2011 e 1956 a confronto nel saggio di Baccar Gherib
"2011 au miroir de 1956 – Pourquoi avons-nous échoué là où ils ont réussi ?" è il titolo del nuovo saggio politico del gramsciano Baccar Gherib, professore di Economia Politica all’Università di Tunis al Manar e sindacalista presso l'UGTT
A dicembre, alla libreria Al Kitab di Mutuelleville, si é tenuta la presentazione del libro di Baccar Gherib ‘’2011 au miroir de 1956 –Pourquoi avons-nous échoué là où ils ont réussi? ‘’ traducibile in italiano come ‘’2011 e 1956 allo specchio – Come mai abbiamo fallito laddove loro hanno riuscito ?’’. Gherib é professore di Economia Politica all’Università di Tunis al Manar e sindacalista presso l’UGTT (il principale sindacato tunisino), già autore di saggi sul mondo della sinistra tunisina nonché di un’opera su Antonio Gramsci intitolata ‘’Penser la transition avec Gramsci Tunisie 2011-2014’’.
L’autore – come ci viene già ampiamente suggerito dal titolo – si pone l’obiettivo di analizzare in maniera comparativa i due episodi cruciali della storia recente della Tunisia, ossia l’indipendenza del 1956 e la Rivoluzione del 2011, col fine di comprenderne le ragioni del successo dell’una ed i motivi del fallimento dell’altra. Per ammissione dello stesso Baccar Gherib, articolare un confronto tra questi due eventi é di per sé una scelta storiograficamente eccentrica e rappresenta un’ impresa proibitiva, tanto per via delle loro difficilmente raffrontabili peculiarità organiche quanto in ragione delle sostanziali differenze dei due contesti storici. Tuttavia, tale parallelo può fungere come uno strumento lecito ed appropriato nella misura in cui permette di approfondire e di sviscerare un elemento di assoluto interesse, ovvero il ruolo assunto dalle élite, dai partiti politici, dalle associazioni della società civile e dagli intellettuali in queste due fasi salienti della storia del Paese.
In questo saggio politico, si tesse globalmente un elogio tutt’altro che parsimonioso del ruolo delle élite e delle classi dirigenti del 1956, che si attesta non soltanto come data di un’indipendenza intesa convenzionalmente come partenza delle autorità coloniali e di restaurazione della sovranità territoriale, ma anche, in misura maggiore, come un momento di rottura e di discontinuità col passato, ove uno Stato forte seppe valorizzare un progetto di trasformazione progressista consacrato allo sviluppo socio-economico del Paese. L’indipendenza rappresentò certamente un traguardo, ma, ancor di più, é da intendersi come una salvifica genesi propizia per una solida ed innovatrice rifondazione delle strutture politiche, economiche, sociali e giuridiche.
Gli effetti delle politiche bourguibiste – ricorda l’autore – ebbero il merito di diminuire la povertà assoluta, facendole passare in poco più di dieci anni dall’Indipendenza dal 10% allo 0,8%, permisero di introdurre il sistema pensionistico, consentirono di eradicare le malattie trasmissibili ingaggiando virtuosamente una transizione epidemiologica, e si dispiegarono fornendo inediti, massicci investimenti per il tessuto scolastico.
Per quanto riguarda invece il 2011, Baccar Gherib prende posizione in maniera inequivocabile imputando il flop della transizione post-rivoluzionaria all’élite che si inserì nello scenario politico dopo il 14 gennaio del 2012, composta da attori politici totalmente estranei alle giornate rivoluzionarie che si occuparono in maniera totalmente illegittima del processo di transizione. Una delle ragioni principali del fiasco, a suo modo di vedere, é da ritrovarsi nel fatto che la natura sociale che ha connotato l’identità della Rivoluzione é stata fatta regredire dalle classi dirigenti del tempo verso una dimensione più prettamente politica.
Infatti, l’establishement non si fece custode e garante delle rivendicazioni di natura essenzialmente sociale manifestate dalla società civile durante la Rivoluzione, volte principalmente a contestare la mancanza di opportunità professionali multisettoriali e atte a sottolineare l’imperativa necessità di attuare politiche mirate allo sviluppo economico e sociale delle regioni più precarie del Paese. Fu proprio questo preciso aspetto a generare l’alterazione della traiettoria fisiologica dello sforzo rivoluzionario, compromettendone e pregiudicandone pertanto una parte degli esiti.
Contrariamente al 1956, la Rivoluzione del 2011, afferma Gherib, é stata malauguratamente interpretata come un punto di arrivo, un’operazione conclusa, saturata e da archiviarsi, e non come un incipit utile a ridefinire un nuovo quadro politico e a determinare nuovi parametri gestionali della res publica. Le élite che hanno inteso la rivoluzione soltanto come un desiderio di transizione democratica e di libertà e che hanno dunque ignorato la preminenza delle questioni realmente rivendicate, hanno scelto di installare in maniera decisamente poco ambiziosa una stagnante democrazia procedurale priva di una strategia economica e sprovvista di un contestuale programma sociale. Tale classe dirigente, inoltre, in modo diametralmente opposto al 1956, si contraddistingue per l’età avanzata dei suoi componenti, elemento che permette all’autore di avanzare il termine di ‘’gerontocrazia’’, struttura di potere che per questa sua specificità anagrafica risulta inconciliabile e incompatibile con l’impulsione di un reale rinnovamento.
Nell’opera di Gherib – ove lo stile accademico non ne pregiudica né complica in alcun modo la lettura – l’utilizzo di lenti analitiche e di un approccio metodologico squisitamente gramsciani sono a mio modo di vedere tangibili ed assolutamente apprezzabili. La profondità di questo saggio, accessibile a qualsiasi tipo di pubblico storicamente e politicamente interessato, ha senz’altro il merito di affrontare questioni complesse e divisive alimentando la riflessione e l’analisi con una base solida di riferimenti bibliografici, testimonianze, riflessioni incrociate e analisi storiche e sociologiche di primissimo livello, le quali hanno reso plausibile e intelligibile questo ambizioso e fertile parallelo tra il 1956 e il 2011.
Il linguaggio e il pensiero di Gherib si intrecciano in maniera assertiva e risoluta, ma non emerge nessun tipo di presuntuosa affermazione di oggettività, né risulta alcun tipo di ostentazione di verità considerate come incontrovertibili o assolute. La narrazione e le analisi, per quanto abbiano un proprio posizionamento molto preciso, sono messe in prospettiva e relativizzate senza invasive faziosità e con grande moderazione.
Per chi volesse approfondire, qui potete trovare l’intervista a Baccar Gherib.
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