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Semia Gharbi: l’attivista che ha fermato il traffico di rifiuti Italia – Tunisia

Semia Gharbi, scienziata ed educatrice ambientale, è vincitrice del Goldman Environmental Prize 2025

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Nel 2020, un carico partito da Salerno è arrivato al porto di Sousse. Il carico conteneva 2.000 tonnellate di rifuti ed era il primo di una lunga serie. In pochi mesi, quasi 8.000 rifiuti – spediti illegalmente dall’Italia- hanno raggiunto la Tunisia violando norme internazionali e mettendo a rischio la salute pubblica.  In prima linea per questa battaglia c’era Semia Gharbi, che ha guidato la mobilitazione nazionale ed internazionale.  Semia Gharbi, 57 anni, scienziata e educatrice ambientale, è riuscita a restituire i rifiuti all’Italia e, grazie alla sua battaglia, l’Unione Europea ha rafforzato le norme in materia di esportazione dei rifiuti.

Chi è Semia Gharbi

Da sempre impegnata a promuovere un legame tra scienza e tutela della salute umana e ambientale, con un’attenzione sull’eliminazione delle sostanze chimiche tossiche, Semia Gharbi è anche insegnante ed attivista. Nel 2011 ha fondato l’Associazione per l’Educazione Ambientale per le Generazioni Future (AEEFG), un’ONG che collabora strettamente con il Ministero dell’Istruzione ed è impegnata a sensibilizzare bambini e adulti sui rischi legati alle sostanze pericolose. Semia è inoltre coordinatrice per il Medio Oriente e Nord Africa della Rete Internazionale per l’Eliminazione degli Inquinanti (IPEN) e co-fondatrice della Réseau Tunisie Verte (RTV) – Rete Tunisia Verde.

Nel 2025 ha vinto il Premio Goldman, un premio assegnato ogni anno a “persone comuni che compiono azioni straordinarie per proteggere il nostro pianeta”. Il Premio Goldman ha evidenziato il suo recente lavoro di denuncia delle spedizioni illegali di rifiuti pericolosi dall’Italia alla Tunisia, sottolineando la corruzione che i suoi sforzi hanno messo in luce e i cambiamenti politici che ne sono derivati in seguito alla campagna.

Semia Gharbi, 2025 Goldman Environmental Prize winner from Tunis – credits Goldman Environmental Prize

Come avete strutturato la campagna nazionale di pressione sul governo tunisino?

La nostra campagna si è sviluppata su tre diversi livelli: livello locale, nazionale ed internazionale. È partita dal Green Tunisian Network (GTN), di cui sono co-fondatrice e membro, con l’obiettivo di supportare il governo tunisino. Il mio ruolo è stato quello di creare connessioni regionali e globali, grazie anche alla mia ONG, impegnata a livello internazionale su temi come sostanze tossiche e il traffico transfrontaliero di rifiuti. Questa strategia è stata vincente perché abbiamo lavorato in rete. Abbiamo ricevuto il supporto del Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani e dai nostri colleghi europei ed africani che hanno esercitato pressione sui loro governi, in particolare quello italiano, appellandosi alla Convenzione di Bamako. È stato un lavoro collettivo che ha coinvolto la società civile, giornalisti, attivisti e  istituzioni tunisine e che ha richiesto competenze diverse, scientifiche e non. Attraverso petizioni, comunicati stampa, interviste e campagne mediatiche e sui social siamo riusciti a mobilitare l’opinione pubblica. È stato un lavoro incessante che è durato due anni che è iniziato nel 2020. La campagna è partita dopo una denuncia pubblica in un programma televisivo tunisino che rivelava il traffico illegale di rifiuti provenienti dall’Italia. 

Avete mai ricevuto minacce o pressioni per fermare le vostre attività?

Non abbiamo ricevuto minacce, anche grazie al fatto che abbiamo lavorato in stretta collaborazione con il governo tunisino per supportarlo e rispedire i rifiuti all’Italia. Questo è stato il nostro obiettivo principale.  Avendo ricevuto il supporto del governo fin dall’inizio ed avendo lavorato con esso non abbiamo ricevuto minacce o pressioni. Ci sono state sicuramente molteplici difficoltà ed è per questo che abbiamo impiegato due anni per raggiungere il nostro obiettivo. Tuttavia, avevamo ben in mente l’obiettivo della nostra battaglia e non ci siamo scoraggiati finché non abbiamo raggiunto il traguardo. Questo è stato il nostro pensiero costante durante la campagna.

Porto di Sousse Credit Goldman Environmental Prize

Che significato ha per lei aver ricevuto il Goldman Environmental Prize, spesso definito il “Nobel per l’ambiente”?

Quando ho saputo di essere stata selezionata come vincitrice per il continente sono rimasta molto sorpresa. Non me l’aspettavo, soprattutto perché sono una donna che si occupa di questioni ambientali e che lavora in silenzio. Ricevere questo premio è stato un grande onore. È un riconoscimento non solo personale, ma collettivo: è per la Tunisia, per le donne tunisine, per le donne musulmane, arabe e per tutto il continente africano.

È un premio collettivo, pertanto, e questo perché soprattutto quando ricevi un premio per l’ambiente significa che hai ricevuto un grande supporto. Lavorare nella salvaguardia dell’ambiente significa lavorare insieme, perché l’ambiente non conosce confini e tutte le persone hanno diritto a vivere in un ambiente sano, senza distinzioni di alcun tipo.  Nell’ambiente, non esiste differenza tra Paesi “sviluppati” e Paesi “in via di sviluppo” quando si tratta di inquinamento perché siamo tutti coinvolti. Il messaggio che voglio dare è che la società civile ha successo e riesce ad ottenere grandi risultati quando lavora insieme. E questi risultati saranno a beneficio di tutti.

In che modo questo successo può ispirare altri Paesi del Sud globale a difendersi contro le ingiustizie ambientali e il colonialismo ambientale?

L’esportazione illegale di rifiuti dai Paesi ricchi verso i Paesi del sud globale non è un fenomeno recente ed è un fenomeno globale. Per fronteggiare questo enorme problema è stata redatta la convenzione di Basel per regolare e limitare l’esportazione di rifiuti pericolosi.  Non possiamo permetterci di gestire i rifiuti degli altri Paesi. Abbiamo già enormi difficoltà nella gestione dei nostri rifiuti con le discariche già al limite. La maggior parte di questi rifiuti viene incenerita, con l’emissione di sostanze inquinanti che mettono e a enorme rischio la nostra salute.

L’esportazione di rifiuti è per me inaccettabile. I Paesi dovrebbero esportare beni e tecnologie, non spazzatura. La lezione che porto a casa da questo premio è questo: l’azione collettiva funziona.  La società civile, lavorando insieme a livello internazionale, può cambiare le cose. Il lavoro sull’ambiente ha bisogno di vari tipi di expertise il che rende il lavoro in team necessario. Alcune volte ci vuole molto tempo, ma alla fine otteniamo i risultati. E questi risultati sono a beneficio di tutti.

Semia Gharbi, 2025 , credits Goldman Environmental Prize

Il Goldman Prize, spesso chiamato “Premio Nobel per l’ambiente”, viene assegnato ogni anno ad attivisti ambientali della società civile per i loro sforzi sostenuti e significativi nella protezione e nel miglioramento dell’ambiente naturale. Ogni anno vengono scelti sei vincitori, uno per ciascuna delle sei regioni continentali abitate del mondo: Africa, Asia, Europa, Isole e Nazioni insulari, Nord America, Sud e Centro America.

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