Jean-Jacques Ciscardi, artista di origine siciliana, una leggenda vivente a Djerba

Jean – Jacques Ciscardi, artista, discendente da una famiglia siciliana, ha vissuto in Tunisia, a Djerba, per 21 anni, dovendola abbandonare dopo l'indipendenza del Paese. Ma il suo amore per questa terra l'ha riportato alla sua isola, a cui sono legati molti ricordi d'infanzia. E proprio sull'isola di Djerba è ambientato il suo ultimo romanzo, “ Contes paranormaux et légendes de Djerba et d'ailleurs”
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È stato un onore conoscere e intervistare l’uomo che è stato definito una leggenda dal popolo djerbino, Jean-Jacques Ciscardi. L’incontro è avvenuto in occasione della presentazione del suo ultimo libro “Contes paranormaux et légendes de Djerba et d’ailleurs“, nel quale si distacca totalmente dai suoi racconti precedenti prettamente autobiografici (“La légende vivante de Djerba” (2016) – “Djerba le temps de regrets” (2017) – “Djerba fontaine de souvenirs” (2018) – “Djerba l’impossibile oubli” (2019), narrando degli eventi paranormali a cui ha assistito personalmente o che sono il risultato di una raccolta di testimonianze di gente comune. Racconti di fantasmi, di leggende, di ipotetici tesori nascosti in qualche angolo recondito dell‘isola di Djerba e perfino di morti che resuscitano.

Jean-Jacques Ciscardi non è solo uno scrittore, ma un uomo poliedrico, un artista a tutto tondo.
Scrittore, romanziere, poeta, musicista compositore, cantante e persino attore.
Sì, perché ha interpretato diversi ruoli in parecchi film, tra cui “
L’île du pardon” girato a Djerba nel 2020 dal regista Ridha Behi, pellicola in cui si sono distinte due grandissime attrici italiane, Katia Greco e la nostra beneamata Claudia Cardinale, e che dovrebbe uscire a breve. Durante l’intervista, svoltasi come una piacevole chiacchierata data la sua grande disponibilità, lo scrittore mi ha accompagnata, quasi trasportata come in una macchina del tempo, a scoprire una Tunisia molto differente da come la vediamo oggi.

Famiglia Ciscardi 1942 -1945 a Djerba

Jean-Jacques Ciscardi nasce a Djerba nel 1936. Discendente da una famiglia siciliana, i nonni emigrarono in Tunisia alla ricerca di condizioni di vita migliori. Mi racconta di aver frequentato la scuola statale e di essere stato l’unico studente straniero in tutta la scuola. Sembra che molti dei suoi compagni lo ricordino sorridendo come l’unico ragazzo che andava a scuola a dorso di un asino. Il padre, nato come lui a Djerba, aveva lavorato inizialmente come ufficiale doganale e poi come guardiano del faro di Bordj Djillij, luogo in cui lo scrittore passa la maggior parte del suo tempo durante la sua infanzia e la sua adolescenza. Il piccolo Jeannot, nomignolo attribuitogli dai compagni di scuola, come è solito avvenire in Tunisia, abbandona gli studi molto presto, a 15 anni, e apre un’attività commerciale per contribuire al bilancio familiare.

A 21 anni è costretto a lasciare Djerba a seguito della Dichiarazione di indipendenza tunisina dal protettorato francese. Si trasferisce con la famiglia in Francia e qui passa i successivi 23 anni, tra Parigi e Port-Vendres, vivendo sulla propria pelle la diffidenza e l’ostilità della popolazione francese per la quale lui era “l’Africano”. Durante quegli anni conosce la moglie e sperimenta il suo talento come musicista, cantante e attore. La sua mente tuttavia continua a tornare a quell’isola della sua infanzia, che tanti bei ricordi gli aveva regalato. Decide dunque di rientrare a Djerba, dove vive tuttora. Ed è proprio a Djerba che si dedicherà alla sua più grande passione, la scrittura.

Famiglia Ciscardi 1978 in Francia

Come descrive nei suoi racconti relativi alla prima parte della sua vita, dalla nascita ai 21 anni, Djerba era un’isola inizialmente incontaminata. Non esisteva l’elettricità, ma lampade a petrolio; non esisteva acqua corrente, ma solo cisterne per recuperare le acque piovane; qualsiasi cosa veniva costruita artigianalmente, dai capi di abbigliamento, alle calzature e al mobilio. Non esisteva alcuna forma di turismo e di conseguenza nessun aeroporto. Il primo aeroporto venne inaugurato negli anni ’50. La vita scorreva tranquilla, tutto era semplice. La comunità djerbina e le diverse comunità straniere allora emigrate vivevano in armonia, non esisteva né razza, né etnia, né religione, soltanto fratelli e sorelle che si frequentavano, si divertivano insieme, rispettandosi vicendevolmente. Nessuna preoccupazione, nessuno stress. Al rientro, dopo la parentesi francese, l’autore scopre che quella verginità era ormai perduta. Ciònonostante ritrova gli stessi odori, di gelsomino e di rose, di spezie, di incenso e di ambra. Gli stessi sapori, il tè alla menta o il caffè turco con aggiunta di estratto di zagara. Gli stessi suoni durante le feste, i darbouka e i bendir, il modo di ballare tipico. Rivede l’unicità dei suoi tramonti, ritrova comunque l’appagamento dei suoi cinque sensi che quell’isola, la sua isola, gli aveva sempre garantito. L’amore per quella che lui da sempre considera la sua patria, il luogo dove ha trascorso 62 anni della sua vita, resta una certezza incrollabile.

Alla mia domanda se parlasse l’italiano mi risponde di no perché i genitori, pur parlandolo tra di loro, in casa avevano sempre parlato francese. Mi dice tuttavia di comprenderlo perfettamente quando legge in quanto molto simile al francese. Ci congediamo dandoci appuntamento alla presentazione del prossimo libro, che dovrebbe uscire a breve, ma prima del commiato mi scrive una dedica sul libro che ho acquistato “A Emanuela, una nuova amica e nuova lettrice con tutta la mia considerazione e la mia simpatia”. Un gentiluomo dalle mille risorse e mille interessi che all’età di 85 anni ha sicuramente ancora tanto da raccontare.

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