Il referendum sulla cittadinanza e la generazione sospesa
Cresciuti in Italia, ma riconosciuti dallo Stato solo dopo anni. Le storie di ragazzi tunisini che raccontano cosa significa essere cittadini troppo tardi, mentre il Paese si interroga sul futuro del diritto di cittadinanza.
L’8 e il 9 giugno in Italia si svolgerà un Referendum, dove i cittadini dovranno esprimere la propria posizione su quattro quesiti inerenti lavoro e cittadinanza. E, a proposito di quest’ultimo, abbiamo voluto raccogliere le testimonianze di giovani italo tunisini al riguardo. Per fare capire le reali difficoltà per questi giovani che si sentono italiani, ma non vengono riconosciuti come tali e che devono spesso intraprendere un percorso ad ostacoli prima di ottenere la cittadinanza italiana, perdendo anche occasioni importanti di studio o lavorative. Essere nati in Italia e già in possesso della cittadinanza non è un merito, è un caso.
Tante opportunità perse e un burnout sul lavoro
“Ho preso la cittadinanza nel 2023, ma ho sofferto molto per averla – racconta Ahlèm –. Per mia sfortuna quando mamma ha preso la cittadinanza io ero già maggiorenne e ho dovuto aspettare i 10 anni di residenza, nonostante abbia fatto medie, superiori e università in Italia. Ho dovuto subito andare a lavorare per garantire il reddito richiesto e sono rimasta a lavorare nonostante il burnout che sentivo da tempo: non potevo rischiare di abbassare il reddito e finire per non averla più. Durante l’università ho perso l’opportunità di andare a fare il tirocinio a Londra perché non essendo cittadina italiana l’iter per avere il visto era diverso, i tempi erano lunghi e avevo poco tempo per fare tutto e partire. Dopo 10 anni ho fatto la domanda e ho aspettato altri 4 anni per averla. Insomma ero bloccata e non riuscivo neanche a fare alcuni concorsi che all’epoca mi interessavano. Avevo le ali bloccate e non riuscivo a spiccare il volo, nonostante fossi nata in Tunisia e venuta in Italia a 13 anni. All’università stavo realizzando quanto mi sentissi appartenente all’Italia. Un sentimento molto ribelle per la mia famiglia: eppure io mi sentivo e sento anche italiana, anche se sono di carnagione scura, sono nata a Nabeul e da genitori entrambi tunisini. La mia vita, la mia storia, i miei amici, i miei pensieri, i miei valori erano influenzati fortemente anche dall’Italia”.
Rendere la cittadinanza più accessibile non significa svenderla
“In Italia, la cittadinanza si acquisisce principalmente secondo il principio dello ius sanguinis, cioè il diritto di sangue: si è italiani se si nasce da almeno un genitore italiano – spiega Refka –. Questo sistema esclude però moltissimi ragazzi e ragazze che, pur essendo nati o cresciuti nel nostro Paese, non hanno genitori italiani. Per loro, la legge prevede la possibilità di richiedere la cittadinanza solo al compimento dei 18 anni, e solo se hanno vissuto legalmente e ininterrottamente in Italia dalla nascita. Anche dopo aver presentato la domanda, il percorso non è semplice. La legge stabilisce che lo Stato debba concludere l’istruttoria entro 36 mesi, ma in pratica spesso le attese superano i 4 o 5 anni. Ritardi ingiustificati, che rendono tutto ancora più frustrante e incerto. Un periodo in cui questi giovani restano sospesi, privi di diritti fondamentali. So bene di cosa parlo, perché è la mia storia. Sono arrivata in Italia nel 2003, avevo 9 anni. Ho vissuto, studiato, mi sono formata e ho partecipato alla vita sociale del mio Paese. Eppure, ho ottenuto la cittadinanza italiana solo nel 2018, dopo 15 anni. Per tutto quel tempo ho vissuto in un limbo: ogni anno dovevo rinnovare il permesso di soggiorno per motivi familiari. Una condizione sgradevole, ingiusta e profondamente penalizzante. Questa situazione mi ha bloccato sotto tanti aspetti. Quando ho deciso di andare a studiare in Francia, non potendo contare sulla cittadinanza italiana, ho dovuto affrontare l’intero iter per ottenere un visto. E non è stato semplice: presentare documenti, dimostrare di avere un certo importo in banca, viaggiare più volte a Roma per recarmi in ambasciata, attendere settimane. E poi, una volta arrivata in Francia, ulteriori controlli in questura. Tutto questo, solo per colpa di un documento che non avevo, nonostante fossi cresciuta in Italia, nonostante la mia vita fosse qui. Lo stesso è valso per il mondo del lavoro. Senza cittadinanza UE è difficilissimo accedere agli stage, alle esperienze professionali internazionali. Anche solo essere presi in considerazione diventava una battaglia burocratica. Ho visto opportunità importanti sfumare, occasioni che avrebbero potuto cambiare il mio percorso, e questo ha lasciato un segno profondo. Fino a 25 anni, sono stata esclusa anche dalla vita politica. Non potevo votare, non potevo esprimere la mia voce. E per una persona attiva, impegnata, che ama il proprio Paese e vuole contribuire, è stato un dolore grande. Rabbia, delusione, senso di ingiustizia. Volevo fare parte del cambiamento, ma ero invisibile. Rendere la cittadinanza più accessibile non significa svenderla. Significa riconoscere ciò che già esiste. Significa costruire un’Italia più giusta, più inclusiva, più forte. Investiamo su chi l’Italia la ama davvero. Su chi è cresciuto qui e vuole restare. Su chi, come me, non ha mai smesso di credere che questo Paese possa e debba essere casa per chi lo vive ogni giorno con passione e responsabilità”.
Mi sentivo italiano, ma senza documenti che lo certificassero
“Ho ottenuto la cittadinanza a 22 anni – racconta Skander, 32 anni –: purtroppo quando i miei genitori l’hanno ottenuta, ero già maggiorenne e ho dovuto fare la richiesta da solo. Fortunatamente all’epoca avevo una buona entrata economica e sono riuscito ad ottenerla. Sono nato in Tunisia, ma cresciuto in Italia dall’età di 3 anni. Ho frequentato tutte le scuole qui: dall’asilo all’università. Ricordo il senso di vergogna provato durante una gita alle superiori in Slovenia: al confine la polizia aveva controllato solo i miei documenti. Mi sono sentito emarginato. Oppure quando volevo andare a trovare un amico a New Castle, prima della Brexit: la procedura per richiedere il visto era troppo lunga, e nonostante avessi già pagato il volo, non sono potuto partire. Quando ho avuto tra le mani la cittadinanza italiana, ero felicissimo: finalmente avevo un documento che certificava il mio essere italiano, anche se mi sentivo già tale”.
La mia pratica bloccata da anni
Hiba, 20 anni, è ancora in attesa di risposta alla sua richiesta di cittadinanza: “Sono arrivata in Italia quando avevo otto mesi. Mio padre aveva fatto la richiesta di cittadinanza, ma l’ha ottenuta quando ero già maggiorenne e quindi ho dovuto presentarla da sola. Peccato che la mia pratica sia bloccata da tempo: c’è un funzionario in malattia da mesi ormai e nessun altro la prende in carico. Io mi sento un po’ come nella novella di Pirandello ‘Uno, nessuno, centomila’: in Tunisia sono considerata l’italiana, in Italia la tunisina. Ma io sono un ‘misto’, sono italo tunisina, non posso fare a meno di entrambe le mie identità. Anche mia madre ha avuto problemi con la sua richiesta: non hanno controllato bene i documenti e non hanno accolto la domanda, nonostante fosse tutto in regola e abbiamo fatto ricorso tramite un avvocato. In questo Referendum, per quanto riguarda la cittadinanza, sarebbe giusto votare Sì, per semplificare tutto quanto”.
© Riproduzione riservata
Sei un nostro lettore abituale? Sostieni il nostro lavoro, basta un click!
INSERT_STEADY_CHECKOUT_HERE