Più ci si avvicina al 25 luglio, più il cosiddetto “referendum” si rivela piuttosto un plebiscito, pro o contro Kais Saied. Difficilmente i Tunisini potranno entrare nel merito di un progetto comunicato venti giorni prima della chiamata alle urne e ulteriormente modificato in seguito: “Sceglieranno come i tifosi sostengono la squadra del cuore”, spiega un giovane tunisino. Di conseguenza le varie analisi del progetto in circolazione non servono tanto ad orientare l’opinione pubblica – la quale non ha avuto modo di formarsi attraverso un dibattito democratico, ragion per cui molti partiti e organizzazioni invitano al boicottaggio –, quanto a capire meglio il progetto personale di Kais Saied. A questo fine c’è un aspetto del progetto di Costituzione che non ha ricevuto quasi nessuna attenzione ed è tuttavia illuminante. Esso riguarda il potere locale o meglio la sua abolizione.ed è in flagrante contraddizione con la retorica di Kais Saied sull’empowerment delle zone più povere e marginali.
Nella Costituzione del 1959 (“costituzione di Ben Ali”) al potere locale è dedicato un solo articolo (art. 71) che recita:
“I consigli municipali, i consigli regionali e le strutture alle quali la legge conferisce la qualità di collettività locali gestiscono gli affari locali nelle condizioni previste dalla legge”.
In soldoni: sono degli uffici amministrativi dipendenti dal Ministero dell’Interno per svolgere servizi come l’anagrafe o le licenze commerciali e i permessi urbanistici. Non a caso erano la longa manus del potere di Ben Ali e del RCD. Andiamo a guardare la Costituzione del 2014 (“Costituzione della Rivoluzione”): al potere locale è dedicato un intero capitolo (Titolo VII) composto di 11 articoli (artt.131-142). Le innovazioni che introduce sono importanti.
In primo luogo estende la struttura comunale all’intero territorio (art. 131). In passato i comuni esistevano soltanto nelle regioni urbane e costiere, le quali avendo una rappresentanza avevano più potere e ricevevano una parte consistente del budget statale, mentre alle aree interne e rurali restavano solo le briciole. Per non parlare del fatto che gli abitanti di queste aree, per ottenere certi servizi – ad esempio certificati – dovevano recarsi presso il capoluogo del governatorato, a chilometri di distanza. Adesso l’intero territorio è diviso in comuni (come in Italia, per intenderci), ognuno ha il suo consiglio municipale ed il suo sindaco, in grado di difendere i suoi interessi di fronte al potere centrale e a quello del governatore.
In secondo luogo, fa obbligo all’autorità centrale di assegnare risorse supplementari alle collettività locali sulla base del principio di solidarietà e perequazione, vale a dire assegnando maggiori risorse alle aree più povere, contrariamente a quanto avvenuto finora (art. 136). Ed è ciò che l’ARP ha fatto. Cito due testimonianze. Un deputato di Attyar (opposizione): “In Parlamento passavamo il tempo a varare provvedimenti a favore delle aree interne”. Un consulente politicamente vicino ad Ennahdha: “Sono state sottratte risorse alle città costiere per spostarle sulle aree interne. Ne è conseguito un certo degrado di queste ultime, come nel caso di Sousse da cui provengo, e questo ha alimentato il malcontento verso il governo”.
In terzo luogo introduce
“i meccanismi della democrazia partecipativa … al fine di garantire la più ampia partecipazione del cittadini e della società civile all’elaborazione dei progetti di sviluppo e di pianificazione territoriale e al controllo della loro esecuzione …”
(art. 139). Oggi i comuni che sono riusciti ad ottenere maggior coinvolgimento sono premiati con ulteriori risorse di budget. Non a caso i “progetti partecipativi” erano la prima cosa di cui parlavano i nuovi sindaci e assessori che ho intervistato dopo le elezioni municipali del 2018. All’inizio del 2020, le assemblee municipali aperte in cui i cittadini potevano decidere a cosa destinare una certa quota del bilancio comune (il cosiddetto “bilancio partecipativo”) erano assemblee vivacissime, con molti giovani e donne, tanto nei quartieri borghesi quanto in quelli popolari della capitale, ma anche nei comuni del profondo sud che per la prima volta avevano un sindaco.
E il progetto di Costituzione del 2022 (“Costituzione di Kais Ben Saied”)? Siamo tornati ad un solo articolo (art. 133):
I consigli municipali, i consigli regionali, i consigli provinciali e le strutture cui la legge conferisce il carattere di collettività locale devono promuovere l’identità e gli interessi locali conformemente alla legge
Si tratta di un ritorno puro e semplice all’era di Ben Ali: la Costituzione si limita a dire che esistono dei consigli territoriali: come vengono formati e cosa fanno è materia di legge. Significa che essi non godono di protezione costituzionale, né di automia politica e finanziaria. Non possono prendere decisioni su ciò che li riguarda e dovranno subire come in passato le decisioni del potere centrale. Per esempio il comune del Bardo si era opposto ad un progetto di ferrovia ad alta velocità che passava nel bel mezzo del quartiere. Si trattava di un “progetto presidenziale” di Ben Ali. Se oggi per caso Kais Saied lo volesse riprendere, il comune non potrebbe più opporsi.
Il progetto di Kais Saied introduce, è vero, il “Consiglio Nazionale delle Regioni e dei Distretti”, ma in esso i comuni – la “cellula di base della democrazia” come li definiscono i politologi – non sono menzionati. Il Consiglio si configura come struttura piramidale e verticistica con funzioni puramente consultive. Praticamente una brutta copia dell’“Alto Consiglio delle Collettività locali” previsto dalla Costituzione del 2014 (art 141), con il compito di esaminare le questioni relative allo sviluppo locale e di dare il suo parere su leggi e progetti in materia di pianificazione, bilancio e finanze locali. La Costituzione del 2014 stabilisce che questo Alto Consiglio “risiede fuori dalla capitale”: un modo per calcare la mano sull’autonomia dei territori rispetto al potere centrale. Nella Costituzione di Kais Saied questo Alto Consiglio diventa l’Assemblea Nazionale delle Regioni e delle Province, senza avere maggiori poteri dell’organo consultivo precedente, tenuto conto del fatto che il potere legislativo è stato degradato a “funzione” amministrativa.
A sostegno del proprio progetto Kais Saied si appella al principio dell’unità nazionale implicitamente contrapposto a quello del decentramento. Ma dai tempi dell’Indipendenza fino alla Rivoluzione l’accentramento presidenzialistico non ha fatto altro che accentuare il dualismo tra zone urbane e costiere ricche, zone rurali e interne povere. Se ne dovrebbe dedurre che forse la ricetta non era quella giusta. Riproporla oggi in salsa bicamerale difficilmente porterà al tanto invocato riequlibrio territoriale dello sviluppo.
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