Il cibo come elemento per raccontare le culture del Mediterraneo: è quello che fa Hager Salah, 30 anni, italo – tunisina, di Cremona, attraverso la sua pagina “Una mediatrice in cucina”: “Mi piace raccontare le altre culture attraverso il cibo – spiega a L’altra Tunisia –, per mostrare che quelle del Mediterraneo si assomigliano. E’ una pagina dove cerco di raccontare anche quella parte di me legata alla Tunisia. Le persone, oltre alla curiosità iniziale rispetto a questo Paese, all’interesse per l’esotico, spesso purtroppo non vanno oltre. Ed è capitato che mi sia trovata in difficoltà a raccontarmi anche ad amici più stretti. Da qui l’idea di questa pagina”.
Una pagina che è una gioia per gli occhi (qui il profilo Instagram), dove a piatti tunisini si alternano quelli di altre cucine, dove si parla anche di viaggi e di Ramadan, per diffondere cultura e conoscenza reciproca. “Attraverso Una mediatrice in cucina, parto dall’elemento culinario, raccontando aspetti più personali, ma toccando allo stesso tempo anche aspetti più macro. Mi piacerebbe molto fare dei laboratori nei quartieri periferici, dove spesso c’è diffidenza tra la popolazione più anziana e le persone di origine straniera. La cucina diventa un’occasione per legarsi, per raccontarsi e conoscersi. D’estate ho organizzato spesso delle cene a tema e anche Iftar condivisi durante Ramadan, nel mio tempo libero. Come Giulia Ubaldi del Laboratorio di Antropologia del Cibo Lac di Milano, ho sposato un po’ questa filosofia. Sento la necessità di parlare della Tunisia a un pubblico italiano, anche se vorrei raccontare dell’Italia a un pubblico tunisino. Piano piano, farò entrambe le cose. E sogno anche di poter scrivere un libro al riguardo”.
Hager, nata in Italia, un diploma al Liceo socio- psicopedagogico con una tesina dal titolo “Le mie due culture”, si è poi laureata in Mediazione linguistica e culturale a Milano con la tesi dal titolo “Khadija, la prima donna del profeta come modello di donna musulmana”. Ora lavora nell’ambito del volontariato, collaborando con il comune di Cremona per il servizio civile e con il CSV, aiutando le associazioni di volontariato a trovare i vari volontari. In questi anni, c’è stato un caso di mediazione culturale che l’ha profondamente colpita: “Si trattava di un minore non accompagnato tunisino: da lì mi sono resa conto di quanto la popolazione tunisina stesse soffrendo. I miei genitori sono originari di Lamtah, un piccolo paesino vicino a Ksar Hellal (Monastir): sapevo di amici o parenti che avevano tentato di andare via dal Paese, ma non riuscivo a dare una lettura lucida a questo fenomeno. Nonostante conoscessi queste storie, con questo minore è stato un vero e proprio shock”.
Per quanto riguarda il legame con la Tunisia, racconta: “Ho vissuto la Tunisia sempre d’estate, da giugno a settembre, fino alle scuole superiori. Poi, iniziando l’università, è stato più complesso. Andavamo in nave, subito dopo il 2011 ricordo il porto con blindati e Kalashnikov. Da piccoli non giravamo molto: ora vorrei esplorarla di più, andare oltre il fatto che la Tunisia è casa per i miei genitori. In fondo è metà del mio cuore. Dai 12 ai 14 anni, ho frequentato una scuola estiva per i figli dei Tunisini che vivono all’estero, dove si imparava l’arabo e si facevano delle gite per conoscere il Paese. E’ stata un’esperienza molto bella. Nel 2022 ci sono ritornata dopo cinque anni ed è stata la prima volta che l’ho guardata con un occhio diverso, è stato devastante. Sono stata a Lamtah, Ksar Hellal, Monastir, Djerba. Ho trovato grandissima sporcizia e non curanza, la gente molto stanca, che appena aveva l’opportunità di sfogarsi, iniziava a parlare. A livello architettonico, ho trovato case molto vecchie, lasciate andare, quasi ci fosse un parallelismo con i loro abitanti. Il Covid ha dato una bella batosta, oltre alla crisi economica e politica. Per andare a Djerba, che si è rivelata tutta un’altra realtà, sono passata per i vari paesini, tra contrabbando, persone che trasportavano la plastica da riciclare, chi faceva l’elemosina. Da una parte ho visto alcuni progressi, ma dall’altra no”.
“C’era una signora che stava preparando l’hobz tabouna, mi ha fatto entrare da lei, mi ha mostrato come si cucina, e poi mi ha detto: ‘Sto bruciando qui, vorrei scappare’. Ho sempre conosciuto persone giovani con il desiderio di lasciare il Paese: ora lo desiderano anche adulti e persone con più di una laurea. I miei cugini, laureati, non vedono il loro futuro in Tunisia: tentano con visti di studio o lavoro di andare altrove. Sono ritornata da questa vacanza con addosso un’amarezza assurda. Agli amici dico di non pensare alla Tunisia solo come al Paese con il mare bellissimo, ma di aspettarsi di vedere anche molta povertà”.
“Spesso mi chiedono se stia meglio in Tunisia o in Italia: mi sento bene in entrambi i Paesi. Certo, passo più tempo in Italia, ma in Tunisia posso sempre tornare, trovare persone con cui parlare, anche se non di tutto. Per me che lavoro nel sociale e incontro situazioni diverse, è normale intavolare conversazioni sui diritti delle persone afrodiscendenti, sugli omosessuali, sui subsahariani, ma certi temi lì sono ancora tabù. Mi rendo conto delle difficoltà e che vivendo in Italia sono stata privilegiata: ciò mi ha permesso di ascoltare e conoscere altre storie, rispetto ad esempio ai miei cugini e parenti. A volte mi dicono di ricordarmi che sono tunisina, altre volte fa loro comodo che io sia italiana. I miei zii non concepiscono questa doppia identità: non vivendolo sulla propria pelle, è qualcosa di difficile da capire”. Anche in Italia accade la stessa cosa: “Io non porto il velo, non ho un simbolo estetico che dichiari l’appartenenza a un’altra cultura. Spesso mi dicono che non sembro tunisina. C’è molta curiosità sulla Tunisia per quanto riguarda la cucina, i panorami, la lingua, ma si conosce molto poco rispetto alla situazione politica ed economica: chiedono spesso perché si emigra dal Paese”. E aggiunge: “Sono stata fortunata, non ho mai subito delle discriminazioni in Italia, purtroppo spesso sono le ragazze che indossano il velo a subirle. I problemi erano con mio padre, una figura molto forte e rigida: non voleva che né io né mia sorella andassimo in gita o facessimo sport. Non sono nemmeno mai andata a dei compleanni. In Tunisia invece ero più libera, potevo anche uscire da sola: nei paesini ci si conosce tutti, se succede qualcosa lo si viene subito a sapere. Quando ho potuto essere indipendente, sono uscita dalla mia piccola bolla”.
“I legami con la Tunisia e l’Italia passano attraverso gli episodi personali, che influenzano le sensazioni che si hanno nei loro confronti. Per nove anni ho avuto un fidanzato tunisino, era una relazione a distanza, quindi avevo un legame affettivo con il Paese. Ci stavamo per sposare, ma poi la nostra relazione è terminata per discorsi che collimavano con la mia apertura mentale. Da quel momento per molto tempo non sono più tornata. In quegli anni, anche per stare più vicina a lui, volevo studiare alla Bourguiba School e fare il servizio civile internazionale, la questione identitaria si faceva sentire fortemente. Invece mia mamma, mia sorella e mio fratello, ci tornano tutti gli anni. Per mia mamma è casa, lì sono seppelliti i suoi genitori, ci sono i suoi fratelli. Per me invece, che sono nata e cresciuta in Italia, casa è in Italia, anche se un pezzo del mio cuore è in Tunisia. All’inizio pensavo di tornarci a vivere per aiutare in qualche modo il Paese. Ora vorrei contribuire in qualche modo, ma non so come fare, se non continuando a parlarne, e portando anche i miei amici nei prossimi viaggi. In tunisino per dire che non ci si gode mai abbastanza qualcosa, si usa il termine saziare. Ecco, io non riesco ad essere mai sazia della mia Tunisia, e ci sono periodi, come questi giorni, in cui mi manca molto”.
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