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Cosa sta succedendo a Gabes, la “Taranto tunisina”

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A Gabes, città costiera del sud tunisino un tempo nota per la sua oasi e per il suo mare, oggi l’aria è irrespirabile. Da settimane gli abitanti scendono in piazza gridando “Il popolo vuole lo smantellamento del Gruppo chimico”: un grido che racconta decenni di silenzio, malattie e promesse mancate. Ad inizio ottobre diversi casi di asfissia – dovuti a una fuga di gas del Gruppo Chimico Tunisino della città – ha portato in ospedale decine di giovani. Svenimenti, mancanza d’aria, sono solo alcuni dei sintomi che i giovani hanno manifestato. E nelle settimane successive la situazione non è migliorata: il numero delle persone ospedalizzate ha superato i 300, e molti da Gabes sono stati spostati a Tunisi, poiché l’ospedale non riusciva più a contenere tutti i casi.

A Gabes il Gruppo Chimico Tunisino opera dal 1979: un’impresa pubblica che lavora il fosfato proveniente dalle miniere di Gafsa, producendo fertilizzante destinato soprattutto al mercato europeo. Un complesso che dà lavoro al territorio, mietendo al contempo le sue vittime: il numero delle persone malate di cancro aumenta sempre più e gli abitanti sono stanchi di vivere in un ambiente inquinato che mette in pericolo le loro vite. Sono anni che le associazioni ambientaliste – Stop pollution Gabes in primis – denunciano quanto accade sul territorio, senza venire ascoltate dal governo. L’inquinamento della città è noto: nonostante Gabes si affacci sul mare, non è mai riuscita a diventare una meta balneare di riferimento – nemmeno per il turismo interno – a causa dell’inquinamento delle sue acque (il 93% della biodiversità marina è scomparsa) e la famosa oasi di Gabes Chenini ha da anni perso la sua attrattività e la sua bellezza: l’acqua è praticamente inesistente, e, trascurata, è diventata in alcuni tratti una discarica a cielo aperto. Anche qui, diverse associazioni si battono per farla ritornare come era prima e per preservarne la biodiversità, spesso dovendo contare solo sulle proprie forze.

 
 
 
 
 
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Le dichiarazioni di Saied: tra indignazione e contraddizioni

Dopo l’ondata di proteste a Gabes e la crescente attenzione internazionale, il presidente Kaïs Saied è intervenuto pubblicamente, definendo quanto accaduto “un assassinio ambientale” e puntando il dito contro “le politiche criminali del passato” che, a suo dire, avrebbero compromesso per decenni la salute dei cittadini e l’ambiente della regione.  Saied ha promesso l’apertura di indagini ufficiali per individuare le responsabilità nella gestione del Gruppo Chimico Tunisino, dichiarando che “i responsabili pagheranno” e che ogni funzionario “dovrà assumersi le proprie responsabilità nel rispetto della legge”. Ha inoltre ordinato l’invio a Gabes di una commissione ministeriale congiunta — Industria, Energia e Ambiente — per monitorare da vicino gli impianti e garantire che fughe di gas come quella delle scorse settimane non si ripetano più.

Nel suo discorso al Palazzo di Cartagine, il presidente ha anche condannato “chi sfrutta le sofferenze del popolo per interessi personali”, in riferimento alle accuse rivolte ad alcuni movimenti di opposizione. Tuttavia, le sue parole hanno suscitato reazioni contrastanti: da un lato, il riconoscimento ufficiale della gravità del disastro ambientale è stato accolto come un segnale importante; dall’altro, molte organizzazioni ambientaliste e cittadini di Gabes hanno denunciato la mancanza di azioni concrete, ricordando che da anni le promesse di chiusura (l’ultima nel 2017) o riconversione dello stabilimento restano solo parole. 

E soprattutto, la contraddizione rimane: mentre Saied parla di “crimine ambientale”, il governo da lui guidato continua a puntare sull’aumento della produzione di fosfati, una delle principali fonti di reddito del Paese. Una scelta che, ancora una volta, mette in discussione quale sia davvero la priorità: la salute dei cittadini o l’economia nazionale. Il 18 ottobre 2025, oltre 70 persone sono state arrestate durante manifestazioni notturne a Gabès contro il complesso chimico: alcuni sono stati “imprigionati” o “rinviati in giudizio”.

 
 
 
 
 
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Intanto la rabbia della popolazione ha superato i confini della città: anche nella capitale Tunisi gli abitanti hanno manifestato in solidarietà, così come a Parigi e anche in Italia i tunisini residenti si preparano a scendere per strada. “La vita dei cittadini di Gabes conta”, si legge in un cartello durante l’ultima manifestazione, un richiamo al “black lives matter”. “Vogliamo vivere”, fino a chi definisce Gabes “La Chernobyl tunisina”. 

Di tutto questo abbiamo parlato con Imen Arfaoui, geologa e ricercatrice tunisina che negli ultimi anni ha studiato da vicino la situazione di Gabes. Con un video diventato virale, Arfaoui ha denunciato pubblicamente l’impatto dell’inquinamento chimico sulla salute e sull’ambiente, proponendo anche soluzioni concrete per la depurazione del territorio.

© Riproduzione riservata 


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