I dieci anni tumultuosi che hanno seguito la Rivoluzione tunisina del 2011 possono vantare, tra tanti fallimenti, un indiscutibile successo: la costruzione istituzionale di organismi democratici – parlamento, autorità indipendenti, autonomie locali – conformi agli standard riconosciuti dalla comunità internazionale e talora più avanzati che in altri Paesi di tradizioni democratiche consolidate. Ciò vale in particolare per quanto concerne la presenza delle donne nelle istituzioni rappresentative.
Tra le novità favorevoli ad un rapporto più equilibrato delle presenza dei due sessi nell’ambito dell’acquis démocratique post-rivoluzione – ormai quasi totalmente smantellato da Kais Saied – figuravano leggi elettorali volte a tradurre in realtà concreta il dettato costituzionale dell’articolo 34 (“Lo Stato veglia a garantire la rappresentatività delle donne nelle assemblee elettive”) e soprattutto dell’articolo 46 della Costituzione tunisina del 2014 che al terzo capoverso recita: “Lo Stato si impegna a realizzare la parità tra uomini e donne nelle assemblee elettive”. Si tratta di un’innovazione rivoluzionaria: basti ricordare che nelle costituzioni della maggior parte dei Paesi occidentali (Italia compresa) il principio della rappresentazione paritaria non figura.
La Costituzione tunisina del 2014, la “parità verticale” e la “parità orizzontale”
Ma non solo. L’articolo rende costituzionalmente vincolante un impegno concreto dello Stato per fare sì che il principio di parità si traduca in realtà. Ciò significa che i governanti possono essere chiamati dai cittadini a rispondere di mancati provvedimenti in tal senso. E’ in attuazione di questo dettato costituzionale che sono state varate due importanti norme. La prima è la legge elettorale 16/2014 che stabilisce la cosiddetta “parità verticale”, vale a dire l’obbligo per tutte le liste di alternare candidature maschili e femminili. Le seconda è la legge elettorale 7/2017 che modifica la precedente introducendo la “parità orizzontale”: tutte le formazioni che partecipano ad una tornata elettorale con più di una lista sono obbligate a presentare un numero eguale di capilista uomini e donne.
Ma già il decreto-legge 35/2011 per le elezioni dell’Assemblea Nazionale Costituente (ANC) del 2011 – varato dal presidente ad interim Fouad M’Bazaa su proposta dell’Alta Istanza per la Realizzazione degli Obiettivi della Rivoluzione (una originale istituzione di democrazia deliberativa aperta a esponenti di tutte le forze politiche, movimenti e società civile del paese) – introduceva l’obbligo di alternare candidature maschili e femminili nelle liste. E’ stato grazie a quella norma che all’Assemblea Costituente sono entrate 49 donne su un totale di 217 eletti, pari al 24%. Mica male se pensiamo che in Italia nel 2008 la percentuale di donne alla Camera era ancora ferma al 20% e solo nel 2013, grazie all’introduzione del principio della parità di genere, c’è stato il balzo al 30%. Nella prima Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (ARP) il numero di donne sale a 68, pari al 31% : una percentuale che le italiane ci hanno messo 70 anni a raggiungere. Infine nelle elezioni municipale del 2018, grazie alla combinazione di parità verticale e orizzontale, la percentuale delle donne elette nei consigli comunali sale al 47% – parità pura, finlandese.
Però alle elezioni legislative del 2019 la presenza delle donne scende al 22% e la cosa desta solo uno scandalo limitato a fronte dello spettacolo di un parlamento ingovernabile alle cui risse non sono estranee protagoniste femminili. Quel parlamento viene prima sospeso manu militari da Kais Saied e successivamente sciolto motu proprio. Lo stesso presidente annulla poi la Costituzione, ne riscrive una nuova, la sottopone ad un referendum che la maggioranza della popolazione boicotta, ma che passa comunque non essendoci quorum e che prevede un parlamento di tipo nuovo, bicamerale, con meno poteri.
Nuova legge elettorale: meno deputati e squilibrio tra presenze maschili e femminili
Le elezioni della prima delle due camere (della seconda non si sa ancora nulla) vengono fissate da Kais Saied il 17 dicembre 2022. Il 15 settembre 2022 viene emanata frettolosamente una nuova legge elettorale. Si tratta in realtà del decreto-legge 55/2022 che modifica ancora una volta la legge elettorale del 2014. Ricordiamo le principali novità: diminuisce il numero dei deputati, che passa da 217 a 161. 161 sono anche le nuove circoscrizioni elettorali per ognuna delle quali è in palio un solo seggio. In ogni circoscrizione viene eletto chi raccoglie il maggior numero di voti, purché superi il 50%, altrimenti si va al ballottaggio tra i due candidati più votati. Chi vuole farsi eleggere deve raccogliere 400 firme di appoggio alla sua candidatura. Non può presentarsi a nome di un partito e deve finanziarsi con soldi propri o di altri privati.
Sono questi i dati che hanno sollevato l’allarme circa il rischio di un forte squilibrio tra presenze maschili e femminili nel nuovo parlamento, a svantaggio delle donne. E’ un dato di fatto che sui 1058 candidati che si disputeranno i 161 seggi solo 122 (il 12%) sono donne. E’ intuibile che in una società fortemente patriarcale come quella tunisina le donne difficilmente avranno potuto mobilitare le reti familiari, tribali o clientelari per la raccolta di una cifra così alta di firme. E’ probabile che, disponendo di minore accesso a mezzi finanziari – partecipano meno al mercato del lavoro, soffrono di un gap salariale accertato a loro sfavore, hanno minore indipendenza economica – abbiano avuto maggiore difficoltà ad autofinanziarsi o a raccogliere fondi privati. E’ certo che hanno avuto minore accesso agli spazi pubblici in cui si forma l’opinione pubblica e politica, in primis i caffè che sono quasi esclusivamente spazi maschili.
Un Parlamento senza opposizione
La levata di scudi contro la legge elettorale per via del suo probabile impatto negativo sui rapporti genere è dunque più che giustificata. Tuttavia, viene da aggiungere, non è forse il problema principale. Ve ne sono altri, ancora più gravi. Come espresso in termini lapidari dalla costituzionalista Salwa Hamrouni, “la nuova legge elettorale non è favorevole alle donne e meno ancora ai poveri, a cui manca tanto il capitale finanziario quanto il “capitale sociale”. Inoltre, come sottolineato da un’altra costituzionalista, Hana Ben Abda, il découpage (delimitazione) delle nuove circoscrizioni elettorali, fatto frettolosamente, ha prodotto circoscrizioni “il cui numero di abitanti può variare da 115 mila a 45 mila abitanti”, ognuna però avente diritto ad un solo seggio, in violazione eclatante della parità di rappresentanza tra cittadini.
Se a fronte di regole del gioco falsate in partenza la maggioranza delle forze politiche ha invitato a boicottare le elezioni, e se per delusione e sfiducia la maggioranza della popolazione seguirà l’invito sicché a votare andranno solo i fedelissimi del presidente, allora più che un parlamento senza donne sarà un Parlamento senza opposizione.
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