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Solidarietà e boicottaggio in Africa a favore dei diritti del popolo palestinese


Giovedì 21 novembre El Teatro, a Tunisi, ha ospitato il dibattito “Solidarietà e boicottaggio in Africa a favore dei diritti del popolo palestinese”, in presenza di Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi, Samar Tlili, coordinatrice del movimento del Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) in Africa, e moderato da Raouf Farrah.

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Quali sono le forme di solidarietà che possiamo adottare per supportare il popolo palestinese? Quali sono gli strumenti giuridici che abbiamo a disposizione? Che ruolo hanno i media indipendenti nell’amplificare la voce dei palestinesi? “Solidarietà e boicottaggio in Africa a favore dei diritti del popolo palestinese” è stata una lunga discussione che si è tenuta giovedì 21 novembre al El Teatro in presenza di Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi, Samar Tlili, coordinatrice del movimento del Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) in Africa, e moderato da Raouf Farrah. Lo scopo è stato quello di pensare insieme strategie e tattiche per rafforzare la solidarietà e il boicottaggio favore del popolo palestinese in un momento in cui l’Africa ha oltrepassato la solidarietà simbolica, sempre molto presente, per arrivare a forme di solidarietà più effettive.

In questo senso, il movimento del Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) gioca un ruolo fondamentale. Francesca Albanese ribadisce che il movimento è stato creato da organizzazioni della società civile palestinese e, con il tempo, è diventato globale comprendendo anche molti ebrei ed israeliani che combattono contro l’apartheid israeliana a fianco dei palestinesi ed “è davvero la forza di cui abbiamo bisogno per rompere il sistema che ha permesso a Israele di diventare la potenza che beneficia dell’impunità internazionale che deriva dai nostri Stati. E ho detto tutti gli Stati, senza eccezioni poiché non c’è nessuno Stato che non sia colpevole di ciò che i palestinesi stanno vivendo oggi. È per questo che dobbiamo parlare di più del movimento BDS, dobbiamo renderlo ancora più popolare perché, dopo 14 mesi di genocidio, il livello di frustrazione tra le persone è elevato e non sanno come aiutare o contribuire. Io ribadisco che la chiave è il BDS che ci ricorda il nostro potere in quanto consumatori, che possiamo decidere di contribuire o meno al business che tiene in vita questo sistema oppressivo di sfruttamento”.

La nascita e gli obiettivi del movimento

Il BDS è nato a seguito di una prima decisione della Corte internazionale di giustizia nel 2004, che ha riconosciuto che il muro che Israele stava costruendo in Palestina era illegale perché era una forma di repressione dell’autodeterminazione. È stato lanciato ufficialmente nel 2005 con il sostegno di circa 170 organizzazioni palestinesi.  Le richieste fondamentali su cui si fonda il movimento sono la fine dell’occupazione e della colonizzazione dei territori palestinesi da parte di Israele, il riconoscimento dei pieni diritti ai cittadini arabi presenti in Israele e il riconoscimento del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi dal 1948 fino ad oggi.

Il BDS opera attraverso tre principali strategie:

  1. Boicottaggio: si tratta di boicottaggio mirato di aziende, compagnie, individui che siano direttamente o indirettamente coinvolti nella violazione dei diritti del popolo palestinese e a supporto dell’occupazione israeliana;
  2. Disinvestimento: prevede il ritiro degli investimenti finanziari da tutti gli enti che traggono beneficio dall’occupazione israeliana o che sono complici delle politiche israeliane, con l’obiettivo di creare un impatto economico significativo su queste aziende.
  3. Sanzioni: possono essere di varia natura e, in particolare, sanzioni economiche, sanzioni diplomatiche, sanzioni militari o accademiche, con lo scopo di isolare ed indebolire Israele a livello internazionale e obbligarlo a fermare la sua politica di occupazione e violazione dei diritti dei palestinesi.

Strategie e movimenti di solidarietà pro Palestina in Africa

Sama Tlili ha proseguito illustrando le varie strategie e i movimenti di solidarietà in Africa:  In Africa c’è uno stretto legame tra i movimenti di liberazione nazionale e la causa palestinese e la loro lotta, legame che deriva da una comune consapevolezza del colonialismo e dell’occupazione che gli Stati africani hanno vissuto. Questo legame è evidente nel documento con cui è stato lanciato il movimento del BDS nel 2005 e in cui si dice che la campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni è ispirata alle lotte contro l’apartheid del Sudafrica.” Il movimento si sta diffondendo rapidamente nel continente africano e ci sono degli esempi recenti che dimostrano la sua efficacia, come quello della Namibia che ha bloccato la nave cargo MV Kathrin, contenente materiale esplosivo e diretto ad Israele e ha rifiutato che entrasse nel suo porto, decisione seguita anche da Angola e Spagna. L’impegno del continente africano è ribadito dalla Corte africana per i diritti dell’uomo e dei popoli e dalla Carta africana che nel preambolo “si impegnano ad eliminare il colonialismo, il neocolonialismo, l’apartheid e il sionismo.”

Nonostante il clima di repressione contro il movimento, Albanese ha ribadito con forza la sua importanza: “In questo momento, dobbiamo aumentare gli sforzi perché la Palestina è ritornata al centro del dibattito globale ed è necessario mettere insieme le forze per creare un fronte popolare congiunto. Quella che sta succedendo in Europa, ossia la criminalizzazione del movimento BDS è assurdo perché rappresenta l’essenza della libertà di espressione, libertà di associazione ed è assurdo che questa avvenga in un sistema come quello occidentale che si professa di essere il custode dei diritti umani”. Grazie ad un movimento globale di solidarietà e la costruzione di una massa critica, la Palestina “che ora è una metafora di ingiustizia, può divenire un esempio di giustizia”.

© Riproduzione riservata


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