Siamo davanti al momento di caos politico più grave dalla fine della Rivoluzione: il Presidente Kais Saied, dopo una giornata di manifestazioni in tutto il Paese, ha invocato, nella notte, l’articolo 80 della Costituzione, rimosso il Primo Ministro Hichem Mechichi e, tra le altre misure, congelato i lavori del Parlamento. Come si è arrivati a tutto questo?
Le manifestazioni del 25 luglio
La Festa della Repubblica quest’anno, come l’anno scorso, si è tramutata in una giornata della rabbia. Diverse manifestazioni sono state organizzate in tutto il Paese, nonostante la gravissima situazione epidemiologica dovuta al Covid-19: con la media di 150 morti al giorno, la Tunisia è il Paese africano con la mortalità pro capite più alta del continente, gli ospedali sono al collasso, mancano ossigeno, posti letto, mascherine, medicine e materiale sanitario in genere, solo il 7% della popolazione è vaccinata, a dimostrazione della pessima campagna di immunizzazione e del fallimento del programma Covax. La gestione dei centri vaccinali è stata organizzata così male da aver portato il Presidente Saied a chiedere all’esercito di prenderne il controllo, acuendo ancora di più una crisi politico-istituzionale che va avanti da quasi due anni.
Stanche della malagestione della pandemia, dei continui rincari dei beni di prima necessità, della totale incapacità di dare risposte al Paese, paralizzato dalle scaramucce istituzionali e parlamentari, della brutalità della polizia nella repressione delle manifestazioni, ma soprattutto della crisi economica, diverse realtà hanno organizzato le manifestazioni di domenica 25 luglio. Tra queste, spicca il “Movimento 25 Luglio” che ha pubblicato qualche giorno prima delle proteste, l’insieme delle rivendicazioni che lo avrebbero portato in piazza. Tra queste: lo scioglimento del Parlamento, la rimozione dell’immunità parlamentare ai deputati accusati di aver commesso crimini sfruttando la loro posizione istituzionale, l’indipendenza del potere giudiziario, l’apertura di un’inchiesta sui fondi e prestiti ricevuti dal Paese dal 2011 e la dissoluzione dei partiti che hanno ricevuto fondi illeciti.
Ed è a quest’ultimo punto che si comprende perché nelle proteste di ieri, oltre ai cori contro Mechichi, i target dei manifestanti erano Rachid Ghannouchi e il partito Ennahdha. Com’è noto, sono diversi i rappresentanti del partito di Ennahdha, in primis il suo Presidente Ghannouchi, indagati dalla procura in merito alla ricezione di fondi illeciti e all’utilizzo illecito di fondi statali – principalmente si parla dei prestiti che la Tunisia ha ricevuto dal 2011 in poi – ed è da più di un anno che va avanti la battaglia parlamentare per la calendarizzazione del voto per la rimozione dell’immunità parlamentare di questi rappresentanti. Questi episodi hanno fatto sì che il malcontento generale nei confronti del partito aumentasse sempre più, fino all’apice avvenuto qualche settimana fa, in seguito alla richiesta di Ennahdha di pagare in tempi rapidi un risarcimento per le persecuzioni subite durante il regime di Ben Ali.
Il dossier del risarcimento danni per le persecuzioni di Ben Ali viene riaperto dal partito con ogni Governo che si è insediato dal 2011 – ricordiamo le dimissioni del ministro delle Finanze Houcine Dimassi nel 2012 proprio per questo tema – e nelle ultime settimane è stato nuovamente portato sul tavolo di Governo. Con la situazione economica catastrofica per il Paese, la pretesa di Ennahdha di ricevere il prima possibile 3 miliardi di dinari (poco meno di un miliardo di euro) ha scatenato l’ira della popolazione.
Questa rabbia l’abbiamo vista proprio nelle manifestazioni di ieri. Come anticipato, oltre alla richiesta di dimissioni di Mechichi, il principale target è stato Ennahdha: sedi del partito sono state prese d’assalto a Sfax, Touzeur, Gafsa, Kasserine, Kairouan, Monastir, Sousse, Nabeul, Siliana, e nella notte anche a Mahdia. Nonostante il blocco della polizia nell’Avenue Bourguiba, circa due mila manifestanti si sono trovati davanti al Parlamento a Il Bardo, Tunisi, urlando slogan contro i partiti e chiedendo lo scioglimento del Parlamento, riprendendo gli stessi slogan di dieci anni fa.
La polizia ha caricato i manifestanti sia a Nabeul che a Tunisi, sono stati diversi i feriti, compreso il fotoreporter Yassine Gaidi; su twitter circola il video di un ragazzo caricato su una moto della polizia inseguito a un fermo brutale. Ancora una volta, la risposta delle forze dell’ordine non si è fatta attendere.
Il colpo di mano di Kais Saied
La risposta presidenziale alle proteste è stata, dopo un incontro di emergenza con gli alti funzionari militari e della sicurezza nazionale, di invocare l’articolo 80 della Costituzione e di prendere misure straordinarie per il Paese. L’articolo prevede che “in caso di pericolo imminente che minaccia le istituzioni della nazione o la sicurezza o l’indipendenza del Paese, e che ostacola il normale funzionamento dello Stato, il Presidente della Repubblica può prendere tutte le misure rese necessarie dalle circostanze eccezionali, dopo aver consultato il Capo del Governo e il Presidente dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo e aver informato il Presidente della Corte Costituzionale.” Si parla di una misura limitata che dovrebbe durare trenta giorni.
Le misure prese sono state: rimozione di Hichem Mechichi e spostamento del potere esecutivo nelle mani della Presidenza della Repubblica, il congelamento dei lavori parlamentari e la rimozione dell’immunità per i deputati, divieto di uscire dal Paese per i deputati e scelta di un nuovo Primo Ministro che dovrà affiancare il Presidente in questi trenta giorni. Ultima, ma non meno importante, la dichiarazione in merito all’uso della forza: “a chiunque vuole sparare un solo proiettile, ricordo che le nostre forze armate sono pronte a rispondere con un muro di proiettili”.
La risposta della popolazione non si è fatta attendere e nella notte, nonostante il coprifuoco, si è riversata nelle strade della città, festeggiando di fronte all’arrivo dell’esercito e invocando il Presidente, che li ha raggiunti a notte fonda nel centro di Tunisi. Alcuni scontri si sono verificati di fronte alla sede del partito di Ennahdha nella capitale.
Le reazioni
Non sono mancate nemmeno le reazioni dei vari politici. Ghannouchi e Ennahdha sono stati i primi a dichiarare l’opposizione all’utilizzo dell’articolo 80 e denunciare un colpo di Stato da parte della Presidenza della Repubblica. Diversi parlamentari hanno tentato di entrare nella sede legislativa, ma sono stati bloccati dall’esercito che presiede l’entrata del Palazzo. Altri partiti, tra cui Al Karama, il Blocco Democratico e Qalb Tounes, hanno dichiarato di essere preoccupati e di non condividere l’invocazione dell’articolo 80 da parte del Presidente della Repubblica.
In mattinata, ci sono stati diversi scontri tra sostenitori del Presidente e di Ennahdha davanti al Parlamento. Ed è questo lo scenario che ci si aspetta: una spaccatura netta all’interno della popolazione dove da una parte troviamo gli elettori di Ennahdha, dall’altra chi sostiene il Presidente della Repubblica, dall’altra ancora quella parte di popolazione preoccupata di una possibile deriva autoritaria. Sono in molti, infatti, a sostenere che le decisioni prese da Kais Saied vadano contro quanto previsto dalla Costituzione e che la mancanza di una supervisione indipendente – ricordiamo che non è ancora stata istituita la Corte Costituzionale – possa riportare il Paese indietro di dieci anni. È ancora presto per capire dove andremo a finire, ma sicuramente la decisione di sgomberare gli uffici di Al Jazeera questa mattina non sono un presagio positivo.
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