Lamia, Housseim, Marwan, Selma, Mohamed, Amira, Walid, Imen, Imed, Essia, Sara, Skander. Dodici storie di vita raccontate in prima persona dai giovani protagonisti. Dodici testimonianze dirette che offrono al lettore un punto di osservazione privilegiato sulla società tunisina e in particolare sulla sua gioventù. Il libro “Message in a bottle – storie e testimonianze di giovani tunisini otto anni dopo la rivoluzione”, scritto da Mario Sei e pubblicato dalla casa editrice Agenzia X nel 2019, è il risultato di un prezioso lavoro di registrazione e trascrizione di conversazioni, avvenute tra l’autore, professore di letteratura italiana contemporanea all’Università Manouba di Tunisi, e alcuni studenti. Ad accomunare i protagonisti, è la partecipazione ai corsi della Facoltà e lo studio della lingua italiana. In molti casi, una scelta imposta dal ministero della Pubblica istruzione, che indirizza gli studenti verso alcuni percorsi di studio precludendone altri, in base alla media ottenuta alla maturità.
I ricordi positivi e negativi degli anni universitari si intrecciano con quelli legati alla rivoluzione (che nel 2011 portò alla caduta del regime di Ben Ali), vissuta dall’interno partecipando a proteste e manifestazioni, o solo osservata con curiosità dall’esterno. In ogni racconto, c’è un bilancio lucido e disincantato del periodo post-rivoluzione, in cui la speranza, le aspettative e l’entusiasmo hanno lasciato il posto a rabbia, frustrazione, apatia, delusione, alla luce della profonda crisi economica e della mancanza di prospettive nel Paese. “La gente è delusa, amareggiata, e sono in tanti a pensare che fosse meglio prima – spiega Housseim, 28 anni – È dura soprattutto per tutti quei giovani che parteciparono alle rivolte, celebrati inizialmente come eroi per poi tornare a essere quella massa di disoccupati ed emarginati senza voce che erano prima”.
Attraverso queste testimonianze, spesso racconti intimi di violenze familiari o strutturali (abusi della polizia, povertà estrema, inquinamento ambientale, mancanza di opportunità nell’entroterra e nelle periferie), il testo affronta tanti temi diversi: dall’attivismo politico, al sistema universitario tunisino; dalle complicate relazioni sociali ai conflitti identitari delle seconde generazioni; dalla politica dei visti ai matrimoni di convenienza. Nonostante la determinazione dei giovani e la voglia di riscatto, da molti racconti traspare una costante sensazione di incertezza e precarietà, legata alla difficoltà di trovare un lavoro stabile in Tunisia, progettare il proprio futuro e realizzarsi. Tanto che alcuni dei protagonisti vedono l’emigrazione come unica alternativa. In questo senso, paure e preoccupazioni sono condivise con i giovani europei, che però possono spostarsi più facilmente, a differenza dei giovani tunisini.
“Oggi penso che l’unica soluzione sia lasciare il mio paese e riuscire a partire, ma non è così che immaginavo la mia vita quando ero più giovane – racconta Mohamed, 28 anni – Per il momento, partire è il mio solo e unico progetto, ma sto cercando delle vie legali, non voglio rischiare di morire in mare”. “Se mi verrà assegnata la borsa per l’Ungheria, partirò – ammette Imed, 27 anni – non per sfuggire alla miseria (…) partirò per obbligarmi a reagire”. In ogni capitolo del libro, c’è un riferimento diretto o indiretto al tema delle migrazioni. Sono migrazioni sognate, progettate, attese, realizzate, ma anche rifiutate con convinzione o rimandate in attesa di ottenere un visto. Sono perfino migrazioni al contrario, da parte di chi arriva dall’Italia e vive la Tunisia come una possibilità e non come una gabbia.
A fare da cornice al testo, oltre all’introduzione dell’autore, la postfazione a cura del ricercatore Lorenzo Feltrin, che inserisce questi racconti nel più ampio contesto storico, politico e socio-economico tunisino. Ferlin ripercorre le tappe delle lotte e delle mobilitazioni giovanili, illustra alcuni dei principali processi di trasformazione in corso ed evidenzia come la precarietà lavorativa ed esistenziale, imposta ai giovani tunisini, di fatto ritardi l’inizio dell’età adulta. Il libro restituisce ai lettori una complessità che spesso manca nel racconto giornalistico del Paese nordafricano, offre nuove chiavi di lettura e permette di osservare la società tunisina con occhi diversi, al di là degli stereotipi che presentano tutti i giovani come migranti clandestini, criminali e terroristi. “Message in a bottle” è un testo importante, da leggere con la consapevolezza che le storie di vita, affidate ai lettori dall’altra parte del Mediterraneo, sono tuttora in divenire e che il futuro della Tunisia è ancora da scrivere.
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