Nel libro racconto la storia della mia famiglia materna, perché l’ho vissuta da nipote, tra Tunisi e Bologna. La cultura della mia famiglia materna era Italo – tunisina, e io vivevo questa duplice essenza, che però non era sempre compresa dalle persone a me vicine. Il mio rapporto con la Tunisia è quello di un grande amore: conoscere il diverso mi ha aperto cuore e mente”. Lorenzo Bonazzi, classe 1983, ha pubblicato recentemente “Al di là del mare – una storia italiana tra le due sponde del Mediterraneo” (Affinità elettive). Una storia che rientra a far parte delle opere che parlano degli “Italiani di Tunisia”, con una particolarità: “quella di raccontare la storia di questa comunità nella Tunisia coloniale”. Per un anno Bonazzi ha raccolto le memorie di sua nonna, intervistandola di volta in volta. Un modo per far conoscere questa realtà, in cui è stato immerso sin da piccolo, crescendo in un ambiente famigliare in cui la Tunisia ha da sempre avuto un posto molto importante, entrando a far parte della sua quotidianità attraverso il cibo e i modi di fare, ma non solo.
“Mio padre è bolognese, mentre mia madre italo – tunisina. Vivevo questo sfasamento culturale: per me non era un limite, ma qualcosa di arricchente. Tutte le estati andavo in Tunisia, per tre o quattro mesi, vivendola nella sua quotidianità, ricordo ad esempio il contadino che portava il latte fresco a mia nonna, gli amici del Kram con cui giocavo, le amiche di mamma e della zia che venivano in casa a chiacchierare. E poi andavamo al mare, a far spesa al mercato centrale a Tunisi, ricordo le contrattazioni infinite per l’acquisto di un tappeto. I vicini da piccolo volevano circoncidere anche me: per loro era qualcosa di naturale, ero sempre lì, perché non farla? Eravamo ‘gli italiani del Kram’. Ho vissuto la Tunisia di Ben Alì, anche una parte degli ultimi anni di quella di Bourguiba, ma di quest’ultima non ricordo molto. Dell’epoca di Ben Alì ricordo che, al netto dello stato di polizia e dittatoriale, era una Tunisia aperta, multiculturale, tollerante, senza estremismi religiosi. La povertà veniva nascosta. La corruzione si vedeva sin nelle piccole cose, così come lo stato di polizia: la foto di Ben Alì doveva essere esposta ovunque, la Presse era l’organo di informazione dello Stato, non aveva libertà di espressione. Ho quindi assorbito tutta questa cultura araba, imparando anche il francese e il tunisino. Ma questo ‘mondo’ lo ritrovavo anche a Bologna: la famiglia materna era una sorta di famiglia matriarcale allargata, dove si viveva il più possibile assieme, e avevano portato gli usi, i modi di essere, le tradizioni, dalla Tunisia all’Italia. In famiglia si sono sempre portate avanti tradizioni siciliane e tunisine, e mia nonna cucinava anche dolci francesi, piatti arabi e maltesi, era una gran cuoca. Ero sempre impregnato di queste storie, di questi racconti di vita famigliare sull’altra sponda del Mediterraneo.
I famigliari mi raccontavano costantemente della vita in Tunisia, era qualcosa che era rimasto dentro e si portavano dietro. La famiglia di mia nonna è stata tra le ultime a lasciare la Tunisia, mentre per gli altri che sono dovuti partire dopo l’Indipendenza, è stata una sofferenza psicologica di non poco conto, come se il loro cordone ombelicale fosse stato reciso da un giorno all’altro. La prima ad andare via fu la sorella di mia nonna, Matilde, che negli anni ’60 decise di partecipare a un concorso per svolgere la professione di assistente sociale a Bologna. Fu una partenza non per necessità, ma semplicemente per poter trovare altre opportunità. Anche mia madre venne in Italia a 18 anni, per studiare all’università. Poi arrivarono in Italia i genitori, con una figlia: essendo anziani, preferirono rientrare in Italia per le cure mediche e il sistema di welfare. L’ultima a lasciare la Tunisia fu proprio mia nonna Ida: per lei l’Italia era una casa sognata, ma non la vera e propria Casa. Lei era rimasta in Tunisia perché lì aveva la sua vita, le sue amiche, le sue conoscenze, ed era ancora molto attiva nel mondo del volontariato. Dopo la morte del nonno, negli anni ’90, è venuta a Bologna, ma ritornava in Tunisia d’estate: era la prima che apriva la porta della casa al Kram e l’ultima a chiuderla. Fino all’età di 92 anni è sempre voluta andare là, anche se magari non usciva più di casa. E questo suo legame con il Paese è stato trasmesso a me e alle generazioni future.
Mia nonna Ida quando è arrivata in Italia, non si è mai sentita del tutto amalgamata nel tessuto italiano, non si è mai sentita del tutto accettata. L’Italia che lei, e gli Italiani di Tunisia, sognavano, non esisteva davvero. Gli Italiani di Tunisia erano pienamente inseriti nel contesto culturale arabo e francese. Mia nonna prima ha vissuto nella Medina: la sua era una famiglia inizialmente povera, che è riuscita a riscattarsi e ad affrancarsi, mentre la famiglia di mio nonno materno era agiata, possedeva diversi palazzi e negozi di calzature. Poi nonna è andata a vivere al Kram, un paesino di mare sulla costa, vicino a Tunisi. La Tunisia è sempre stata presente nella mia vita e ho sentito la necessità di scrivere di questo mio bagaglio culturale, anche un modo in un certo senso per salvare la storia famigliare, che è allo stesso tempo una storia di emigrazione che ritengo essere attualissima. L’obiettivo all’inizio non era farne un libro, ma piuttosto un archivio sonoro, poi ho provato a mettere il tutto nero su bianco e alla fine ho scelto per questa soluzione. Il messaggio che si può ritrovare nel libro è ancora di attualità: aiuta a comprendere che questi fenomeni migratori ci sono sempre stati, fanno parte della Storia dell’uomo. É vero che le migrazioni possono anche portare delle problematiche, ma il non voler comprendere, mettere un muro a prescindere, parlare di arabi ed Islam come se fossero un unico monolite, è sbagliato. E io credo che mettere nero su bianco, raccontare queste esperienze di vita, mostrare che una convivenza è possibile, sia importante. I rapporti tra l’Italia e i Paesi del Mediterraneo ci sono sempre stati: sapere che prima eravamo noi ad attraversare il mare ed andare dall’altra parte del Mediterraneo, sapere che i giornali francesi intitolavano in prima pagina ‘il pericolo italiano’, dovrebbe aiutare a capire che la Storia si ripete, che i rapporti interculturali esistono, che veniamo tutti dalla stessa matrice culturale, quella del Mediterraneo, che è un mare d’incontro, dove sono nate le civiltà più antiche. Non è un voler mettere i paraocchi: la diversità esiste e ci sono posizioni politiche con idee diverse, ma è importante capire che c’è una matrice storica comune e tentare di vedere questi problemi in modo non propagandistico e a suon di slogan politici. Cercare di comprendere perché ora sono loro che partono, che non serve bloccare le partenze, sottacere, ma cercare di risolverle. La storia degli Italiani di Tunisia insegna che far finta che il problema non esista, è sbagliato.
Stare sin da piccolo a contatto con l’Altro mi ha aperto mente e cuore. L’ultima volta che sono stato in Tunisia era il 2019, subito dopo l’attentato in Avenue Bourguiba. Ho trovato una Tunisia cambiata, più in difficoltà rispetto alle estati trascorse da bambino e adolescente, più donne con il hijab, più attenzione ai dettami religiosi. Alla fine ogni momento storico ha le sue caratteristiche, anche se mi è sembrato che la Tunisia stia perdendo un po’ l’aspetto della multiculturalità, si stia più omologando verso i Paesi arabo – musulmani. La multiculturalità, se ci pensiamo, era nata dalla colonizzazione del Paese: ha sì arricchito la Tunisia, ma era dato dal fatto che è stata governata da Paesi esterni. Ad ogni modo vedo negli ultimi anni un interesse verso questo passato, che spero che i Tunisini non perdano. E’ stato qualcosa di transculturale, che ha arricchito tutte le parti, c’era una vera commistione, come per la processione della Madonna di Trapani alla Goulette, c’era un meeting pot culturale unico, un senso di appartenenza che andava oltre la religione, o quando si vedevano coppie appena sposate passare per strada, le donne arabe intonavano gli zagarith, le grida di festa. Ho tanti ricordi legati alla Tunisia, e qualcuno l’ho inserito anche nel libro. Quando andavamo via, Fatima lanciava sul taxi dell’acqua: l’acqua va e ritorna, era un augurio affinché potessimo ritornare ancora in Tunisia. La Tunisia fa parte di me: anche se non sono lì fisicamente, lo sono sempre con il pensiero”.
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