“Harraga, bruciare per l’Europa”: Wael Garnaoui racconta la complessità delle migrazioni
Il libro, pubblicato da Poiesis Editrice e presentato lo scorso 10 gennaio a Roma, è uno studio psicanalitico sui migranti irregolari tunisini. Un testo che offre al pubblico italiano una nuova prospettiva sul fenomeno, invita a ripensare le frontiere e “decolonizzare il pensiero”
Il trauma dell’immobilità e del visto rifiutato, le partenze irregolari, i rimpatri, la vergogna del ritorno in Tunisia senza un lavoro. “Harraga. Bruciare per l’Europa – Indagine e psicanalisi dei migranti del Mediterraneo. Per un pensiero decolonizzato delle frontiere”, scritto dallo psicanalista tunisino Wael Garnaoui, è un testo importante che arriva nelle librerie in italiano, grazie alla casa editrice Poiesis e alla traduzione di Vincenzo Barca.
Il libro, inserito nella collana Lezioni, è il risultato di un prezioso lavoro di ricerca sul campo e di interviste condotte tra il luglio 2016 e il dicembre 2018 tra Tunisia, Parigi e Berlino, con l’obiettivo di indagare il desiderio migratorio e le motivazioni psicologiche profonde dei giovani harraga tunisini (coloro che “bruciano le frontiere e i documenti di identità” per entrare in Europa) e dei candidati al Jihad in Siria e in Iraq. La volontà dell’autore è di andare in profondità, partendo dalle storie di vita che precedono l’emigrazione, così da restituire la giusta complessità psicologica, sociale e politica dei soggetti intervistati. Senza ingabbiare i giovani tunisini in categorie e identità fisse, ma riconoscendo senz’altro dei tratti comuni, tra cui il ruolo centrale delle madri nella pulsione migratoria. Nel volume, trovano spazio tante diverse soggettività (“candidati all’emigrazione clandestina, harraga arrivati in Europa, harraga espulsi, candidati al jihad e jihadisti tornati nel Paese”), insieme alle inchieste realizzate incontrando familiari e conoscenti di due giovani tunisini, Anis Amri, autore dell’attentato a Berlino nel 2016 successivo a una migrazione irregolare, e Saif-Eddine Al-Rezgui, responsabile dell’attacco terrorista di Sousse nel 2015.
Il trauma dell’immobilità
Come ha spiegato l’autore durante la presentazione del libro, lo scorso 10 gennaio presso la libreria Griot a Roma, “tutte le persone che ho intervistato soffrono il trauma dell’immobilità, dell’impossibilità di uscire dai confini”. Quando il desiderio di arrivare in Europa non può essere soddisfatto e il progetto migratorio fallisce, i giovani possono arrivare ad identificarsi con il discorso del jihad. “Durante il lavoro sul campo – ha proseguito – ho capito che queste persone si uniscono a Daesh (noto anche come ISIS, Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, ndr) quando non possono raggiungere l’Europa. Non vogliono unirsi a Daesh. Vogliono a tutti i costi partire, emigrare, lasciare la Tunisia”.
Per comprendere meglio il tema dell’immobilità, l’autore, che nel suo lavoro utilizza un approccio multidisciplinare unendo psicanalisi, studi postcoloniali, border studies, antropologia e analisi storico-sociale, ha esteso la sua ricerca alla storia della mobilità tunisina. “Prima della colonizzazione (francese della Tunisia dal 1881 al 1956, ndr) i tunisini erano liberi di viaggiare – ha precisato nel suo intervento – Hanno potuto circolare liberamente anche dal 1956 fino alla creazione dello spazio Schengen nel 1985. Proprio in quegli anni, inizia il fenomeno degli harraga”. I giovani migranti tunisini “sono clandestini perché di fatto la legge gli proibisce di vivere la loro pulsione viatoria e l’impossibilità di andare in Europa non fa altro che accrescere il desiderio di partire”. Un desiderio alimentato anche dalla cosiddetta menzogna migratoria, un racconto positivo delle condizioni di vita in Europa, da parte di giovani tunisini già arrivati, che spesso non corrisponde alla realtà ma contribuisce a creare un preciso immaginario.
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Visti negati e rimpatri
Al trauma dell’immobilità, imposta dai dispositivi di frontiera e dalla politica dei visti, si lega proprio il trauma del visto negato dai consolati, con motivazioni che sembrano riguardare la psiche e l’individualità dei richiedenti. “Il rifiuto è un giudizio sulla persona e i giovani arrivano ad odiarsi, si convincono di essere loro il problema, di non essere adeguati o all’altezza in quanto tunisini, arabi, inferiori – ha spiegato il ricercatore – Il rifiuto del visto, che coinvolge diverse categorie sociali, diventa motivo di vergogna (…) Così la politica dei visti trasforma il desiderio di partire in uno stigma culturale e razziale che viene interiorizzato”. Per chi invece riesce ad arrivare in Europa in maniera irregolare ma viene rimpatriato, il ritorno forzato in Tunisia senza un lavoro rappresenta un fallimento e diventa ulteriore motivo di vergogna.
Di fronte a questa complessità, il ricercatore dialoga con i giovani in dialetto tunisino, si mette in ascolto e osserva, senza giudizio. In questo senso, il libro, corredato da una ricca bibliografia,offre ai lettori una prospettiva nuova sulle migrazioni dalla Tunisia e invita a ripensare le frontiere decolonizzando il pensiero: “Decolonizzare il pensiero che pensa le frontiere– scrive Wael Garnaoui nelle pagine conclusive – significa smascherare le resistenze politiche, oggettive e simboliche che si profilano attorno alle frontiere: un meccanismo destinato a gestire popolazioni, a trasformare desideri, a perpetrare la logica stessa della colonizzazione”.
Un ritorno volontario
Durante la presentazione a Roma, l’autore ha parlato anche della sua esperienza, non solo di psicologo clinico e ricercatore, ma anche di soggetto migrante tunisino che può viaggiare in maniera regolare e che ha scelto di rientrare in Tunisia per insegnare. “Quando i miei studenti mi chiedono di fare una domanda – ha raccontato – mi aspetto sempre una domanda sulla lezione del giorno e invece mi chiedono: ‘Perché sei tornato?’”. “Cerco sempre di spiegare che facendo il mio lavoro in Tunisia sento di essere utile, di dire delle cose e di ascoltare delle cose che magari in futuro ci aiuteranno a trovare una soluzione, un modo per uscire da quella che è una vera e propria trappola”.
Wael Garnaoui è psicologo clinico e dottore in Psicoanalisi e Psicopatologia presso l’Università di Parigi. Ha conseguito diversi master in Tunisia e in Francia. Da gennaio 2020 è docente di sociologia presso l’Università Le Havre Normandie. Da diversi anni conduce ricerche sulle politiche migratorie e il loro impatto sui migranti del sud del mondo, con particolare attenzione ai migranti irregolari tunisini. Nel 2021 ha fondato il Border Studies Research Group presso il Centro di Antropologia dell’Università di Sousse, in Tunisia, dove insegna dal 2016. Il libro “Harraga. Bruciare per l’Europa” è stato pubblicato in una prima edizione in lingua francese dalla casa editrice Nirvana nel 2022, con il titolo “Harga et désir d’occident: Etude psychanalytique des migrants clandestins tunisiens”.
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