E’ il 2014 quando Rosita Ferrato, torinese, giornalista professionista, mette piede per la prima volta a Tunisi, con la missione di far rinascere la redazione in lingua araba della rivista BabelMed. Non se ne farà nulla, ma questo viaggio segnerà per sempre la sua vita, tanto che Tunisi diventerà quasi casa sua. Il libro « Tunisi la città nascosta – una guida emozionale » (Neos Edizioni, 2021, 191 pagine) è un omaggio dell’autrice a questa città, dove ha subito trovato la sua dimensione.
« Non mi era mai successo : ero fresca, ero in pace, un’anima nuova, pronta a rifiorire, nel suo ambiente, nella bellezza ritrovata del suo mondo. Un’anima antica che ritrovava la sua patria, una parte di me che credevo perduta, ma che da anni chiamava, dandomi il tormento. Ero finalmente tornata a casa ? ».
Come suggerisce il titolo, non si tratta di una guida turistica, ma emozionale, in cui l’autrice racconta la sua Tunisi : uno sguardo quindi soggettivo, ma in cui ci si può riconoscere facilmente e (ri)scoprire con occhi diversi la capitale tunisina. Il libro si divide in cinque sezioni : i luoghi, la cucina rossa, prima di continuare, la banlieu e le feste comandate. Sezioni a loro volta suddivise in paragrafi, dove alle descrizioni dei luoghi si alternano appunti di viaggio, riflessioni, ritratti, racconti di vita quotidiana, vissuti in prima persona, con un invito a spogliarsi dei propri preconcetti. Al centro del libro alcune fotografie, scattate dall’autrice, mentre le illustrazioni di Gabriele Scarafia, che la ritraggono in diversi luoghi, accompagnano la lettura.
Non mancano episodi divertenti, come la ricerca di un istituto di bellezza adeguato, che l’autrice troverà dopo svariati tentativi e disavventure o i « diverbi » con i taxisti. Piccoli episodi in cui, chi ha vissuto per un periodo nella capitale mescolandosi tra la gente comune, non farà fatica ad immedesimarsi : e così si sorriderà e si verrà assaliti dalla nostalgia, pronti a prenotare un biglietto aereo per rivivere quelle emozioni che solo la Tunisia sa dare e che l’autrice riesce a descrivere perfettamente.
E lei, diventata ormai la « bint el hama », la figlia del quartiere, conosciuta e accettata dagli abitanti, ci accompagna per mano alla scoperta di alcuni segreti della Medina, il suo quartiere e nei luoghi più amati o attrattivi, come le varie porte di Tunisi – come Bab Bhar, luogo di confine tra la città vecchia e quella nuova -, i monumenti, i piatti tradizionali, i mezzi di trasporto, le gite fuori porta, ma anche a fare la spesa al marché central, a partecipare a un matrimonio, a cercare casa in affitto tramite il samsar, l’intermediario. Non mancano anche le criticità, ciò che in Tunisia la rende sofferente, perchè « quando le persone (e i problemi) inizi davvero a verderle, una città diventa la tua città » , non solo verso il Paese, ma anche verso gli expats, o meglio, un tipo di expats, verso i quali l’autrice si toglie un sassolino dalla scarpa :
« L’unico pericolo che ho colto è questo, e perdonate la brutalità, di cui non sono mai priva : il cliché di chi sembra vivere in una colonia, chiuso nei propri giardini, di chi non si mescola con il popolo, di chi non fa la spesa al mercato, di chi non ha la più pallida idea di chi sia la gente che vive nel paese che ha scelto per trascorrere parte della propria esistenza. Non sono molti per fortuna, ma ci sono : quelli che sembrano usciti da un film come Passaggio in India. Un invito a costoro : mescolatevi, parlate con la gente, superate i pregiudizi. Troverete il buono e il cattivo, il meglio e il peggio, vi piacerà molto, non vi piacerà, ma almeno avrete veramente vissuto in un altro paese e non in un feudo »
Nel libro traspare l’amore per Tunisi – « fonte inesauribile di poesia, di incontri, di merci colorate, un gran bazar a cielo aperto » e per i suoi abitanti, la lezione di vita del Paese nordafricano, (vivere alla giornata, con un approccio fatalistico che si ritrova nell’onnipresente In’sha Allah), dove bisogna armarsi di calma e pazienza per vivere a proprio agio , dove « non c’è spazio per il superfluo : è una dieta dell’anima » e « rimane lo spazio per godersi il più importante, quello che veramente si desidera »