Il bacio di Lampedusa: quando il mare nostrum divide due innamorati
La prosa di Charfi riesce a condensare tanti temi: dal tributo pagato dai popoli africani nelle guerre continentali, alla difficoltà del dialogo tra culture, dalle pulsioni umane, alla bellezza dei mondi che animano il Mediterraneo.
Il bacio di Lampedusa non è solo il titolo del racconto di Mounir Charfi, ma anche una bellissima immagine, di un lembo di terra che unisce due mondi vicini e lontani, i popoli che vivono sulle due sponde del Mediterraneo. Mounir è un medico, e lo è per davvero: nato nella regione di Tozeur nel 1963, si è laureato e ha esercitato a lungo la professione. Ma la sua vocazione letteraria lo ha portato a pensare a questo Baiser, un bacio che vuole dare voce alle migliaia di persone capaci di affrontare rischi e sofferenze pur di lasciare le coste tunisine e approdare nel vagheggiato occidente sviluppato.
La trama abbraccia un’avventura misteriosa, che è semplicemente una forma letteraria per raccontare la migrazione e i sentimenti che l’accompagnano. La parte di finzione e quella di realtà, la magia dell’alchimia e la realtà del viaggio via mare. La scusa che tiene insieme la trama è la volontà di ritrovamento di un luogotenente dell’esercito francese, Zénon, passato per Tozeur e andato via con un prezioso tomo che contiene il segreto per trasformare in oro lo zolfo e il mercurio.
Il figlio del soldato, Sami, incontrato dal protagonista in Francia, è a sua volta in cerca di notizie: vuole sapere della ragazza che era stata in vacanza da lui molto tempo prima, la figlia del prefetto di Tozeur, Selima. Le pagine si susseguono raccontando degli sforzi di riavvicinamento, tra peripezie e ostacoli, di due innamorati protesi l’uno verso l’altro, e divisi dal mare nostrum. La prosa di Charfi, pur essendo al suo esordio con questo romanzo, è matura. E riesce, in poche pagine, a condensare tanti temi, dal tributo pagato dai popoli africani nelle guerre continentali – troppo spesso dimenticato – alla difficoltà del dialogo tra culture, dalle pulsioni umane alla bellezza dei mondi che animano il Mediterraneo.
«Sami si era trovato di fronte alla sua riva natale, ora restituita, dall’altra parte del mare. Non credeva a ciò che vedeva. Si chiese se stesse sognando. Potevano essere dei fantasmi sorti da quei mondi paralleli di cui parlano i dervisci? Il passato probabilmente sconfinava nel presente».
Non è necessario anticipare lo svolgimento dei fatti, perché il testo di Charfi scorre piacevolmente e la sua brevità è un invito a una lettura rapida e avvincente. C’è da rimarcare il fatto che un medico non è necessariamente dotato di talenti nelle arti umanistiche, mentre l’autore riesce a tratteggiare i protagonisti, i luoghi e soprattutto le sensazioni visive e gli stati d’animo con una notevole capacità di cogliere i tratti in cui ciascuno può riconoscere una parte della propria esperienza. Quando si “vedono” o rivedono luoghi, si comprendono profondamente sentimenti, allora l’autore è stato capace di fare centro. In questo caso, apparentemente sullo sfondo, resta il grande tema della migrazione, le storie di uomini e donne che hanno messo a repentaglio la vita propria e delle loro famiglie per solcare il mar Mediterraneo pur di provare a garantirsi un’esistenza meno disagiata. Del resto, il libro è uscito nel 2011. Quando le primavere arabe destavano grandi sogni, rimasti a lungo sopiti, di liberazione, rinnovamento e aspettative di progresso. E c’era spazio sia per sperare, sia per nutrire qualche riserva sul fatto che davvero i due mondi separati dal mare si avvicinassero sempre di più, nelle loro diversità, nell’accogliere i cittadini in società migliori. E infatti, in molti frangenti, quei sogni sono rimasti tali.
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