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Ebrei di Tunisia: cronaca nostalgica tra esilio e memoria nel docufilm “Du TGM au TGV”

Il documentario “Du TGM au TGV” racconta degli Ebrei di Tunisia emigrati negli anni Sessanta in una Francia accogliente (quella dell’Alta Velocità ovvero il TGV), dove hanno ricostruito le loro vite e le loro comunità lasciando un’impronta inconfondibile nei quartieri e nelle periferie urbane, familiari per questo tratto etnico anche ai gentili.

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“Dico sempre che gli Ebrei spagnoli, quando hanno dovuto lasciare la Spagna, hanno conservato le chiavi delle loro case per cinque secoli. Ecco che cosa è l’esilio e lo sradicamento. Si dà il caso che oggi il mondo è pieno di esiliati e quindi penso che questo film dica qualcosa a un sacco di gente.” Sono le parole di Sonia Fellous, sceneggiatrice del documentario “Du TGM au TGV”, presentato di recente a Milano. Prodotto da Gilles Samama che, come Sonia Fellous, ha per retroterra la comunità degli Ebrei tunisini – mentre la regia è dell’italiano Ruggero Gabbai – racconta degli Ebrei di Tunisia emigrati negli anni Sessanta in una Francia accogliente (quella dell’Alta Velocità ovvero il TGV), dove hanno ricostruito le loro vite e le loro comunità lasciando un’impronta inconfondibile nei quartieri e nelle periferie urbane, familiari per questo tratto etnico anche ai gentili. 

Il titolo del film – il TGM è il trenino che collega il centro della capitale ai sobborghi balneari del nord – è pressoché incomprensibile per chi non conosce la Tunisia. Dà al film un certo sapore di narrazione per iniziati, di lunghe conversazioni tra esuli che si intrecciano tra uno sgranarsi di vecchie foto di famiglia, di ricordi condivisi di lunghe villeggiature estive, di convivialità festive. Ciò non ha impedito al film di attirare in Francia l’attenzione del grande pubblico: forse perché,  come è stato ricordato durante il dibattito, tra i protagonisti sfilano una serie di celebrità del mondo intellettuale, imprenditoriale e artistico francese. 

Il TGM – photo credits Rosita Ferrato

Non è però un racconto edulcorato, quello costruito attraverso le memorie delle vecchie generazioni e le scoperte delle giovani, talvolta rabbiose, “seconde generazioni” alla ricerca delle proprie radici. Queste ultime parlano di “secoli di soprusi” che non hanno vissuto ma constatano a muso duro: “Non si lascia un Paese da un giorno all’altro senza ragione …” . Già, perché hanno lasciato la Tunisia, gli Ebrei che l’abitavano da duemila anni? “Si dice che c’erano centomila Ebrei in Tunisia, di certo ce n’erano sessantamila solo a Tunisi”, spiega ancora Sonia Fellous. Oggi gli Ebrei sono forse millecinquecento in tutto il Paese. “Quando è che abbiamo capito che dovevamo lasciare il Paese?” è una delle domande intorno a cui sono costruite le interviste. 

Emerge, lacerante, il ricordo del passato prossimo: la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e i moti antiebraici nella capitale, la sinagoga profanata, i negozi degli Ebrei saccheggiati, le loro case prese d’assalto. Ma qualcuno risale a più indietro, alla “crisi di Bizerta” del  luglio 1961 che – cinque anni dopo l’Indipendenza – oppone la Tunisia alla Francia intorno all’ultima base navale ancora occupata da quest’ultima, provocando centinaia di morti tra i Tunisini (solo poche decine invece tra i militari francesi) e  l’evacuazione di molte famiglie francesi. Ma ancora prima dell’Indipendenza certi segnali si fanno sentire. Racconta un intervistato che un sociologo americano lo aveva avvertito: “Fra dieci anni questo Paese sarà indipendente e tutto cambierà”. E allora si incomincia a pensare che forse è opportuno partire per tempo. 

interno della sinanoga della Ghriba a Djerba – photo credits Giada Frana

Per la prossimità linguistico-culturale con la potenza coloniale la Francia è la scelta naturale per molti Ebrei tunisini. Non senza profonde ambivalenze identitarie. Durante il dibattito milanese Sonia Fellous condivide, “in diretta” un ricordo che emerge all’improvviso dal suo personale rimosso: “Arrivo in Francia a undici anni e voglio far dimenticare che sono Tunisina. Ho i capelli tagliati cortissimi e spiego nel film che è perché in Tunisia facevo nuoto … Ma non è vero! Li avevano tagliati per via dei pidocchi! Ma avevo finito per crederci anch’io, che praticavo il nuoto come sport …  Una chiave di lettura di questo film sta proprio nel suo lasciar trasparire, attraverso le narrazioni dei singoli protagonisti, l’inconscio collettivo di una comunità e il suo rapporto ambivalente con un passato coloniale.

Tocca  all’interprete Mohsen Mouelhi – unica voce “altra” del dibattito, quella cioè di un musulmano tunisino emigrato in Italia – ricordare le pressioni delle autorità francesi in Tunisia sugli immigrati italiani affinché prendessero la cittadinanza francese. 

sinagoga a LaFayette, Tunisi – photo credits Giada Frana

Chiedo a Sonia Fellous come sintetizzerebbe il messaggio affidato al documentario. “Occorre riappropriarsi del proprio passato plurale” risponde. Chi conosce bene il Paese sa che queste parole rimandano al lungo dibattito tra chi considera la Tunisia un paese “culturalmente omogeneo” e chi parla di tracce di minoranze – gli Ebrei, gli Amazigh – volutamente cancellate. A Tunisi nel quartiere borghese di LaFayette costruito dai Francesi abitava un’importante comunità ebraica. Ne recano traccia oggi, la grande sinagoga e la macelleria kosher. La sinagoga, che appare nel documentario, negli anni Sessanta aveva una vita intensa: ogni settimana vi si celebravano fastosi matrimoni. Oggi l’ingresso principale, con la sua grande scalinata, la cancellata di ferro battuto, è perennemente chiuso, circondato da cavalli di frisia e sorvegliato da due garritte della polizia. Il documentario rivela il piccolo ingresso laterale, e la vita segreta che custodisce. La macelleria, riconoscibile dai caratteri ebraici incisi su una lastra di marmo, è apprezzata da sempre anche da clienti non-ebrei anche perché la carne kosher degli ebrei è halal per i musulmani.

Insisto: “Ma la Tunisia non sta facendo qualche sforzo per ricostruire la memoria ebraica?” La risposta di Sonia Fellous è sconsolata: “Cosa aspettarsi da un paese nella cui Costituzione è stata iscritta la non-normalizzazione con lo stato di Israele?” In realtà se Kais Saied aveva manifestato questa intenzione nel redigere la “sua” nuova costituzione, non gli ha poi dato seguito. Ma ambivalenze e malintesi restano all’ordine del giorno.

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