Due fiocchi rosa sono comparsi a Tunisi, nei giorni roventi – tanto sul piano meteorologico quanto su quello sociale – di questa estate 2021. Alla svolta del solstizio, a tre giorni di distanza l’una dall’altra, sono nate Sarah e Arij, figlie rispettivamente di Amina e Intissar, la prima responsabile manageriale, la seconda co-direttrice di TLC – Tunisia Language Centre. E un terzo fiocco rosa è atteso per l’autunno quando Hajer, insegnante di arabo classico, diventerà mamma a sua volta, portando a tre il numero delle “TLC babies”.
Questa è la storia di un’impresa tutta al femminile che si intreccia, insieme a quella delle sue protagoniste, con la storia della Tunisia degli ultimi dieci anni, quelli dopo Ben Ali. TLC nasce nel 2017. In quell’anno la Tunisia post-rivoluzione era in mezzo al guado. L’entusiasmo per le grandi conquiste civili e politiche – dalla libertà di espressione alle prime libere elezioni della sua storia – stava gradualmente cedendo il posto alla delusione a fronte dell’inasprimento della crisi economia e del persistere delle ineguaglianze sociali e i giovani colpiti dalla disoccupazione stavano di nuovo proiettando i loro sogni su altre sponde.
Ed ecco che due giovani donne – Takwa e Intissar – si inventano un’impresa a basso tasso di investimenti e alto tasso di occupazione. Intuiscono che la Tunisia ha un’importante risorsa immateriale: il plurilinguismo. Qui il coesistono dialetto tunisino e l’arabo classico, permangono cospicue aree di francofonia, emerge l’inglese tra le giovani generazioni e si fa strada con successo il tedesco. In quanto all’italiano è parte del patrimonio storico di un paese che nei secoli scorsi ha accolto i nostri emigrati e rifugiati politici e che dopo l’Indipendenza lo ha imparato guardando la nostra televisione e ancora si commuove per Raffaella Carrà. Takwa e Intissar sono cresciute poliglotte, l’una in Francia l’altra in Gran Bretagna, la prima insegnante di lingue, la seconda giurista e avvocato. La loro esperienza si riflette in TLC, una scuola di lingue centrata sull’arabo classico (fussha), con l’ambizione di offrire metodi di insegnamento meno tradizionali di quelli correnti ma anche qualcosa di più: un accesso alla cultura del Paese alternativo al consumo di folklore e ai pacchetti standard del turismo di massa.
Lo hanno fatto con una scuola collocata nel centro di Tunisi. Con i corsi di cucina ospitati dagli insegnanti nelle proprie case. Con i tour della capitale in bicicletta sull’onda del mutamento culturale che ha promosso la bici da mezzo di trasporto dei poveri e dei contadini a simbolo cool della mobilità ecologica e giovanile. Con incontri presso le associazioni spuntate come funghi dopo la rivoluzione e visite al nuovo Parlamento democratico nello storico palazzo beylicale del Bardo. Con l’assistenza offerta a giovani ricercatori, laureandi e dottorandi, provenienti dai quattro angoli del mondo, per raccogliere dati e fare interviste.
Per Amina la storia di TLC è anche la “storia dei miei vent’anni” e questa a sua volta è la storia della Tunisia della rivoluzione. “Quando la mia application per il posto di responsabile manageriale presso TLC è stata accettata ero disoccupata da 18 mesi – era un periodo molto duro” esordisce. Quando le chiedo se questo sia da collegarsi alla crisi economica e sociale del paese post-rivoluzione afferma sorprendentemente: “No, tutto il contrario. La rivoluzione ha aperto per noi giovani delle possibilità che non ci sognavamo sotto il regime di Ben Ali. Io sono nata a Mahdia, sono venuta a studiare Lingue a Tunisi dopo il baccalauréat. Avevo 22 anni quando è scoppiata la Rivoluzione e ad un tratto mi si sono aperte tante porte. Ho lavorato con Al Bawsala, una ong di promozione della cittadinanza attiva. Ho incominciato a fare fotografia. Ho avuto una borsa di studio per uno stage in Germania. Facevo documentari. Ero impegnata nella società civile. Ero felice.”
Poi, nel 2016, mentre la politica tunisina si impantana nelle crisi istituzionali, Amina deve fare i conti con i propri limiti. “Ero ingenua, non sapevo relazionarmi con la gente”. Prima difficoltà sul lavoro, poi la lunga disoccupazione. E tuttavia l’anno successivo viene assunta a TLC con il suo primo vero ruolo di responsabilità: “Prima ero sempre assistente di qualcuno” spiega. Il fatto che l’impresa fosse a direzione femminile è stato rilevante? “Moltissimo. Mi sono trovata in un ambiente in cui mi sentivo a mio agio. Non basato sulla gerarchia ma sulla cooperazione e sullo scambio. Takwa e Intissar sono bravissime organizzatrici, ho imparato tanto da loro. A mia volta ho potuto trasmettere loro – che non sono cresciute in Tunisia – la mia conoscenza del contesto locale.”
Quando hai incominciato a lavorare non eri ancora sposata. Come ti sei organizzata dopo?
“Il mio fidanzato lavorava a Mahdia, io a Tunisi – sono 250 chilometri di distanza. Quando ci siamo sposati tutti gli chiedevano: “Come puoi permettere a tua moglie di vivere lontano da te?” Io invece ho suggerito alle direttrici che avrei potuto lavorare tre giorni in sede e quattro giorni da casa – ed era prima della pandemia! Loro mi hanno risposto: “Proviamo. Facci vedere cosa riesci a fare …”. Risultato: quando è arrivato il coronavirus noi eravamo pronte. TLC ha offerto corsi intensivi online ma ha anche attivato servizi di traduzione e seminari. Non mi aspettavo di rimanere incinta ma una gravidanza in questo periodo è stata un’ottima idea. Certo, richiedeva molto coraggio. Come “l’amore al tempo del colera”. Io sono risultata positiva al covid test quando ero al sesto mese di gravidanza. Era il periodo di ramadan. La bambina stava incominciando a muoversi e questo mi dava una grandissima forza. Lavoravo per lei.”
Pensi che questa esperienza sia comune ad altre donne?
“Si. Lo smartworking è stato una grande opportunità. E la maternità ti dà potere, diventi una superdonna. Guarda Intissar: ha discusso la sua tesi di dottorato in maggio e la sua bambina è nata in giugno. E’ la sua seconda. E non ha smesso di dirigere la scuola e di fare tante altre cose. Guarda Hajer: lo voleva da tanto un bambino. E arriva proprio adesso. Tre nuove nascite nella nostra piccola comunità, in questi mesi difficilissimi per il paese. Con la maternità cambia il punto di vista. Io prima vivevo un po’ nel paese delle meraviglie e ho conosciuto tanti fallimenti – nel lavoro, nelle relazioni. Ma un fallimento non è la fine, è l’inizio di qualche cosa di nuovo”.
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