La giornata delle vaccinazioni a porte aperte in Tunisia
Il 15 agosto in Tunisia seconda giornata di vaccinazione libera, aperta ai giovani dai 18 ai 39 anni. Un giro nei centri vaccinali per seguire l'andamento di questa giornata e qualche considerazione.
DA TUNISI – Nei dieci anni che hanno seguito la Rivoluzione a Tunisi mi ero abituata al rito della giornata delle elezioni. Facevo il giro dei licei, delle scuole, dei municipi dove erano allestiti seggi elettorali. Battevo il centro e la periferia, incominciavo all’alba, mentre si radunavano i mattinieri, seguivo l’andamento dell’affluenza nelle ore pomeridiane, mi attardavo fino alla chiusura e poi aspettavo le prime notizie dello spoglio. Un rito che malgrado una crescente disaffezione manteneva intatto il suo valore simbolico. Era la rappresentazione della democrazia in un Paese che fino al 2011 non aveva mai conosciuto elezioni libere, dove le urne erano sistematicamente manomesse, dove la gente disgustata buttava in strada le schede trasparenti fornite ai seggi o non andava affatto a votare.
Questa domenica 15 agosto invece dei seggi elettorali mi sono ritrovata a fare il giro dei centri vaccinali. Stessi luoghi – scuole elementari e licei. Stesse procedure – l’iscrizione alle liste, il controllo dei documenti. Stessi giovani volontari con le magliette rosse e la mezzaluna. E poi ancora gli scouts. L’esercito a dare manforte. Le file disciplinate. Un pacato senso di impegno civico. E’ la seconda giornata di vaccinazione libera, aperta a tutti coloro che hanno tra i 18 e i 39 anni. Ali, ultimo anno di superiori, si è iscritto sulla piattaforma Evax e conta recarsi alle 9 del mattino al centro vaccinale della Soukra, sobborgo residenziale borghese. Ma Ali è uno dei 130 mila studenti iscritti d’ufficio sulla lista del Ministero dell’Istruzione. Sicché la sera prima gli arriva un sms: è invitato a recarsi al centro vaccinale del liceo di Menzah 6 alle ore 14. Il liceo sorge tra villette monofamiliari bianche circondate da buganvillee e oleandri. C’è poca fila. I volontari accolgono e istradano, su un basso muretto uno di loro dà istruzioni con un megafono, si vede un militare, un’auto della polizia. Il sole picchia in questa giornata di un lungo ponte sulla città semideserta. Venerdì 13 agosto era la Festa della Donna, giorno festivo in Tunisia, e molti privati – in questo fine settimana così simile ad un Ferragosto nostrano – hanno chiuso le loro attività e sono tornati al bled.
Alle 14.30, contrariamente alle sue aspettative, Ali ha già finito. La domenica precedente, l’ 8 agosto, prima giornata di vaccinazione libera, destinata ai più di quarant’anni, c’era stata più disorganizzazione, attese più lunghe. Ma c’erano anche state festose manifestazioni folcloristiche presso i centri di vaccinazione, mi racconta Afef, insegnante di liceo e patita di Facebook. Ho trovato online un assortimento di video di gruppi musicali che animano i centri di vaccinazione al suono della darbouka, di matrone che battono il ritmo, di vegliardi che ballano dopo aver ricevuto la loro dose di vaccino, di medici e pazienti che insieme intonano l’inno nazionale. Una coreografia non dissimile da quelle dei tempi di Ben Ali: un mix di giubilo popolare e volontariato patriottico.
Le cifre riportate dai media parlano di 550 mila e passa vaccini somministrati nel corso di dodici ore (dalle 7 alle 19) in 335 centri. Un primo esperimento di “vaccinazioni aperte” aveva avuto luogo il 20 luglio, il giorno di aid al-adha (la Festa del Sacrificio), aperto a tutti i cittadini di più di 18 anni. Quel giorno di centri se ne contavano solo 29 aperti solo per sei ore, dalle 13 alle 19. La sera Hajer, giornalista trentenne, mi manda un sms: “Ho fatto il vaccino. Sei ore di fila. Sono esausta”. L’impatto mediatico era stato disastroso. Non c’erano dosi a sufficienza, alcuni centri hanno chiuso dopo un’ora. Due giorni dopo il ministro della Sanità Faouzi Mehdi veniva licenziato.
Tra la disastrosa giornata del 20 luglio e la brillante performance dell’8 agosto c’è stata la presa dei pieni poteri da parte del Presidente della Repubblica Kais Saied, il 25 luglio, con l’appoggio dell’Esercito. E l’impressione generale è che i vaccini abbiano incominciato ad affluire in Tunisia proprio a partire da quella data. Secondo Afef “i vaccini erano belli e pronti, sulle navi e nei container degli aeroporti: si aspettava solo un segnale”. In realtà non è proprio così. Vaccini e materiale medico, in particolare generatori di ossigeno, avevano già incominciato ad arrivare nei giorni precedenti: dall’Italia erano giunti in Tunisia cinque container di materiale sanitario “su richiesta specifica del Governo tunisino e in esito ad un accordo tra i rispettivi Ministeri della Salute” come indica una nota della Farnesina. Ma se ne era parlato poco mentre il 1 agosto 2021 ben 1,5 milioni di dosi di vaccino arrivate dall’Italia sono state prese personalmente in consegna da Kais Saied affiancato dall’ambasciatore italiano. Erano già arrivati vaccini dagli Emirati: proprio con una dose di quelli Hajer era stata vaccinata il 20 luglio.
Non è nemmeno del tutto giustificata la vox populi secondo la quale i vaccini in Tunisia non arrivavano perché il capo di governo, Hichem Mechichi, non li chiedeva. Su Facebook circolano video di Mechichi che trascorre il week-end in un albergo di lusso a Hammamet indifferente al popolo che l’epidemia sta flagellando. Tuttavia in giugno Mechichi era a Ginevra a negoziare accordi sia con l’OMS che con l’OMC per la fornitura di vaccini. Sicché sembra che se da un lato la campagna vaccinale in Tunisia è partita in ritardo anche per le difficoltà del paese di acquisire le dosi necessarie, dall’altro i doni di vaccini della comunità internazionale fino a luglio sono arrivati col contagocce. Una congiuntura che ha fatto cadere l’arrivo dei soccorsi come una pera matura nelle mani di Kais Saied tanto più che il 25 luglio il picco dei casi era già stato superato.
Non che il Presidente non ci abbia messo del suo. O meglio, ce lo ha messo probabilmente l’entourage che lo sostiene. In grado di mobilitare a tambur battente medici e infermieri che in dicembre scioperavano contro il governo, di gestire efficacemente le piattaforme di iscrizione e le liste dei vaccinandi, di allestire centri nei complessi scolastici e di mobilitare le forze di polizia per la sorveglianza, di richiamare migliaia di volontari e soprattutto di disporre del supporto medico, paramedico e logistico dell’Esercito. Tutto fa pensare che si sia trattato del volenteroso ritorno di quello Stato che non ha mai digerito appieno la Rivoluzione del 2011. Il resto lo hanno fatto i media.
La giornata del 15 agosto si è svolta con maggiore efficacia organizzativa e minore folclore populista, a parte l’arrivo, presso un centro vaccinale del Sud, di una sposa in carrozza e abito tradizionale berbero, con la solita troupe di musica popolare al seguito. La guardo e mi ricorda qualcosa. Non c’è stato un simile episodio anche in Italia? Un rapido controllo su internet mi conferma che di “vaccinazioni con fiori d’arancio” ce ne sono state addirittura diverse. Chiedo a Imen che è stata vaccinata il 15 agosto in un centro di provincia, se pensa che sia possibile vaccinare tante persone in poche ore. “Come no?” mi risponde. “Dovevi vedere. Eravamo tutti in fila, un’infermiera passava a passo spedito e tic tic tic ci faceva l’iniezione l’uno dopo l’altro – come delle pecore, hai presente?” Non ho presente ma la descrizione è efficace. Imen aggiunge: “Kais Saied ha detto che farà un’altra giornata di vaccinazioni il 29 agosto”. Di elezioni, invece, per il momento non si parla.
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