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Tunisia al bivio: la fine dell’eccezionalismo? Una conferenza di Fondazione Oasis e CeSi

Diversi esperti si interrogano sul futuro della giovane democrazia, tra deboli equilibri politici e crisi economica con radici profonde. L’incontro si inserisce nel ciclo di conferenze “Orizzonti Mediorientali”

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L’attualità tunisina e la crisi socio-economica crescente, le ultime vicende di politica interna inserite nel contesto della transizione democratica, le sfide da affrontare nel Paese. Questi i temi principali al centro della conferenza “Tunisia al bivio: la fine dell’eccezionalismo?” organizzata lo scorso 10 novembre da Fondazione Oasis e CeSi (Centro Studi Internazionali), per riflettere sul futuro della Tunisia. L’incontro, moderato da Giuseppe Dentice (analista per il desk Nord Africa e Medio Oriente, CeSI), a cui hanno partecipato Michele Brignone (Fondazione Oasis), Claudia Annovi (Junior Fellow per il desk terrorismo e radicalizzazione, CeSI), Arianna Poletti (giornalista freelance in Tunisia), si inserisce nel ciclo di conferenze Orizzonti Mediorientali: Sfide e prospettive in una macro-regione in trasformazione”.

Disuguaglianze territoriali – La conferenza si è aperta con l’intervento di Arianna Poletti che ha restituito una fotografia del Paese, raccontando la crisi economica, particolarmente sentita nelle periferie delle città e nelle aree interne come Sidi Bouzid, Kasserine, Gafsa, Tataouine, Jendouba, Siliana, El Kef, in cui prevale un senso di frustrazione e dove molte rivendicazioni della Rivoluzione sono ancora attuali. “Perché non si è ancora data risposta alle richieste di chi chiedeva pane e lavoro, soprattutto in regioni in cui in teoria la ricchezza c’è, semplicemente non viene redistribuita”. In questo senso, non è possibile comprendere il sentimento di frustrazione senza analizzare le “disuguaglianze territoriali in Tunisia”. Inoltre, è importante raccontare come evolve la riflessione intorno alle crisi economiche e sociali. Oggi, ad esempio, i movimenti sociali hanno una consapevolezza nuova rispetto a questi temi e chiedono chiaramente “redistribuzione, sovranità alimentare, la fine della corruzione”.

Aspettative deluse – Rispetto alle questioni economiche e alle disuguaglianze territoriali, Claudia Annovi ha inserito la crisi attuale nel contesto politico di lungo periodo. Da un lato, infatti, la Tunisia è “l’unico laboratorio democratico che ha avuto successo, almeno da un punto di vista procedurale” con elezioni democratiche, una Costituzione e un Parlamento. Dall’altro, i traguardi raggiunti non sono stati accompagnati da un “effettivo miglioramento tangibile delle condizioni economiche”. Tra le cause, la sopravvivenza del sistema clientelare in vigore durante il regime e che ruotava intorno alla famiglia di Ben Alì e della moglie Leila Trabelsi, che “non è stato smantellato ma si è semplicemente frammentato”. “Sono aumentati gli intermediari, sono aumentate le famiglie di riferimento. Quindi, il sistema sopravvive ancora oggi ed erode anche le possibilità economiche di un entroterra che va ad un’altra velocità”. Non solo un Paese a due velocità, ma anche caratterizzato da una classe politica che non ha saputo gestire la transizione democratica ed è stata incapace di rispondere ai bisogni più pratici e materiali. Il che spiega l’attuale delegittimazione delle principali forze politiche, tra cui Ennahda a Nidaa Tounes.

Il colpo di forza di Saïed – L’analisi di Michele Brignone si è concentrata, invece, sulla figura del presidente della Repubblica tunisino, Kaïs Saïed, che lo scorso 25 luglio, in questo quadro politico e socio-economico, ha congelato le attività del Parlamento e sospeso la Costituzione, concentrando nelle sue mani potere esecutivo e legislativo. Azioni che sembrerebbero minacciare l’impianto democratico costruito negli anni. Nel suo intervento, il Direttore della Fondazione Oasis ha evidenziato il carattere populista del progetto politico di Saïed che, critico verso una costituzione mal congegnata e mal scritta e verso il sistema dei partiti, vorrebbe proporre un “rovesciamento della piramide dei poteri, in una forma di democrazia diretta che è il marchio dei governi populisti”. In quest’ottica, il Presidente della Repubblica tunisina sembra proporsi oggi come “governante esemplare e governante giusto, non tanto come colui che conosce i meccanismi di funzionamento di un’economia complessa, tra l’altro integrata nel sistema mondiale”. Rispetto al rischio di deriva autoritaria dopo dieci anni di transizione democratica, Michele Brugnone ha descritto un Presidente della Repubblica che non sembra nostalgico del regime né un contro-rivoluzionario. Al contrario, Saïed “mette in luce il rimosso della Rivoluzione, quello che si chiedeva e non è avvenuto, quello che poteva essere e non è stato (…) Pretende di incarnare i valori e le dinamiche più autentiche della rivoluzione”.

Le incognite – Come è emerso durante l’incontro, guardando alla composizione dei movimenti che si contrappongono nelle piazze, il Presidente tunisino sembra avere pieno sostegno popolare da parte di un elettorato “rivoluzionario”: c’è la piazza della Rivoluzione, ci sono i giovani e i militanti delle regioni. Tuttavia, nonostante Saïed si presenti come rappresentante del popolo, resta da capire quanto siano reali le sue intenzioni. Rispetto alla questione politica, ad esempio, “Kaïs Saïed ha un programma politico che esclude il Parlamento e che vuole includere dei comitati popolari eletti in varie zone del Paese per delocalizzare il potere e decentralizzarlo – ha spiegato Arianna Poletti – Il punto è capire se lo farà o meno. Per ora sono passati quattro mesi e l’unica voce che si sente è la sua”, nonostante sia stato da poco nominato un nuovo Governo guidato da Néjla Bouden. Mentre rispetto alla questione economico-finanziaria, bisognerà vedere se il Presidente tunisino “avrà le capacità e gli strumenti per tradurre il suo progetto politico in un effettivo piano economico che possa funzionare”, ha spiegato Claudia Annovi. Preoccupa inoltre il rischio di una gestione securitaria del Paese, dato che oggi il Presidente gode dell’appoggio delle forze di sicurezza.

Una dimensione regionale – Oltre all’analisi della politica interna tunisina con uno sguardo al futuro della giovane democrazia, la conferenza è stata anche un’occasione per inserire la Tunisia in una dimensione regionale, indagando il ruolo di alcuni attori che avrebbero favorito il colpo di forza di Saïed. In particolare, Michele Brignone ha fatto riferimento all’influenza di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, da sempre contrari ai grandi movimenti rivoluzionari (sia all’ascesa dei movimenti democratici che all’ascesa dei partiti islamisti) e impegnati a limitare l’influenza di Qatar e Turchia nella Regione. In questo senso, l’ascesa di Saïed sarebbe il tassello mancante per completare il lavoro. Anche in questo caso, però, è importante considerare la complessità della questione ed evitare semplificazioni. “Sarebbe troppo semplice raccontare tutto come un grande Risiko in cui le potenze internazionali spostano le pedine”. In realtà, “ci sono dinamiche e convergenze internazionali e regionali da parte di attori che hanno un peso (a volte superiore a quello dell’Europa), ma che si intrecciano in maniera complessa con dinamiche interne”, ha precisato Brignone. Lo dimostra il fatto che il Presidente tunisino, in passato, non ha incontrato solo rappresentanti di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, ma anche l’emiro del Qatar.

Qui è possibile rivedere la conferenza on line

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