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La mostra “Gravures et collages” di Slim Gomri, dove memoria, materia e gesto diventano un’unica cosa

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Slim Gomri non è un artista “classico”: nato e attivo in Tunisia, si definisce piuttosto come un creatore che attraversa, fonde e mescola discipline diverse, dalla fotografia alla gravure, l’incisione, dalla scultura al tessuto, fino ai materiali di recupero. La sua storia inizia nella scienza, con una formazione universitaria, e arriva all’arte come percorso che abbraccia tecniche e linguaggi molteplici. Questo passaggio non è un abbandono, ma un’evoluzione naturale. «Non dico che sono un artista, non dico che sono un fotografo. Non voglio frontiere», mi ha detto, sottolineando come, per lui, la pratica artistica sia uno spazio aperto, non etichettabile. Le sue prime opere nascono dalla fotografia ma la fotografia, da sola, non lo soddisfa. Ciò che lo affascina è il tempo, l’impronta che il tempo lascia sulla materia, le tracce che si sovrappongono e si trasformano. «Quando prendo la stampa, ci lavoro sopra. Lascio che il tempo agisca. Non è più la fotografia che mi interessa», racconta. Non gli interessa l’immagine come semplice documento: ciò che cerca è una metamorfosi, un corpo che si modifica, un oggetto che vive.

«A me interessa prima di tutto la materia. Legno, lana, metallo, carta: sono cose che mi circondano e che portano già un’esperienza. Anche nella fotografia lascio che il tempo agisca sull’immagine, come agisce sulla pelle di un pescatore: sole, vento, sale. Il risultato non è mai identico, e sono proprio queste variazioni che mi interessano, perché ogni immagine diventa un pezzo di vita trasformato». Le sue fotografie dei pescatori – volti bruciati dal sole, mani consumate dal sale, barche, corde, vento – non rimangono fotografie. Gomri le espone al sole, le fa sfregare contro superfici, le lascia scolorire, corrodere, macchiarsi. Così l’immagine diventa materia, acquisisce spessore e rilievo. Non rappresenta più solo una figura: diventa un frammento di memoria, un pezzo di vita depositato sulla carta. Da questa ricerca nasce la gravure. Gomri incide su gomma, legno, linoleum, metallo, crea matrici e le imprime sulla carta. «Queste sono le matrici. Passo l’inchiostro e poi stampo», spiega. Ogni matrice è un punto di partenza, ma ogni stampa cambia: variazioni minime, difetti, imprevisti. Per lui è l’imperfezione a dare vita all’opera, la piccola differenza che rende ogni tiratura un mondo a sé.

La gravure su legno, dice, è quasi scultura: ha corpo, densità. Le lastre metalliche – spesso recuperate o ossidate – diventano superfici che portano già una storia e che le sue incisioni trasformano ulteriormente. Per Gomri non ha senso dividere “figurativo” e “astratto”: ciò che lo guida è la materia, il gesto, il respiro che attraversa la superficie. Alla carta e al metallo affianca poi il tessuto: lana, cotone, fibre naturali, tappeti e trame che richiamano una tradizione radicata nel Nord Africa. Ma non si tratta di ripetere l’antico: è uno spostamento, una traduzione contemporanea. Le sue serie tessili, come “Poisson” o “Le bigaradier”, mostrano come colori, trame e nodi possano diventare narrazione, memoria e gesto artistico. Fotografia, incisione e tessitura non sono compartimenti separati: sono strati della stessa ricerca.

La mostra “Gravures et Collages”, inaugurata il 17 novembre nella storica Librairie Fahrenheit 451 a Cartagine, si inserisce proprio in questa visione. Esporre in una libreria non è casuale: la gravure nasce dall’arte della stampa, dalla carta che accoglie la scrittura e l’immagine. Mettere le sue opere tra i libri significa far dialogare le superfici incise con la parola, la memoria, la conoscenza. L’allestimento costruisce un percorso di stratificazioni: incisioni su carta fatta a mano, matrici in legno o metallo, collage che combinano frammenti di carta con tessuti o fibre, segni manuali visibili, superfici che mostrano la presenza del tempo. Le fotografie dei pescatori trasformate dal sole e dal sale assumono un aspetto quasi tattile; le incisioni mostrano graffi, densità di inchiostro, variazioni non controllate; i collage sovrappongono livelli di materia, creando rilievi che catturano la luce in modi sempre diversi. Anche i lavori tessili, presenti in mostra, dialogano con le incisioni come se fossero la loro eco morbida: trame di lana e cotone che rielaborano motivi tradizionali e li trasformano in forme astratte e contemporanee.

Parlando con Gomri, emerge con chiarezza la sua diffidenza verso le categorie. «Non sono un fotografo, non sono uno scultore. Preferisco non definirmi», dice. La gravure, aggiunge, è un equilibrio tra gesto e imprevisto: «C’è sempre una parte di caso». La sua formazione scientifica ha contribuito a dargli un metodo, una precisione nello sguardo, una consapevolezza dei processi. Ma non è una chiusura: è la base su cui costruisce un’arte che accoglie l’imprevisto. Spesso lavora con materiali recuperati: legni trovati, lamiere ossidate, vecchie carte. Non per nostalgia, ma per una questione etica ed estetica: trasformare ciò che è usurato, ciò che è stato scartato, in qualcosa che parla ancora. L’usura diventa linguaggio, l’imperfezione diventa forma.

La mostra (visitabile fino all’8 dicembre) non è solo un’esposizione di opere, ma un’esperienza sensoriale: chi entra, si trova immerso in un insieme di superfici vive: carta porosa, legno inciso, metallo segnato, tessuti intrecciati. È un’arte che non chiede solo di essere guardata, ma di essere avvertita, come si avverte il passare del tempo sulla pelle. “Gravures et Collages” è, in fondo, il ritratto di una ricerca artistica senza frontiere, dove memoria, materia e gesto diventano un’unica cosa. Slim Gomri resta un artista che cammina tra i linguaggi, tra tecniche, tradizioni e sperimentazioni del presente, portando con sé l’idea che l’arte non debba scegliere una forma sola per esistere. Una visione che oggi, più che mai, risuona come necessaria.

© Riproduzione riservata


Librairie Fahrenheit 451 a Cartagine

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