Quando l’amore finisce: l’importanza di coltivare entrambe le identità dei figli

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Quando una storia d’amore finisce, spesso sopraffatti dal dolore, si vorrebbe chiudere con il passato, cancellare ciò che ha unito, buttare via gli oggetti regalati dal partner e tutto ciò che lo ricorda. Una cosa che non si può fare quando quest’unione ha portato dei figli: i figli sono – almeno in teoria – quell’elemento che continuerà a legare, volente o nolente, le due persone, soprattutto se sono ancora molto piccoli. 

In caso di matrimoni interreligiosi, la questione si complica ulteriormente, perché nel momento della separazione/divorzio, si possono acuire le questioni legate all’educazione dei figli, culturale e religiosa, e questi ultimi purtroppo spesso diventano vittime di genitori che non riescono a mettere da parte le loro incomprensioni coinvolgendo gli inconsapevoli minori in queste diatribe. La stessa società non aiuta: “Lo sapevo che sarebbe andata a finire così”, “io te l’avevo detto che loro non sono affidabili”, e via dicendo, girando ulteriormente il coltello nella piaga. Una vita a lottare contro i pregiudizi e a cercare di dimostrare che i matrimoni duraturi di questo tipo esistono, spazzata via dalla scelta di separarsi, spesso per ragioni non dovute alla diversa nazionalità. 

Eppure, il bene dei figli dovrebbe continuare a essere la priorità, anche quando l’amore tra i genitori finisce. Non è semplice, ma neppure impossibile. 

Ho sentito spesso dire “Ah, con un tunisino mai più”, “Sono tutti uguali”, “Mi spiace, ma in Tunisia non metterò più piede” e via dicendo. Reazioni comprensibili, dettate da un turbinio di emozioni differenti. Ma la doppia identità dei propri figli è importante, è importante cercare di valorizzare entrambe le appartenenze, di non sminuire una o l’altra, ma di mantenere un equilibrio. E di mantenere gli accordi prestabiliti prima di avere figli, riguardanti l’alimentazione, la scelta del credo da far seguire loro, i rapporti con i famigliari nel Paese natio del partner straniero. 

Andare al di là delle proprie esperienze negative 

Dieci anni fa, quando collaboravo con il blog Yalla Italia, avevano ripreso un mio articolo in cui parlavo dei pregiudizi nei confronti delle “coppie miste”, e una lettrice aveva commentato infervorata contro, chiamando proprio anche in redazione per poter avere modo di parlarmi. Le risposi, e da lì nacque un bello scambio e la incontrai anni dopo in Tunisia, e la sua storia secondo me è un bellissimo esempio al riguardo. Simona (nome di fantasia) era sposata con un ragazzo tunisino, da cui ha avuto un figlio, Omar, ora adolescente. C’erano stati episodi di violenza, e Simona riuscì a farlo allontanare da lei e dal figlio e lui finì nei guai e in carcere. Nonostante quanto le avesse fatto passare, Simona portò il figlio in Tunisia dai nonni: voleva che in qualche modo continuasse ad avere un legame con il Paese del padre. Omar ha continuato a vederlo e sentirlo, con incontri protetti, e se i primi tempi aveva un atteggiamento di chiusura verso tutto ciò che era Tunisia, negli ultimi anni ha ripreso in mano questo legame. Un legame che in realtà il padre non aveva mai coltivato. Per me la loro storia è significativa perché Simona avrebbe potuto benissimo fregarsene e non cercare di spingere il figlio a coltivare il legame con la Tunisia, ma ha continuato a farlo in questi anni, a trasmettergli il suo amore per questa terra, al di là dell’esperienza personale con il suo ex marito, e la sua buona volontà ha dato i suoi frutti. 

Coltivare la doppia identità

E’ importante che siano i genitori a indirizzare i figli, per evitare che cadano nelle mani sbagliate. Tempo fa lessi il romanzo “I fiori di Al Qaida” di Giuseppe Caruso.  Tra le varie storie che raccontava, quella di un ragazzo italo egiziano che era entrato in un vortice di estremismo religioso, fino a dare della puttana alla madre per come si vestiva e a fare un attentato in cui perse la vita. Proprio perché la rabbia aveva preso il sopravvento nella ricerca della sua identità. Mi colpì tantissimo e al momento della nascita delle mie figlie mi è ritornato in mente, assieme alla paura che qualcosa di simile possa accadere a loro. 

Coltivare la loro doppia identità, dicevo, anche quando il partner da cui ci si è separati non aiuta in questo senso. Se non si vuole rischiare a viaggiare nel Paese da sole con figli minori – purtroppo nonostante la legge sia stata abolita, spesso all’uscita chiedono ancora l’autorizzazione del padre per uscire dal Paese -, si può cercare di raccontarlo e farlo vivere in altro modo, attraverso le tradizioni, culinarie e non, attraverso la lettura di libri bilingui, attraverso corsi di lingua araba. 

Non lasciate che la rabbia prenda il sopravvento, fate in modo che i vostri figli possano prendere il meglio da entrambe le culture, coltivate entrambe le loro appartenenze: sarà per loro fonte di arricchimento.

© Riproduzione riservata


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