Il titolo è provocatorio. Ma è così che mi sono sentita quando sono stata assunta al posto di una ragazza tunisina. Ma facciamo un passo indietro.
Sono ormai due mesi che cerco un nuovo lavoro: fare la freelance da Tunisi per i media italiani non è così remunerativo, e non essere indipendente economicamente e vivere con i suoceri comincia a pesarmi. Voglio prendere in affitto una casa tutta nostra, ma ovviamente un solo stipendio – visto che il marito lavora in un call center – non basterebbe a coprire tutte le spese. Ho lavorato come insegnante di italiano in una scuola: una bellissima esperienza, ma poi i corsisti sono diminuiti e così non hanno più avuto bisogno di me. Ed eccomi di nuovo punto a capo, a spulciare gli annunci di lavoro sui vari siti tunisini, ma ovviamente l’arabo è richiesta come lingua nella maggior parte dei casi, e il mio arabo è a livello davvero elementare, ho fatto solo tre mesi di full immersion alla Bourguiba School. Mando comunque curriculum a gogo.
A fine mese il cellulare squilla: « Madame Frana, potrebbe venire a fare un colloquio venerdì pomeriggio ? ». Venerdì ho fissato un’intervista, ma ce la posso fare, studio le distanze tra il luogo dell’intervista e quello del colloquio e confermo. Non ricordo nemmeno quale lavoro sia e al telefono la persona è stata molto vaga: verificherò sul posto. Sono agitata, non so cosa mi aspetta, ma allo stesso tempo spero davvero che tutto vada a buon fine. Salgo le scale dello stabile, chiedo di Mademoiselle Selma: è lei – che scoprirò poi essere la mia coordinatrice – a farmi il colloquio, assieme al gérant – al dirigente – dell’azienda, di origine belga. Il colloquio viene fatto in una stanza che si rivela essere la sala pranzo, c’è un via vai di gente, non proprio professionale come inizio (« Non pensavo che ti saresti presentata » mi rivelerà poi Selma). Selma mi spiega il lavoro da fare: stanno creando un sito in diverse lingue, io mi occuperò della lingua italiana, dovrò cercare informazioni per creare i contenuti. Il lavoro non mi ispira granché, ma ho bisogno di lavorare.
C’è già una ragazza tunisina, che ha studiato la lingua italiana, che sta lavorando al tutto, la affiancherò e lavoreremo assieme. Selma esce, rimango con il capo, mi chiede quanto vorrei di stipendio, concordiamo 800 dinari mensili – diventeranno poi 900 con il « premio » -, la mansione è di « redattrice in lingua italiana ». Lunedì si comincia, in ufficio alle 9, si lavora fino alle 18.00, con pausa pranzo e le varie pause, mi spiegheranno tutto per bene. La distanza da l’Aouina, dove alloggio, al centro, non è tantissima, ma la mattina è il caos, il traffico è davvero tanto. Lunedì mi sveglio con largo anticipo e mi reco alla fermata del pullman: non essendoci indicati gli orari, si va a tentativi. Se i pullman saranno tutti pieni, prenderò un taxi. Arrivo in ufficio puntuale, ma, sorpresa: la ragazza tunisina che dovevo affiancare non c’è, è stata licenziata dopo il mio colloquio.
Sono l’unica ragazza straniera nell’azienda ; la mia postazione è in una stanza con le altre colleghe tunisine, che cominciano a borbottare tra di loro. Non capisco ancora benissimo il tunisino, ma il senso del discorso è che hanno paura di perdere il posto: ognuna di loro si occupa di una lingua, chi del francese, chi dello spagnolo, chi dell’inglese: se arrivasse una madrelingua, anche loro farebbero la stessa fine della collega silurata dall’oggi al domani? Io sono veramente dispiaciuta di questa cosa e mi vengono in mente tutte le volte che gli italiani – o perlomeno, alcuni italiani – gridano contro l’immigrato che ruba loro il lavoro. Ecco, in questo momento mi sento proprio così: la straniera che ha « rubato » – anche se involontariamente – il lavoro a una persona locale.
Eppure, assumere una persona straniera, in Tunisia, non è così semplice (lo avevamo raccontato qui), bisogna dimostrare che questa persona è indispensabile per l’azienda e che nessun tunisino può svolgere la stessa mansione. Ho dovuto presentare il mio diploma di laurea, ma credo che alla fine la mia assunzione non fosse del tutto a posto a livello legale. Fortunatamente avevo già un permesso di soggiorno per matrimonio : per lavorare era richiesta questa documentazione. Ma spesso è un circolo vizioso: chiedono il permesso di soggiorno per lavorare, ma per averlo – se non sei pensionato, hai una rendita fissa dall’Italia comprovata o sei sposato a un cittadino/a tunisino/a – devi avere un’occupazione. Un cane che si morde la coda.
Ad ogni modo, la sensazione di aver « rubato » il lavoro a un’altra persona me la sono portata dietro per mesi e mesi…. ed è anche capitato che, sostando in pausa caffè davanti alla porta e parlando magari italiano al telefono, si avvicinassero dei tunisini chiedendo che ci facesse lì un’italiana. Quando spiegavo che lavoravo in quello stabile, mi guardavano stupiti dicendo « Ma come, non c’è lavoro per i tunisini e lo hai trovato tu ? Dimmi come hai fatto… ».
Ho lavorato per un anno con questa società, e sono sempre stata benvoluta da tutti, colleghe comprese, con cui, dopo il primo momento di diffidenza, è nata una bella amicizia che continua tuttora a distanza di anni… ci sono state anche tensioni ed invidie, ma con donne esterne al mio ufficio.
Trovare lavoro in Tunisia ad ogni modo non è così facile come si potrebbe pensare: spesso ricevo messaggi di giovani che pensano di trasferirsi nel Paese dall’oggi al domani, con l’idea che essendo italiani troveranno subito qualcosa. Non è proprio così: sia per le difficoltà legate all’assunzione, sia per il fatto che l’arabo per tanti lavori è una competenza che non può mancare, sia per il fatto che gli stipendi sono pagati in dinari e commensurati a quelli locali.
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