La libreria Fahrenheit 451 di Cartagine è un piccolo gioiello gestito dal signor Fouad, libraio appassionato ed evidentemente interessato al futuro della lettura, avendo intitolato la sua attività ispirandosi al romanzo di Ray Bradbury nel quale i libri erano diventati vietati e la loro lettura addirittura passibile di contestazione di un grave reato. Una libreria generalista che, tradizionalmente, dà spazio a tante iniziative artistiche collaterali al mondo della carta stampata e rilegata; come quella inaugurata a ottobre e in corso fino al 2 novembre e intitolata “Haïku”. Si tratta di una pensata ispirata ai famosi poemetti brevi della cultura giapponese, con la messa in mostra di paesaggi monocromi – dipinti in acrilico su cartone, volutamente un materiale povero, in cui si utilizza un solo colore con tonalità diverse – il tutto a opera di Hichem Ben Ammar, noto artista versatile e di grande respiro, già celebre in Tunisia per essere regista, critico cinematografico, autore di versi e pittore. Parallelamente, sempre a firma dell’eclettico Ben Ammar e pubblicata per i tipi di Contraste Editions, viene proposta l’ultima (e la quarta) raccolta di poemi dell’autore tunisino: “Haïku, Bribes et Débris de la Mémoire”.
Ben Ammar sembra aver trovato, con la pittura e questa forma d’arte scrittoria che giunge da lontano, due strumenti adatti alle sue corde: «Anzitutto la metrica, che consta di tre versi e di appena diciassette sillabe: cinque nella prima riga, sette nella seconda, altre cinque nella terza e ultima. Una forma d’arte che in Giappone è viva dal diciassettesimo secolo e che coinvolge l’autore a parlare della relazione dell’individuo con il mondo e con la natura, essendo obbligato a tenere in vita solo l’essenziale per questioni di spazio. Mi sento vicino alla filosofia spirituale della cultura zen. Alcuni sono testi e argomenti piuttosto datati, con rimandi alla mia adolescenza; altri, molto più recenti. Come quelli che ho messo giù e raccolto durante il periodo del far niente (detto in italiano, ndA) per le restrizioni della pandemia del 2020, così come recenti sono le opere monocrome che ho realizzato in quel lasso di tempo. Considero pittura e scrittura due esperienze complementari che, nel mio caso, si sono accompagnate l’una all’altra».
Ancora Ben Ammar: «”Débris” è una parola che ho voluto nel titolo proprio perché questi componimenti sono piccole cose e spesso le cose insignificanti nella dimensione, i frammenti, si tende a dimenticarli o a considerarli scarti. Invece possono essere un valore, anzi, io ne sono fermamente convinto. Gli haïku sono scritti talmente intimi e personali che diventano un’obiezione di coscienza, una espressione autentica di se stessi. Per ispirarmi ho pensato a una frase di André Gide: “L’art naît de contraintes, vit de luttes et meurt de liberté”, l’arte nasce per contrasto, vive di lutti e muore di libertà». Quello che ironicamente l’autore definisce «un bestiario» racconta di luoghi, di animali, di cibo e bevande, di luoghi. Con lo stile che l’haïku impone, che strizza l’occhio all’ironia e all’autoironia, sfrutta i giochi di parole e il verso finale che spesso spiazza, punzecchia o, semplicemente, suscita un sorriso o un pensiero.
Una curiosità: nel libro si attesta che tutti i componimenti sono opera dell’autore e non dell’intelligenza artificiale. Come Ben Ammar ha tenuto a specificare: «Li ho scritti prima dell’arrivo della IA, della quale peraltro ho avuto esperienza, trovandola piuttosto deludente rispetto alle mie aspettative». Perché nessuna macchina potrà mai sostituire i guizzi dell’ingegno umano.
Chantage à la crème
Voici un échantillon
À la chantilly
J’avale une perle
Qui brille dans mon gésier
Et je deviens merle
Haïku de foudre
Déchire le ciel
Et la page blanche
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