Sofia Argyropoulou è la responsabile del Centro Culturale Greco di Tunisi da due anni. Una realtà che ha aperto le porte nel 2001, ed è animata da docenti distaccati dal ministero dell’istruzione greca. Quello diretto da Argyropoulou è assimilabile in tutto e per tutto a un istituto di lingue straniere: «I nostri corsi si tengono nel pomeriggio, due volte la settimana, perché non siamo una scuola paritaria, non facciamo parte del sistema scolastico tradizionale. Si studia il greco moderno, non quello antico. Abbiamo anche delle classi maternelles, sempre pomeridiane, per i bambini molto piccoli, dedicate a chi ha un genitore o un parente stretto greco: si insegna la nostra lingua in maniera interattiva e ludica, sempre con lo scopo di mantenere salde le nostre radici».
In effetti, la storia della presenza greca a Tunisi e in tutta la Tunisia è particolare e ricca di episodi interessanti. «Quella di Tunisi è stata una grande comunità – dice Argyropoulou -. All’inizio del 1900 ne sono nate altre due, a Sfax e a Djerba. Sostanzialmente, si trattava di pescatori di spugne, emigrati per continuare a svolgere qui la loro attività originaria. Durante il secondo conflitto mondiale, però, quel tipo di pesca fu vietato e le due comunità più piccole si sono via via ristrette, fino a scomparire circa quarant’anni fa. A testimonianza della loro esistenza restano due chiese, una a Sfax e una a Djerba, mentre il nucleo tunisino si è conservato anche se con numeri molto limitati e, oggi, conta circa ottanta membri iscritti». Si tratta di una nuova generazione di greci in terra tunisina, però, perché quelli del secolo scorso lasciarono il Paese proprio durante la guerra per riparare soprattutto in Francia e in Canada. «L’identikit del greco di Tunisi, oggi, è di un individuo intorno ai quarant’anni. Spesso sono donne sposate con uomini tunisini. Generalmente, i greci che stanno qui sono liberi professionisti, oppure commercianti; alcuni lavorano nelle istituzioni come funzionari. Le donne, talora, non lavorano, si occupano della famiglia e dei figli. A volte si tratta di coppie che si sono conosciute all’estero e poi hanno deciso di spostarsi qui. Anche il nostro presidente, greco, è sposato con una donna tunisina».
La natura avventurosa del popolo greco è una delle ragioni per cui esistono rappresentanze della loro cultura in moltissimi Paesi, del Mediterraneo e non: «Indubbiamente noi greci amiamo scoprire e viaggiare, lo si sa già dall’antichità. La presenza dei greci qui è certa già prima di Cristo. La prima comunità greca ufficialmente fondata a Tunisi nacque nel 1649, e si trattava di schiavi affrancatisi dall’occupazione ottomana. Dal 1800 in poi ci fu la possibilità di essere più organici nella società tunisina, tanto che un personaggio importante come l’ex Gran Visir Mustapha Khaznadar era originario di un’isola greca, Chio. Ma il caso tunisino è particolare: mentre in Egitto e in Marocco, per esempio, ci sono molte scuole greche, anche quando in Tunisia vivevano migliaia di greci non c’è mai stata una scuola ufficiale per imparare la lingua madre. È stata un’integrazione diversa rispetto ad altri territori. Le famiglie, qui, preferivano la lingua francese per i loro figli, perché era l’idioma che apriva la strada per completare studi all’estero, dava loro una direzione verso i Paesi francofoni nella speranza che i ragazzi potessero ambire a posti di lavoro più prestigiosi. Qui i greci si sono integrati nella società coloniale francese. Da un lato è un peccato, se si vuole, ma ci sono sempre ragioni per questo tipo di accadimenti».
A ulteriore riprova della profondità dei legami della comunità greca con la Tunisia, c’è una forte presenza e attività spirituale: «La nostra chiesa – aggiunge ancora Sofia Argyropoulou – ha sempre assunto questo ruolo di riunire e tenere vicina la comunità. L’arcivescovo greco tuttora va e viene dalla Grecia e, quando è qui, si occupa molto di questa nostra piccola realtà. C’è anche una grande collaborazione con la chiesa ortodossa russa. Durante le celebrazioni maggiori, il sacerdote russo è officiante con quello greco. Ed è una contaminazione molto interessante». I problemi di convivenza interreligiosa in Tunisia sono molto marginali, se non assenti: «Qui si è sempre vissuti in pace, i tunisini sono un popolo aperto. Prima di essere qui, sono stata dieci anni in Egitto, a insegnare in una scuola greca. Loro sono più conservatori, più chiusi. Fin dall’antichità, quello tunisino è stato un “carrefour” di civiltà, con gente di tutti i Paesi e molteplici credenze religiose. Anche le donne, in Tunisia, hanno molti diritti, direi che sono in sostanziale uguaglianza con gli uomini. La Costituzione le protegge, anche se certe cose sono scritte su carta e non del tutto applicate». In effetti, la borghesia locale è come quella occidentale, semmai le classi meno abbienti e gli abitanti delle zone rurali scontano un po’ più di arretratezza. Dopo la rivoluzione della dignità, poi, qualcosa è cambiato: l’impressione generale è che gli stranieri vengano maggiormente tollerati nei loro costumi, mentre i cittadini locali abbiano qualche problema in più. «Ma la Tunisia – chiude Argyropoulou – rimane un’isola di libertà e di accoglienza, rispetto ai Paesi vicini». Un privilegio da tutelare e da proteggere, insomma, proprio come la cultura greca.
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