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Nefissa Labidi: « Quanto è cambiata la mia Tunisia. Ma rimane nel mio cuore »

Nefissa Labidi, intarsiatrice, è arrivata in Italia 50 anni fa, con la madre e i fratelli : « Firenze era cosmopolita, non ho mai avuto problemi di razzismo. Ora purtroppo c'è meno accoglienza da parte dei governi»

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« Sono nata negli anni Sessanta, negli anni di Habib Bourguiba, che piace poco ai giovani di oggi, ma io sono una bourguibista sfegatata, perché ho vissuto la libertà della donna in tempi non sospetti e la religiosità non aggressiva ». Nefissa Labidi, 61 anni, di La Marsa, racconta la sua Tunisia e il suo arrivo in Italia, all’età di dieci anni, con la madre e i fratelli. « I miei genitori, del Kef, erano di origini berbere, mi hanno lasciata libera sul versante religioso. Della mia infanzia ricordo la cosiddetta ‘scia europea’ : le ragazze che camminavano mano nella mano con il fidanzato, l’abbigliamento con i pantaloni a zampa di elefante. Eravamo cinque fratelli e due sorelle, nati a Tunisi e cresciuti a La Marsa, non ho mai sentito nessuna forma di maschilismo o discriminazione per il fatto di essere donna. Ricordo un’infanzia bella, serena. La Marsa già allora era molto turistica ed aperta, ci vivevano diversi stranieri. Andavamo a trovare i parenti nelle zone più rurali di Tunisi, era divertente per noi vedere questi aspetti del Paese, le varie differenze : come in Italia, la mentalità cambia tra la città e i paesini ».

I suoi genitori divorziano, per decisione della madre : la legge già allora lo permetteva. La madre di Nefissa lavorava come governante in una società di italiani, che a un certo punto chiude la filiale. La invitano a raggiungerli in Italia, a Firenze, per un paio di mesi. All’epoca non serviva il visto per viaggiare dalla sponda sud alla sponda nord del Mediterraneo. La madre parte e dopo qualche settimana ritorna in Tunisia a prendere e portare con sé i quattro figli più piccoli, Nefissa compresa, mentre gli altri arrivano in seguito. Nefissa e i fratelli crescono a Firenze : « Eravamo bambini, abbiamo imparato subito la lingua italiana. Mi dispiace che abbiamo perso un po’ l’arabo, ho cercato di recuperare questa lacuna nel tempo. A quel tempo i tunisini erano pochi, non c’era una vera e propria comunità, ma ci si riconosceva se ci si incrociava per strada. Sono partita dalla Tunisia dove vedevo e respiravo questa libertà e arrivata in Italia, dove ho assistito all’evoluzione della donna italiana e ho assorbito queste idee ».

« Firenze era cosmopolita : non ho mai subìto forme di razzismo, né nei miei confronti, né nei confronti di altre persone di origine straniera. All’università ho conosciuto studenti greci, palestinesi, iraniani, afghani, persone che erano qui in asilo politico, e raccontavano del proprio dispiacere di aver perso la propria patria. Oggi non c’è più questa tolleranza e questa accoglienza da parte dei governi ». Nefissa ha un unico rimpianto : non aver terminato il liceo classico : « Ho frequentato per due anni, poi sono andata in Francia ; a diciott’anni ho girato l’Europa in autostop e d’estate lavoravo in campagna. Amo la cultura, ho poi studiato da autodidatta. Ho studiato anche la storia della Tunisia : anche se non l’ho vissuta fino in fondo, trovo che ci siano molte similitudini con l’Italia ».

Nefissa Labidi al lavoro come intarsiatrice, dettaglio

A 28 anni Nefissa diventa mamma e dopo cinque anni dalla nascita di sua figlia, da Roma si trasferisce in Umbria, a Todi. Lì conosce un artigiano che le insegna l’arte dell’intarsio : « Sono diventata intarsiatrice , ho fatto anche delle mostre. Purtroppo il mondo dell’arte non è semplice e la stessa arte non è valorizzata, se non ad alti livelli ». Per vent’anni Nefissa vive a Todi, « una bellissima città d’arte », poi per un po’ di anni si trasferisce in Liguria, per ritornare in Umbria negli ultimi due anni. « Non ho mai trovato difficoltaà, da tunisina, non ho avuto nemmeno un’educazione rigida. L’esempio è il miglior insegnante : i miei genitori hanno sempre accolto, aiutato chi era più in difficoltà, mi hanno insegnato i valori di accoglienza e tolleranza. Se posso aiutare gli altri, lo faccio volentieri, nel limite delle mie possibilità ».

Nefissa non si è mai sposata : « Ho avuto proposte di matrimonio, ma le ho rifiutate, perché ho l’idea che il sentimento a un certo punto finisca, che sia la religione che impone di stare ancora con una persona anche se non si sta più bene con lei. Io sono atea : ho studiato tutte le religioni, ma nessuna mi ha convinta, i misteri della fede a me non bastano ». E a proposito della donna e del suo ruolo della società, racconta : « Abbiamo una forza psicologica e mentale tale, come ha fatto l’uomo a prendere potere sulla donna ? Nell’antichità ci sono state donne che hanno comandato, ma dietro le quinte, perché ? Il mio pensiero sui generi è molto complesso. Io voglio una risposta alle mie domande, non esiste il « perchè è stato sempre così » : si può cambiare . L’Italia stava crescendo negli anni Settanta, il valore del Paese, il rapporto uomo/donna, poi dalla fine degli anni Ottanta si è tornati indietro. In vent’anni c’è stato uno stop dell’evoluzione, a cui i social hanno dato il colpo di grazia. Mi dispiace vedere l’involuzione di questo Paese che ritengo mio, anche se è vero che in generale a livello mondiale ci sono diverse difficoltà. Ovviamente parlo dell’Italia perchè è una situazione che vivo sulla mia pelle e questo fa male ».

« Parlo il tunisino, anche se faccio ridere. Sto insegnando alla mia nipotina di dieci anni, che vive in Inghilterra, l’arabo classico, l’alfabeto, spiegandole l’evoluzione della lingua. Cerco di impegnarmi. Mia figlia è cresciuta con i miei racconti della Tunisia, anche lei la ama, anche se l’ha vissuta più da turista, arrivando comunque più preparata di qualcuno che non ne conosce la Storia e la cultura. Trovo che la Tunisia e l’Italia abbiano mentalità simili, alla fine siamo tutti Mediterranei, siano stati influenzati l’uno dall’altro». In Tunisia Nefissa ha ancora fratelli e nipoti, ma non ritorna spesso : « Non sono mai stata patriota, né nei confronti della Tunisia, né nei confronti dell’Italia. Sono legata alla storia della Tunisia e ai ricordi che conservo di essa. Purtroppo mia madre, che era tornata a vivere là, è mancata di recente, e così ho perso quel legame con i parenti. Quando ero giovane preferivo esplorare altri Paesi, non era un rinnegare la Tunisia o le mie origini. In Tunisia ci sono ritornata da turista : è cambiata molto rispetto a quando ero bambina. Mi sento di dire una cosa, alle ragazze tunisine ma non solo : non vivete per crescere, fidanzarvi e sposarvi, non aspirate solo ad accasarvi. E’ un pensiero molto forte in Tunisia, l’avere come obiettivo della propria vita il matrimonio : non fermatevi a questo, viaggiate, fate esperienze, conoscete bene qualcuno prima di fermarvi, che sia per amicizia o per amore. E’ quello che ho consigliato a mia figlia ». Quando sua figlia, italo – americana, è nata, Nefissa si è recata al consolato tunisino per registrare la sua nascita, trovando un’amara sorpresa : « Non l’hanno registrata come tunisina perché non ero sposata, il padre era straniero e per lo più lei era una femmina. Volevo darle la cittadinanza tunisina per amore del mio Paese, ma quando mi hanno detto così mi sono arrabbiata e non ho fatto più nulla. E lì ho pensato quanto fosse cambiata la mia Tunisia…. anche se rimane sempre nel mio cuore ».

Magiche tarsie di Nefissa Labidi

« Vi racconto di un profumo del passato : il tè alla menta della mia infanzia. Il mio ricordo si focalizza su quel piccolo braciere iper presente nelle nostre case tunisine, d’inverno era all’interno, d’estate fuori dalle nostre stanze, a volte in un cortile coabitato, altre nel giardino, per chi lo aveva.
Le mamme si alzavano presto al mattino. Ravvivavano la brace della sera prima, aggiungevano carbone che sfrigolava in attesa che le donne ci poggiassero sopra la grande pentola in cui cucinavano il pranzo per la famiglia, che diveniva pure cena! Ma… finiti i lavori di casa , finito di mangiare, finito di sistemare bambini piccoli, quel piccolo braciere dal carbone consumato diveniva conviviale, donne e uomini seduti intorno. Sul braciere, il bricco del tè dal profumo inebriante di foglie di menta, borbottava quel bricco, noi bambini giocavamo intorno, litigavamo, ridevamo o rubavamo coccole dagli adulti. Quanto borbottava il contenuto di quel bricco di metallo, ammaccato con tante storie vissute ed ascoltate. Il beccuccio lungo sbuffava vapore e profumo , tutti i presenti collaboravano, tra una chiacchierata, una risata, una nenia cantata, sventolavano la brace e dopo tanto tempo (non saprei quantificarlo), qualcuno si alzava, prendeva il bricco ed un bicchierino e cominciava il rito della mescita, dall’alto versavano il tè, centrando il bicchierino creando una schiumetta che veniva riversata nel bricco e così per più volte, con le mani danzanti come un rettile incantato. Poi di nuovo il bricco sul braciere, tra racconti e risate, il profumo di tè e menta ci inebriava come un antico caloroso abbraccio. Si ripeteva la mescita per poi servirlo in tanti bicchierini raccolti su un vassoio inciso con motivi floreali, intanto le mamme preparavano i dolci impastati con mandorle e miele o altri golosi ingredienti speziati da offrire ai bambini, qualche chicco di pinoli o noccioline nel tè ed iniziava la festa quotidiana, una festa che aveva per ospiti graditi sempre qualche parente ! 
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Qui e qui le pagine facebook con i lavori di intarsiatrice di Nefissa.

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