Media in Tunisia, tra libertà e nuovi strumenti di controllo
I giornalisti tunisini sono davvero liberi? Quali fattori limitano la libertà d’informazione? Chi gestisce le televisioni? Uno sguardo al quadro normativo e ai report di Freedom House e Reporters Sans Frontièrs
“La Rivoluzione ha cambiato la mia vita come giornalista. Prima avevo perfino paura di parlare al telefono e ogni pubblicazione doveva essere approvata dal Ministero dell’Interno (…) Ora posso esprimermi liberamente”. In un’intervista rilasciata all’emittente France 24, la giornalista Rabeb Aloui spiega cosa ha rappresentato per lei la fine della censura in Tunisia, dopo la caduta del regime di Ben Alì nel 2011. Un evento che ha portato con sé non solo i diritti politici, ma anche le libertà civili, tra cui la libertà d’espressione.
Da questo punto di vista, è impossibile negare i traguardi raggiunti dalla giovane democrazia. Basti pensare che nelle classifiche dell’organizzazione internazionale Reporters Sans Frontières (RSF), la Tunisia ha guadagnato decine di posizioni, passando dal 164° posto pre-rivoluzione al 73° posto nel 2021. RSF, che monitora l’andamento della libertà di espressione e d’informazione in 180 Paesi del mondo (in base ad indicatori quali pluralismo, indipendenza dei media, qualità del quadro legislativo e sicurezza dei giornalisti, senza tuttavia esprimersi in merito alla qualità del giornalismo), riconosce che “la libertà di stampa e di informazione sono le conquiste più importanti della rivoluzione tunisina”.
Senza dubbio, il panorama dei media si è trasformato dal 2011 ad oggi. Da un lato, sono stati confiscati giornali, tv e radio che prima erano sotto il controllo della famiglia di Ben Alì. Dall’altro, sono nate nuove realtà editoriali, in un periodo di grande fermento culturale. Inoltre, negli anni la Tunisia si è dotata di un quadro normativo in materia. Il Decreto n. 115 del 2011 riconosce la libertà di stampa e pubblicazione, mentre il Decreto n. 116 ha istituito l’Alta Autorità Indipendente per le Comunicazioni Audiovisive (HAICA), che ha il compito di rilasciare le licenze a radio e tv e di controllare il rispetto dei limiti imposti alle concentrazioni. Anche la Costituzione tunisina (redatta nel 2014) nei suoi articoli 31 e 32 riconosce la libertà di pensiero, di informazione, di pubblicazione, di accesso all’informazione e vieta il controllo preventivo dei media.
Violenze, arresti e querele – Se l’attuale legislazione fornisce gli strumenti per un’adeguata tutela di un diritto fondamentale, diversi fattori sembrano ostacolare, direttamente o indirettamente, in maniera più o meno visibile, la libertà di informazione nel Paese. Nel suo ultimo rapporto sullo stato della democrazia nel mondo, riferito al periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2020, l’organizzazione Freedom House (FH) colloca la Tunisia tra i “Paesi liberi” con un punteggio di 71 su 100. Tuttavia, nella sottocategoria relativa alla libertà di espressione, in risposta alla domanda “Ci sono media liberi e indipendenti?”, il punteggio è solo di 2 su 4.
FH spiega che diversi giornalisti “subiscono pressioni e intimidazioni da parte di ufficiali governativi in relazione al proprio lavoro”. I cronisti che si occupano delle forze di sicurezza o scrivono di manifestazioni e proteste “rimangono particolarmente vulnerabili ad attacchi e arresti”. Si registrano poi diversi casi di giornalisti presi di mira e in alcuni casi condannati alla reclusione, per aver diffuso contenuti “scomodi”. Ad oggi, infatti, per i reati a mezzo stampa sopravvivono ancora disposizioni piuttosto repressive contenute nel codice penale. Anche RSF, pur riconoscendo i passi avanti fatti dalla Tunisia, nel 2021 mantiene il Paese in una fascia arancione ad indicare una “situazione problematica”, a causa degli attacchi verbali rivolti ai giornalisti da parte dei politici di estrema destra, in aumento a partire dalle elezioni del 2019. In questo senso, “il clima generale per i media e i giornalisti – precisa l’organizzazione– è peggiorato in modo significativo”.
Interferenze politiche – Oltre a questi fattori, preoccupa la scarsa trasparenza rispetto alla proprietà editoriale dei mezzi di informazione, apparentemente liberi ma spesso vicini alla politica. Con lo scopo di indagare questa dimensione, Reporters sans frontières, in collaborazione con l’Ong tunisina Alkhatt, ha lanciato l’iniziativa Media Ownership Monitor Tunisia. Uno strumento utile per monitorare l’indipendenza economica e il pluralismo dei media, considerati indicatori del livello di libertà in un Paese, in quanto i media liberi, indipendenti e plurali sono il fondamento di ogni sana democrazia.
Da questo punto di vista, il Paese nordafricano non sembra godere di ottima salute, soprattutto per quanto riguarda il mezzo di informazione preferito dai politici, perché il più utilizzato dai tunisini per informarsi: la televisione. Dal 2011, sono state concesse nuove licenze per spezzare il monopolio di Ben Alì e il panorama televisivo si è diversificato. Ma nonostante i nuovi regolamenti e le tante emittenti, la maggior parte dei canali privati hanno legami diretti o indiretti con partiti o politici. Il che si riflette sulla linea editoriale e quindi sui contenuti proposti al pubblico. È il caso delle emittenti televisive Al Hiwar Ettounsi e Nessma TV, vicine al partito Nidaa tounes, di Hannibal TV e di Janoubiya TV, legate a uomini d’affari con ambizioni politiche. Tra i canali televisivi emersi dopo la rivoluzione, spiccano invece Zitouna TV e Zitouna Hidaya TV, fondate da Oussama Ben Salem, membro del partito islamista moderato Ennahda. RSF ha osservato come queste due televisioni, nate per “riequilibrare un panorama mediatico che consideravano ostile”, abbiano garantito una “copertura elettorale chiaramente schierata a favore di alcuni partiti politici”.
Mentre i casi di censura diretta da parte del Governo sono ormai rari, RSF segnala un rischio concreto per i giornalisti di “essere vittime di pressioni da parte dei proprietari di media con affiliazioni politiche”. Un rischio che, seppure in forma minore, corrono anche giornali e radio. Occorre ricordare che accanto ai media privati, ci sono i mezzi di informazione gestiti direttamente dallo Stato: la televisione pubblica Wataniya e la radio nazionale, l’agenzia di stampa TAP e la casa editrice SNIPE. Inoltre, lo Stato detiene le azioni di diversi media confiscati.
Quale libertà dopo il 25 luglio? Se i report di FH e RSF si riferiscono al 2020, le cronache più recenti raccontano di attacchi ai giornalisti e ai media, con una curiosa cronologia degli eventi. Lo scorso 26 luglio, all’indomani del colpo di forza di Kais Saied, la polizia ha fatto irruzione nella sede dell’emittente Al-Jazeera, a Tunisi, ha ordinato ai giornalisti di allontanarsi, confiscato l’attrezzatura e chiuso gli uffici. Il 29 luglio, Saied ha invece licenziato il direttore della televisione nazionale, Mohamed Lassaad Dahech. A questi episodi, si aggiungono le azioni mirate per silenziare prima Zitouna TV, poi Nessma TV (chiusa il 27 ottobre) e la radio privata al-Quran al-Kareem, utilizzando le normative sulle licenze “come mezzo per controllare ciò che viene detto in televisione e alla radio”, ha denunciato l’organizzazione Committee to Protect Journalists (CPJ).
Inoltre, tra luglio e settembre, si sono registrati nuovi arresti, sequestri di attrezzature e violenze della polizia nei confronti dei giornalisti durante le manifestazioni. Tanto che il 30 settembre, Souhaieb Khayati, a capo dell’ufficio Nord Africa di RSF, ha invitato il nuovo Primo ministro, Najla Bouden, a rispettare gli impegni presi dalla Tunisia in materia di libertà di stampa, indipendenza e pluralismo dei media. “È essenziale per il futuro della giovane democrazia tunisina – si legge nel comunicato – che i giornalisti possano continuare a svolgere il loro ruolo di cane da guardia indipendente informando il pubblico”.
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