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Olga Malakhova e le sue “Belles de Carthage”

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Hout 3alik è un’espressione tunisina che significa letteralmente “il pesce su di te”, un augurio di buona sorte che affonda le sue radici nelle tradizioni popolari. Da questo simbolo beneaugurante nasce “Hout alik”, una delle sezioni centrali della mostra che Olga Malakhova presenta all’Espace d’Art Imagin’ di Carthage Dermech, ora prolungata fino al 17 dicembre. Un periodo più lungo che permette al pubblico di scoprire — o riscoprire — le sue nuove creazioni: un viaggio tra figure femminili ispirate ai mosaici del Bardo e creature marine dai colori accesi.

Malakhova, estone di origine e tunisina d’adozione, accoglie i visitatori con la semplicità di chi ha fatto dell’arte un ponte quotidiano tra culture. Racconta come molte delle donne raffigurate nelle sue opere derivino proprio dai mosaici del museo del Bardo: “Sono voci antiche che continuano a parlarci”, dice. Nei suoi quadri, quegli sguardi sopravvissuti ai secoli ritrovano un contesto vivo, moderno, ma ancora immerso in una memoria sensibile e rispettosa. La sua tecnica, paziente e meticolosa, riprende la gestualità del mosaico: ogni dettaglio è costruito come una piccola tessera, un frammento che concorre a una figura più grande. È un approccio che permette all’artista di fondere epoche e stili, passando dalle forme classiche alle citazioni dei grandi maestri. Così, il Bacio di Klimt o la Sposa volante di Chagall diventano pretesti per raccontare una Tunisia luminosa, tessuta di motivi tradizionali, ceramiche, geometrie berbere e colori che oscillano tra il blu mediterraneo e i toni caldi della terra.

In questo percorso ricco di rimandi e stratificazioni, non manca un elemento giocoso: Malakhova confida al pubblico che in ogni quadro è nascosto un gatto. A volte ben visibile, altre volte celato tra due curve o nel disegno di un vestito. Una piccola sfida che trasforma la visita in una ricerca complice e divertente, un modo per entrare ancora più a fondo nelle sue composizioni. L’estensione della mostra fino al 17 dicembre non è solo una decisione logistica: è anche il segno della forte risposta del pubblico. Visitatori locali, turisti, appassionati d’arte e semplici curiosi si ritrovano fianco a fianco nelle sale dell’Espace d’Art Imagin’, attratti da un linguaggio pittorico che riesce a essere insieme accessibile e colto. Le “Belles de Carthage”, con i loro volti ieratici ma vicini, parlano infatti a chiunque abbia il desiderio di confrontarsi con una femminilità antica e contemporanea allo stesso tempo.

Molti osservatori notano come Malakhova riesca a far dialogare memoria culturale e sensibilità personale senza mai perdere in autenticità. I mosaici del Bardo, temporaneamente “orfani” della loro casa, trovano un’eco nelle sue tele: non una copia, non una citazione formale, ma una vera metamorfosi. Le figure si ammorbidiscono, le linee si fanno più organiche, i colori si scaldano. L’artista non riproduce: reinterpreta. E attraverso la reinterpretazione restituisce dignità e vitalità a un patrimonio che fa parte dell’identità tunisina. La mostra — aperta dal lunedì al sabato nel corso della giornata — invita a prendersi il tempo necessario per attraversare i diversi nuclei tematici. Ogni parete sembra raccontare un capitolo diverso: la sezione dedicata ai pesci, ad esempio, è un inno alla fortuna ma anche all’acqua, elemento centrale per le civiltà mediterranee; mentre quella dedicata alle figure femminili è un omaggio al ruolo della donna nella storia del Maghreb, tra mito e quotidianità, tra archetipo e realtà vissuta. La cura con cui sono collocate le opere rende la visita un percorso narrativo più che una semplice esposizione.

A uscire dall’Espace d’Art Imagin’, si avverte una sensazione precisa: come se le donne dei mosaici antichi, spogliate della loro sede museale, avessero momentaneamente trovato riparo nelle tele dell’artista, e da lì continuassero a osservare, a custodire, a raccontare. È un’impressione lieve ma persistente, quella di aver vissuto un piccolo passaggio di testimone tra epoche diverse. E, in fondo, l’augurio resta lo stesso, discreto ma affettuoso, come una formula che attraversa il tempo: Hout 3alik. Che il pesce porti fortuna anche a chi guarda.

© Riproduzione riservata


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