenuto fermo da molti uomini. L’elettricità è al massimo. Tutti siamo sovreccitati e chiassosi. Omar ci suggerisce infervorato: “He is a hyena”. La iena. All’inizio non capiamo. Poco dopo invece la distinguiamo chiaramente a causa dei suoi comportamenti. Viene lasciata. Punta un ragazzo e praticamente gli salta addosso. Gli altri uomini che la circondavano accorrono prontamente a salvare il ragazzo dalle sue “grinfie”. Segue una gran confusione, non capisco nulla di cosa stia succedendo. Vi è fermento.
Danze rituali nella logggia della Zaouia Sidi Bou Said (photo credits Cloé Gosparo)
La cosa successiva che noto è un ragazzino che corre inseguito da una delle guide spirituali, un uomo sulla quarantina alto e possente, con gli occhiali. Non immaginavo potesse correre a quella velocità. Attraversano il corridoio umano in un baleno e spariscono dietro un angolo verso l’uscita. Sono ancora più confuso.
Per fortuna, Omar è sempre pronto ad innaffiarci con il suo acume. Ci spiega che la iena punta sempre qualcuno e lo attacca. Lo sventurato sa che deve correre il più veloce possibile, deve scappare. Omar ci dice che altrimenti si rischia non la morte, ma ci si può comunque rompere qualcosa. Ci dice che il ragazzo, probabilmente per goliardia, non è invece scappato davanti alla iena inferocita.
“A quel punto però – continua Omar – una delle guide spirituali si arrabbia “come una iena”, per rimanere in tema, anzi, di più, si imbufalisce e punta a sua volta il ragazzo, probabilmente per impartirgli una sonora lezione”. Ora il giovanotto non fa più lo spavaldo e fugge a gambe levate. Il nostro amichevole mentore suppone che la guida non può ammettere incidenti, la tradizione richiamerebbe l’attenzione delle autorità e verrebbe probabilmente normata e limitata per ridurre i rischi. Da cui l’ira del leader spirituale.
Se la memoria non mi inganna, era proprio nella bocca della iena che una guida spirituale mise qualcosa che non identificai subito. Un piccolo pezzo, platealmente alzato verso il cielo e diretto verso le “fauci dell’animale”. Quest’ultimo, inginocchiato e famelico, quasi salta vorace ad azzannare il pezzo. Lo mastica e lo inghiottisce. Omar ci spiega che era vetro, com’è usanza nella Hadra.
Un piccolo intermezzo smorza un po’ l’adrenalina. Quelli che sembrano due giovani novizi si passano sulla pelle dei fasci infuocati. Li appoggiano a terra, devono spegnerli a mani nude in un colpo solo. Falliscono. Infine, riescono a soffocare i piccoli focolai dopo pochi ulteriori tentativi.
Ora è il momento del leone. Arriva un uomo incappucciato in una spessa kachabia, un abito tradizionale, che ipotizzo lo avvicinerebbe esteticamente al personaggio. Tarchiato e possente, entra in trance. Rivela quindi il viso ruvido e la testa calva. Due uomini tengono delle pesantissime catene metalliche. Tra loro il leone le afferra, le solleva e le fa cozzare a terra. Si rompono al primo colpo, con un fragoroso clang. Sembra quasi che la folla tiri un sospiro di sollievo. Ma è ancora in trance, va liberato.
Tuttavia, c’è un problema. Un ragazzo dal pubblico entra pure in trance, diventa il gatto. Anche lui va liberato nella loggia della moschea. Ma i due “uomini-animali” non possono stare così vicini, ci spiega il provvidenziale Omar. La tensione cresce. Il gatto sta diventando ingovernabile, il leone sta uscendo dalla trance, non può essere interrotto. La folla è agitata, ancor di più gli uomini in bianco. Il gatto è un tornado, il leone ancora nelle braccia dello Shayk. La sensazione palpabile nell’aria era come quella data da una pentola a pressione sul punto di fischiare, come un palloncino troppo gonfio. Infine, il leone viene scortato all’esterno, contestualmente il gatto viene spinto all’interno della loggia, vi sembra quasi sgusciare. Esce anche lui dalla trance.
Così si conclude il rituale della Hadra, insieme a una delle serate più mistiche, inaspettate, surreali ed emozionanti della mia vita.
Le performance corporali sono il culmine della trascendenza. Sono chiamate “Takhmir”, che significa intossicazione. In questo modo il devoto entra in contatto con un’entità che è sia dentro sé stessi che oltre sé stessi, causando un “inselvatichirsi”, un estraniarsi, una sorta di metempsicosi nel tentativo d’incarnare le proprietà migliori del Divino. Similmente, l’importantissima figura d’Ibn ‘Arabi suggerisce di andare non “verso” Dio ma “in” Dio, poiché il «Vero Dio è con noi ovunque noi siamo».
La recitazione musicale dei versetti del Corano e dei nomi Divini seguono lo stesso ritmo tra loro, iniziando lenti e accelerando gradualmente. Le transizioni nella trance avvengono al culmine quando lo Shaykh, la guida spirituale, interrompe la recitazione e introduce una nuova frase o nome da ripetere.
Diffuso tra le sponde del Mediterraneo, il sufismo è così potente che è ormai presente persino in Europa. Ne parla Alessandra Marchi nel suo libro “Le vie del sufismo verso l’Europa mediterranea. Percorsi di conversione, diffusione e trasformazione sociale”.
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