Melita, rifugio mediterraneo: la mostra di Anne Immolé sulle migrazioni tra Malta, Italia e Tunisia a Tunisi fino al 9 novembre

3 minuti

L’uomo per natura, creatura mobile

ieri, oggi e domani

si muove ancora e ancora e ancora

un corpo di conoscenza

per il bene di tutti

perché divider genti

nate sulla terra di tutti

guarda al di là di razze, credo e condizioni

guarda cosa ci accomuna:

ambienti condivisi, sfide condivise

la diversità non è un limite

per l’integrazione di tutti

perché divider genti

nate sulla terra di tutti

Terra di tutti – S. Bah, C. Bevilacqua

Mediterraneo, dal latino «mediterraneus», che sta in mezzo alle terre. Spazio in cui Europa, Africa e Asia si toccano, si incrociano, si mescolano, si amalgamano. Spazio in cui viaggi, conquiste e spostamenti si sono susseguiti e si susseguono tutt’ora, seguendo una linea temporale di atemporalità. “Le cose sono cambiate. I motivi non sono gli stessi. I movimenti migratori di oggi non possono essere paragonati a quelli dell’antichità”. E se invece si potesse? E se si potessero tracciare delle linee comunicanti tra le rotte del passato e quelle del presente?  Esattamente questo prova a fare la fotografa Anne Immolé con la mostra «Melita, mlt, refuge», all’interno del vivace contesto artistico del Jaou festival, biennale di arte contemporanea a Tunisi.

Le rotte migratorie odierne e i viaggi dei fenici sono presentati fianco a fianco, come sfondi di un movimento continuo che caratterizza il Mare Nostrum, come giustapposizione tra l’antico e il contemporaneo. La parola «Melita» contorna questo parallelo poetico riflettendo la complessità del fenomeno e unendo le diverse lingue e i diversi significati ad essa associati. Infatti, sebbene «Melita» sia la traduzione araba e latina del nome di Malta, la sua etimologia è più ampia ed effettivamente sconosciuta. Ciò ha portato gli studiosi a fornire diverse spiegazioni che hanno riunito possibili origini greche, fenice e ebraiche. In particolare, quella che ci interessa maggiormente è la derivazione del nome di Malta dall’ebraico “Malet” o dal fenicio “Maleth”, tradotti entrambi con i vocaboli intercambiabili di “rifugio/riparo/asilo”, ipotesi chiaramente riconducibile al posizionamento della più grande delle isole che costituiscono l’Arcipelago Maltese.

Ritratti di richiedenti asilo nell’esposizione Melita a Tunisi – photo credits Marzia Ferraro

Il rifugio diventa così il filo conduttore, la direzione comune di un viaggio fotografico tra passato e presente, terreno di incontro tra Paesi mediterranei, simili e diversi allo stesso tempo: Tunisia, Italia e Malta. La fusione tra passato e presente è realizzata attraverso l’alternanza dei visi espressivi di Hadia, Mhammed, Chamsoudine, Habtom, Chakib e Noura, persone dalle origini più disparate e ora tutte residenti a Malta, con immagini di grotte fenice maltesi; attraverso la rappresentazione di Samir, Fatma, Naby, Adam, Ibrahima, Delfina e Said e quella di siti archeologici punici in Sicilia e Tunisia. Un andamento che potrebbe sembrare sconnesso, ma che assume un significato profondo quando si riconosce l’atemporalità di un’azione così semplice, ma diventata nel tempo così aleatoria: il movimento umano.

Lo spostamento delle persone costituisce oggi un terreno di scontro, nido di una politicizzazione estrema che disumanizza e categorizza, a destra e a sinistra. Il solo termine migrazione ha ormai assunto una connotazione del tutto negativa, diventando espressione di un concetto fin troppo esteso, alimentato da anni e anni di discorsi volti alla sua mistificazione. La mostra è quindi fondamentale per farci tornare alla naturalezza del fenomeno, alla sua origine, per aiutarci a comprendere.

Una foto dell’esposizione Melita – pghoto credits Marzia Ferraro

Troppo spesso ci dimentichiamo che una storia è tale poiché narra le vicissitudini di un essere umano che merita di essere visto, merita di essere ascoltato. Se lasciassimo dello spazio in più alla comprensione, ci renderemmo forse conto che Melita, con il suo significato di rifugio, riparo, asilo non fa poi così paura e che il Mediterraneo, inizio e troppo spesso fine di storie di spostamenti, potrebbe tornare ad essere il mare che sta in mezzo, luogo di contatto tra terre che si confrontano e si arricchiscono, modello civile di una società aperta.

La mostra è visitabile gratuitamente fino al 3 novembre all’Istituto francese di Tunisi.

© Riproduzione riservata


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