Il Mal di Tunisi ti colpisce quando meno te l’aspetti
Siamo in pieno settembre e, tanto per cambiare, fuori ci sono 40 gradi all’ombra, c’è un sole opprimente che lascia poco scampo e che proprio non vuole saperne di lasciarci in pace. E, strano da dire, è proprio in questi momenti che un po’ sento la mancanza delle giornate piovose di Tunisi. Sarà bizzarro, eppure quando penso alla mia esperienza in Tunisia ricordo sì le bellezze dei reperti storici che ho avuto la fortuna di vedere ma, credetemi, quello che mi salta più alla mente sono quei piccoli momenti di routine che scandivano la mia vita al di là del Mediterraneo.
Come dimenticare l’inconfondibile odore di caffè nei taxi di primo mattino mentre alla radio passava il Corano e, ancora, come dimenticare quella sensazione di sollievo e piacevolezza nell’uscire di casa andare al Bar Trend ed ordinare il solito “uahid direct min fadlik” di cui, come ho già detto, ero diventato quasi dipendente, per non parlare poi del “Menù Bonjour” prima di andare all’università. Una gioia. Mi manca andare a salutare il Professor Nagga prima delle lezioni e mi mancano non poco i piccoli gesti quotidiani di cui tante persone in Tunisia sono capaci.

Ricordo, in particolare, una mattina in cui, come al solito, ero alla fermata metro del Bardo per aspettare (e sperare!) in un taxi che mi portasse a Fak Ibn-Sharaf, dov’era la mia università. Succede, per mia fortuna, di iniziare a chiacchierare con questo signore che, per qualche inspiegabile motivo, pensava che io fossi marocchino. Gli spiego dove devo andare e lui mi fa presente che per arrivare all’università avrei potuto prendere anche un pullman, cosa che non avevo mai sentito prima e che mi lasciò stupito: un pullman? Davvero? E da quando? Dopo pochi minuti, ecco che questo bus passa davvero. Lui mi fa cenno di seguirlo ed inizia ad agitare le braccia veementemente per farsi notare dall’autista. Fermato il mezzo, mi invita a salire mentre spiega ad un signore che era in bus affianco a me dove dovevo andare e gli chiede l’accortezza di stare attento ed indicarmi la fermata giusta.
O, ancora, ricordo con piacere un giorno in cui, al mio suq preferito, mentre piluccavo tra i panni usati a pochi dinar, mi ritrovo di fianco a due signore. Mentre eravamo assorti nella ricerca, una delle due ricava dal fondo una vecchia felpa dell’Adidas e l’altra, prontamente, le dice “dalla al ragazzo che a lui piace di sicuro” riferendosi a me.

Ecco, se in prima battuta questi piccoli e teneri episodi mi aveva sollevato l’umore, a ripensarci ora sorrido ancora più dolcemente ripensando al cuore grande di tanti tunisini e tunisine. Credetemi se vi dico che sono il primo ad essere sorpreso. Dopo mesi di Tunisia, non posso negarlo, tutte quelle piccole cose e quelle grandi differenze che all’inizio suscitavano curiosità iniziavano un po’ a stancare e viverci era diventato faticoso. Sulla Tunisia avevo sentito pareri discordanti: per qualcuno non manca a nessuno, per qualcun altro, invece, la mancanza della Tunisia, o meglio, il Mal di Tunisi si sente eccome. Ecco la mia sorpresa: appartengo alla seconda categoria, contro ogni aspettativa, contro persino le mie, di aspettative.
Penso alla Tunisia quasi ogni giorno, penso allo Stadio del Bardo ed alle volte in cui ci hi fatto jogging, penso ai momenti in cui, al solito Bar Trend, davanti ad un thè con menta guardavo la Coppa d’Africa o, ancora, alle passeggiate nella Medina di Tunisi, che è magica, soprattutto durante il Ramadan, quando la città era praticamente inesistente di giorno e carica di luci e vitalità dopo il tramonto, penso a tutti gli amici che non ho salutato e che vorrei rivedere e potrei continuare a lungo. Il Mal di Tunisi esiste, è reale, è nostalgia di una città che, pur tra mille contraddizioni, ti cattura con il suo inconfondibile carattere di città mediterranea e un po’, anche se non te ne rendi conto, ti ruba un pezzetto di cuore.
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