Hammamet fa venire voglia di andare in pensione
Probabilmente l’ho già detto in passato in un altro articolo o, di sicuro, l’ho detto a tutte le persone con cui ne ho parlato e l’avrò ripetuto tra me e me decine di volte: Hammamet ti fa venire voglia di andare in pensione. Perché dite? Per tantissime ragioni: il dolcissimo clima mediterraneo, la “slow life”, la sensazione di quiete inscalfibile che si respira a quelle latitudini e potrei continuare.
Sicuramente, nella mia ottima impressione della cittadina, sono stato favorito dal periodo in cui l’ho visitata: erano i primi di maggio. Per definizione (almeno la mia definizione) tra i giorni più belli dell’anno, quando si affaccia il primo vero caldo dell’annata, caldo dolce, amichevole, che non ti stritola come l’afa d’agosto ma ti accarezza lieve, che ti risveglia dal torpore invernale, che ti dà quella strana sensazione che qualcosa di magico stia per accadere e non ti chiude in una bolla di calore insopportabile come fa l’estate inoltrata.
Cosa mi resta di Hammamet quasi un anno dopo che l’ho visitata, oltre a qualche foto del cellulare? Le sensazioni. Quelle non svaniscono, si sa. Ci restano dentro aprendoci la strada dei ricordi e, spesso, facendo capolino nella nostra routine. Erano i primi di maggio quando siamo andati ad Hammamet, il 4 o forse il 5, pochi giorni prima di prendere l’aereo per tornare in Italia. Appena scesi, ci siamo ritrovati in mezzo a delle case basse su una strada che, diversi metri più avanti, affacciava sul mare. Si percepisce da subito di essere arrivati in un luogo turistico: dal finestrino del taxi collettivo si scorgono le ciambelle ed i gonfiabili appesi, insegna chiarissima di negozi che vendono articoli per il mare.
Abbiamo passeggiato proseguendo su quella strada e, arrivati quasi in riva al mare, abbiamo svoltato imboccando la strada per la Medina. La Medina di Hammamet è stupenda, più piccola di quella di Tunisi ma forse addirittura più suggestiva. Ci si perde in quei vicoli colorati, tra odore di spezie e di mare, tra venditori di tessuti, gatti acciambellati, turisti e pensionati europei che si godono la giornata soleggiata. Tra una bottega e l’altra, poi, non mancano i locali belli, ma belli davvero, come il bar in cui ci siamo fermati, Sidi Bouhdid
Dopo la doverosa passeggiata in Medina, il bagno a mare era d’obbligo. L’acqua era freddissima ma il clima troppo dolce per non buttarsi per poi lasciarsi accarezzare ancora una volta dal sole, stavolta però distesi su un asciugamano. Passa un venditore ambulante, sorriso e cenno d’intesa. Dopo poco si va. Ora di pranzo, tanti localini in zona lungomare in cui pranzare con pochi dinar: il cibo era buono, il pescato sembrava fresco (non me ne intendo) ma che bello, si poteva bere la birra. Dopo mesi di astinenza, non lo nego, è stato un sollievo.
Il pomeriggio lo abbiamo passato a vedere le rovine, tra cui l’anfiteatro ed il cimitero, con tanto di “pellegrinaggio” alla tomba di Bettino Craxi dove però il custode ci ha “accolti” in malo modo, chiedendo di essere rispettosi perché, per lui, dopo i tanti insulti ricevuti, ora chiedeva “solo pace”.
Caffè e si va. Che bella Hammamet. Pullula di persone in pensione da tante parti d’Europa, soprattutto Francia ed Italia, che ora un po’ capisco. La tranquillità del luogo è perfetta per godersi un sereno e meritato riposo soprattutto in primavera, quando l’odore di spezie si mischia con quello del mare costringendoti a rallentare, ascoltarti e goderti quello che hai intorno.
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