Estate 2003: un uomo in sella alla sua moto, armato di un coltello, sfregia i fondoschiena delle donne che si trovano per le strade di Tunisi, diventando per tutti lo “challat”, lo “sfregiatore”. La gente si interroga su chi possa esserci dietro quest’uomo : una mossa del governo ? Un estremista religioso ? Nessuno l’ha mai visto veramente: immediatamente questa figura misteriosa, a metà tra leggenda e realtà, divide la popolazione tra chi ha paura per la propria incolumità e chi nutre una sorta di ammirazione per le sue gesta.
Undici le vittime sfregiate dalla sua lama, finché un giorno i media locali trasmettono la notizia del suo arresto e “grazie al benamato presidente Ben Alì” le donne di Tunisi possono tornare a dormire sonni tranquilli. Ma negli articoli di cronaca di quegli anni, non compare mai il nome vero e proprio dello “challat”: si parla solo di “un giovane di 21 anni” arrestato e incarcerato. Dieci anni dopo, Kaouther Ben Hania, giovane regista formatasi alla scuola del cinema all’Edac, conduce gli spettatori in una sorta di inchiesta alla ricerca del vero “challat”.
Girato come se fosse un documentario d’inchiesta, in realtà il film mescola abilmente fiction e realtà, tra interviste reali e inventate e la satira di Ben Hania porta a riflettere sulla condizione della donna tunisina nella società post Rivoluzione. Mentre la regista affigge nei caffè del quartiere annunci per cercare la figura dello challat per un film, si sentono discutere degli uomini sulle sue azioni: tra chi sostiente che “sia un’azione che fa parte della cultura musulmana”, e chi invece sottolinea come “l’Islam non c’entri niente” e sia piuttosto il fardello della “cultura araba”.
Tra i giovani i sentimenti sono contrastanti: “Definitemi pure salafita o estremista – afferma uno degli intervistati -, ma secondo me ha fatto bene: una donna non si deve vestire in modo provocante. L’uomo ha i suoi istinti: se una donna viene violentata, se l’è andata a cercare”. Durante il casting per trovare lo “challat”, la sorpresa: le audizioni vengono interrotte bruscamente da Jalel, un ragazzo che si presenta con un vecchio articolo tra le mani e, una parolaccia dietro l’altra, affronta la regista dicendo di mandare a casa tutti gli uomini in sala, perché il vero “challat” è lui. Dopo alcune verifiche, sembra proprio così: la regista si mette alla ricerca della sua abitazione e riesce a incontrarlo: i suoi toni, davanti alla madre, sono estremamente diversi rispetto al primo incontro.
Cominciano le domande sul perché delle sue azioni, che lui definisce come un “errore di gioventù”. In seguito lo si vede in alcuni momenti della sua vita quotidiana, come l’incontro con uno dei suoi fan, che ha inventato un videogioco – che avrà vita breve grazie all’intervento di una donna – in cui lo “challat” incontra per strada donne velate e non, e deve sfregiare solo il fondoschiena delle non velate. Un buon videogioco, secondo un imam di una moschea interpellato dal giovane inventore, in quanto “fa capire che se una donna si copre, è protetta da Dio, mentre se si veste in modo provocante, è soggetta a furti od altro”.
Per non parlare di un acquisto di Jalel: il “verginometro”, invenzione di una donna tunisina che permette, in base all’analisi dell’urina, di “dire addio al lenzuolo bianco macchiato di sangue della prima notte di nozze” e capire in anticipo se la donna con cui si vuole iniziare una relazione seria sia ancora vergine o meno.
Cosa è reale e cosa inventato ? Allo spettatore rimane il dubbio, un dubbio che lo spinge a riflettere sulla società tunisina post Rivoluzione e sul ruolo della donna, spesso ancora lontana dal raggiungere una vera parità tra i sessi.
Qui è possibile vedere il film.
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