Quattro manifestazioni a Tunisi nel giro di due giorni, alla vigilia del Referendum promosso da Kais Saied per plebiscitare la nuova Costituzione da lui scritta personalmente. La più consistente delle quattro forse arrivava al migliaio di partecipanti, le altre non superavano il centinaio. Rappresentano il tentativo di orientare l’opinione pubblica dopo l’attonito silenzio degli ultimi mesi. E raccontano anche le diverse anime politiche della Tunisia, che non possono essere forzate nel familiare schema dei “laici-contro-islamisti”.
Si incomincia venerdì sera, 22 luglio, davanti al Teatro Municipale sull’avenue Bourguiba, con la sinistra social-comunista di Hamma Hammami e Samia Abbou che invita al boicottaggio delle urne, ma si rifiuta di manifestare con Ennahdha. A parte i due maturi leader, i manifestanti sembrano extraparlamentari sessantottini: affaccendarsi concitato dei giovani organizzatori, voci acute delle giovani oratrici. Poi all’improvviso la partenza in corsa – quelle corse che nessuno sa perché, che segnalano tentativi di sfondare i blocchi della polizia, che seminano il panico tra i manifestanti più sprovveduti, i curiosi, i passanti. Di sicuro il corteo sta muovendo verso il Ministero dell’Interno, quindi sicuramente qualcosa succederà. Infatti dopo un po’, inversione di marcia: adesso i manifestanti corrono nella direzione opposta, ripiegando verso il Teatro, inseguiti dai poliziotti che sono ragazzini in ordine sparso, sembra una partita di ruba bandiera. C’è un pennacchio di fumo, sarà un lacrimogeno, una ragazza si accascia sul marciapiede in preda ad una crisi isterica, dopo un po’ si riprende, si riassetta il vestitino e torna tra i manifestanti. All’altezza dell’Hotel Africa, peraltro, nemmeno l’odore dei lacrimogeni arriva. Chissà che istruzioni hanno ricevuto i poliziotti: probabilmente di non cadere nelle provocazioni. Ciò non impedisce che il giorno dopo ci siano accorate proteste contro la violenza poliziesca, come nella tradizione di questa anima del Paese, ultrasinistrorsa e ultraminoritaria, con una presenza mediatica infinitamente superiore alla sua consistenza reale. Malgrado non abbia mai superato la malattia infantile dell’estremismo, essa è un pezzo importante della storia del Paese e dai suoi ranghi sono attivisti ed artisti.
Sabato mattina ci sono due manifestazioni in contemporanea. Davanti al governatorato di Tunisi si è radunato un drappello del Parti Destourien Libre – il Pdl della focosa Abir Moussi che si vuole erede del Rcd di Ben Ali. Dato in ascesa costante prima del colpo di stato, il partito e la sua leader sono stati abbandonati dai loro sostenitori che dopo il 25 luglio 2021 si sono riversati su Kais Saied, con il quale Moussi si è scontrata duramente. In un tripudio di rosse bandiere nazionali anche il Pdl, ovvero l’estrema destra, invita a boicottare il referendum che definisce una truffa. E, come l’estrema sinistra, si rifiuta di manifestare con qualsiasi schieramento in cui sia presente Ennahdha. C’è qui un’altra anima del Paese, l’anima desturiana che è migrata dal Neo-Destur di Bourghiba al Rcd di Ben Ali per approdare al Pdl di Abir Moussi, l’anima incline al capo carismatico, al partito unico, sprezzante del Parlamento, appoggiata dalle grandi corporazioni, promotrice del welfare e dell’islam di stato. Tutte cose, o quasi, che oggi ritroviamo nel programma di Kais Saied .
In parallelo alla manifestazione di Abir Moussi si svolge quella ben più consistente del Front National du Salut, un’ampia colazione che mette insieme partiti di ispirazione “laica” e “islamica”, storiche figure della sinistra come Jawher Ben M’Barek del movimento Citizens againt the coup (cittadini contro il colpo di stato) e dell’ala liberal-democratica come Néjib Chebbi. Ci sono i leader di Ennahdha e quelli della formazione scissionista di Ennahdha e c’è Samia Chaouachi, di Qalb Tounes, vicepresidente dell’ARP (L-assemblea dei rappresentanti del popolo) e presenza infaticabile di tutte le iniziative anti-Saied. Del resto le donne sono presenti in forza in questa come nelle altre manifestazioni: ormai ricevono un posto d’onore dappertutto e in questo la Tunisia tanto somiglia all’Europa. Sulle scalinate del Teatro le presenze ricordano i tempi migliori della Rivoluzione che su questi gradini ha scritto la sua Storia.
Cè un mix che da tanto non era dato vedere – uomini anziani dal volto scavato e ragazze giovani dal capo velato e allegri ragazzi coi codini alla moda e mature signore con tailleurs di seta cruda. E’ l’alleanza delle grandi emergenze, dei momenti più bui della storia del Paese e del momento magico della Rivoluzione appena nata. E’ l’anima politica plurale di un popolo che adora discutere e odia scontrarsi. Ai piedi della scalinata una giovane donna in carrozzina, con un caftano bianco, un foulard rosa e grandi occhiali da sole, esibisce uno dietro l’altro tre cartelli, sobri e lapidari. Il primo: “Niente democrazia senza potere legislativo“. Il secondo: “No ai discorsi che incitano all’odio” Il terzo è il famoso “erhil” – “dégage”!
Infine sabato tardo pomeriggio, sull’avenue di fronte al Teatro degli altoparlanti diffondono il famoso Humat al himà, l’inno nazionale tunisino che ha scandito i primi tempi della Rivoluzione e che da tanto tempo non si sentiva. Una macchina è ferma sotto gli alberi, due uomini si stanno affacendando, sulle loro T.shirt un enorme nahm, “sì”. E’ l’inizio di una manifestazione che si prolungherà fino a dopo il tramonto. Non sono in molti ma sono organizzatissimi: auto con scritta gigante, cartelli con la scritta sì, tondi, tutti uguali, verdi come anche le t-shirt e tutto il materiale. Chissà che Kais Saied non abbia eletto il verde – un colore tradizionalmente associato all’islam – come il suo colore, come il viola era quello di Ben Ali. Sotto i lampioni dell’avenue i supporter di Kais Saied cantano, ballano e arringano la folla e la coreografia ricorda quella dei tempi di Ben Ali.
Poi cala il silenzio elettorale,poi le urne si aprono e si chiudono e si aprono di nuovo. Tre manifestazioni su quattro invitavano a boicottare il referendum, tre quarti dei tunisini più o meno lo hanno fatto, solo un quarto ha manifestato e votato per il “si”. Forse manifestare nello spazio pubblico – una delle grandi conquiste della Rivoluzione – per i Tunisini ha ancora senso.
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