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Tunisia express: Chenini in solitaria

Cronaca di quello che fu in assoluto il primo viaggio in solitaria della mia vita, alla scoperta del grande Sud tunisino approfittando un fine settimana libero dalle lezioni a Tunisi

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10 minuti

Erano molte settimane che stavo pensando di scendere in solitaria nel Sud della Tunisia, un luogo che mi affascinava e che avevo avuto modo di studiare nei minimi dettagli grazie a video su Youtube, libri a tema e articoli vari su Google. Ero arrivato in Tunisia da circa un mese e mezzo, eppure in un tempo apparentemente così lungo, io e i miei compagni di master ci eravamo spinti soltanto qualche giorno a Kairouan (per il Mouled) e nella vicina Sousse, oltre che un paio di gite in giornata ad Hammamet e Nabeul.

Io sono una persona che è abituata ad andare subito all’avventura: mi bastano solo uno o due giorni per prendere la decisione e andare a Sud. Non importa che io sia in Marocco, Tunisia, Turchia, Egitto, Armenia o Uzbekistan, sono sempre stato attratto dal Sud, da quello che c’è sotto di me. Prendendo in prestito l’espressione di Barbarbero del Signore degli Anelli, per me andare a Sud è come andare in discesa. Ho temporeggiato un così lungo tempo in attesa di poter condividere l’avventura con i miei compagni di corso, ma quando ho capito che in loro non c’erano alternative al divano e a Netflix, ho preso la decisione di sfruttare la prima finestra utile di tre giorni e andare all’avventura.

Il villaggio amazigh di Chenini – photo credits Leonardo Orlandi

Il piano era semplice, anche se molto veloce: svegliarmi l’indomani (un venerdì) all’alba, andare alla Gare du Louage di Moncef Bey, prendere il minivan direzione Tataouine, fare un giro attorno alla Piazza del Mercato e recarmi nel vicino villaggio berbero-troglodita di Chenini, che in molti mi hanno descritto come un luogo autentico ed emozionante. Per la seconda notte avrei deciso sul posto, probabilmente avrei fatto tappa sempre a Tataouine per andare ad esplorare alcuni degli ksar lì vicini, le antiche fortificazioni-granai da cui le antiche popolazioni si rifugiavano per sfuggire agli attacchi delle tribù nomadi, tendenzialmente costruite in cima ad una collina, in modo da poter vedere meglio il nemico e potersi predisporre per la difesa. 

Nel tentativo di far scorrere il tempo più velocemente, mi recai a Sidi Bou Said per il classico the ai pinoli settimanale, rimuginando sul piano e sul fatto che quello sarebbe stato il mio primo viaggio in solitaria vero e proprio. Ne avevo fatti degli altri, ma ero in Europa ed ero rimasto solo per uno o due giorni, qui invece mi stavo recando in una zona che fino a qualche anno fa era sconsigliata al turismo, e di cui comunque non se ne sapeva ancora tantissimo, visto che i turisti in Tunisia si limitavano alle solite Tunisi, El Jem, Cartagine e Hammamet. Io no, io volevo di più, volevo capire cosa ci fosse in fondo al Paese, avevo sete di autenticità, di deserto e di spazi sconfinati e, perché no, avevo anche voglia di cambiare aria per qualche giorno. 

L’hotel troglodita Kenza a Chenini – photo credits Leonardo Orlandi

La mattina seguente mi svegliai all’alba, e sotto una fitta pioggia di metà dicembre, mi recai a prendere un taxi, direzione Moncef Bey. Appena arrivato alla gare du Louage, la prima volta in solitaria di quella che sarà una serie infinita, chiedo subito dove si trova il louage per Tataouine. So che è venerdì e che la corsa per Tataouine è molto richiesta (i tunisini si spostano molto durante i fine settimana, vanno a trovare amici e parenti, e trovare un posto su un louage o un bus è spesso un’impresa ardua), e sebbene abbia chiesto a molti, non sono riuscito a trovare la banchina. Dopo oltre mezz’ora di ricerca, condita da un cay (the) nella cafetteria all’interno della stazione, un buon uomo mi indica la direzione per il louage per Tataouine che, a differenza di tutti gli altri, si trova poco distante e fuori dalla stazione. Sotto un diluvio impressionante, riesco a raggiungere la piazzola dei louage per Tataouine, dove ad accogliermi c’è una fila di persone che attendono il proprio posto, tanti, troppi forse per farcela in giornata, considerando che ogni louage ha 7-9 posti a disposizione, e che davanti a me avevo abbastanza gente per riempirne almeno sei o sette. 

Con grande pazienza, cerco di ripararmi dalla pioggia battente che non dà segni di tregua, mentre davanti a me scorrono venditori di baguette farcite, cay, caffè e cianfrusaglie varie, noncuranti dell’acqua. Passa un’ora, due, tre, nel frattempo i louage arrivano, si riempiono in pochi secondi e ripartono, giusto il tempo di una sigaretta per il voiturier. Stavo quasi per desistere e tornare mestamente a casa (o cambiare meta, magari tornando a Kairouan) quando mi sento tirare da dietro la giacca: un signore mi avvisa che è finalmente arrivato il mio turno. Anche se era tardi (mezzogiorno inoltrato) non ci penso due volte, raccolgo lo zaino, ormai zuppo, e salgo a bordo, posizionandomi sul finestrino a destra in fondo. 

Due donne camminano nel villaggio di Chenini – photo credits Leonardo Orlandi

Dopo pochi minuti, finalmente si parte. La pioggia riga i vetri del louage, un vecchio Renault a 9 posti, mentre attorno a noi si vedeva la campagna di Tunisi completamente allagata a seguito delle forti piogge degli ultimi giorni. Dopo due ore circa facciamo pausa pranzo in un’area di sosta appena fuori Kairouan. Per un istante sono quasi tentato di prendere lo zaino e tuffarmi ancora una volta alla visita della città, ma poi mi ricordo che mi aspetta il Sud ed il villaggio di Chenini. L’autista saluta altri colleghi voiturier e i vari passeggeri scendono per scaldarsi attorno alla zona barbecue di un ristorante improvvisato, dalle cui griglie di cottura usciva un invitante odore di carne di capra, manzo e pollo. Immancabili, come tutte le aree di sosta un po’ improvvisate come quella, la classica testa di montone appesa alle sbarre e il banchetto che vende dolcetti e makroud, uno dei prodotti tipici di Kairouan. Dopo la sosta pranzo, il guidatore richiama i passeggeri con un colpo di clacson ed è già tempo di ripartire, visto che ci aspetta un lungo viaggio, almeno altre cinque ore. 

La batteria del mio telefono inizia a scendere pericolosamente sotto al 30%, e sono così costretto a passare il resto del viaggio senza musica e senza vedere nulla in streaming. Lasciata Kairouan mi rendo conto che il paesaggio attorno a me stava cambiando in modo radicale man mano che ci si spingeva più a Sud. Enormi distese di baracche e negozi improvvisati lasciavano spazio a gigantesche piantagioni di ulivo e alberi da frutta, mentre la terra passava gradualmente dal classico color marrone all’ocra, il giallo, l’arancione e il rosso, iniziando a mischiarsi alla sabbia che viene portata da Sud in occasione delle frequenti tempeste di sabbia sahariane. E’ notte fonda quando arriviamo in prossimità di quello che sembra il deserto, anche se di tanto in tanto si attraversa qualche città più o meno grande: davanti a me una distesa di luci e lucine, molta gente in strada, grandi sale da the per soli uomini che fumano la shisha e giocano a carte davanti a una tazza di the o caffè. Nella maggior parte dei casi, quelle cittadine compaiono all’improvviso, e con la stessa rapidità le si attraversano ma subito si ripiomba nel buio della notte, squarciato di tanto in tanto da qualche lampo biblico. In quella situazione rocambolesca, dove tutto ciò che vedo è nuovo eppure così bello e autentico, presi sonno e mi risvegliai alle 9 passate direttamente nella stazione dei louage di Tataouine.

La moschea dei sette dormienti a Chenini – photo credits Leonardo Orlandi

Presa rapidamente la borsa, mi sento chiamato dal clacson da un tassista. Faccio appena in tempo ad assaporare per la prima volta l’aria del sud, poi decido di accettare l’invito e chiedo al tassista se conosce Chenini. Il tipo, un ragazzo che purtroppo non parla né una parola di inglese né di italiano (e io all’epoca non sapevo neanche salutare in francese o in tunisino, il che rende bene l’idea della relativa difficoltà della mia spedizione) mi fa cenno con la testa, indicando il tassametro per il pagamento. 

Attraversiamo rapidamente Tataouine e in pochi minuti siamo fuori, guidando verso il nulla assoluto: non una luce, non un segno di civiltà, fatta eccezione per l’asfalto della strada. Vorrei sottolineare ancora una volta il fatto dell’aria: fin dalla prima boccata fuori dal louage ho sentito qualcosa di diverso. L’aria può sembrare apparentemente identica di luogo in luogo, eppure lì la percepivo in un modo diverso. Sarà stata la sabbia a bordo strada, la polvere in sospensione, il fatto di essere a Sud, ma l’odore era diverso, era un odore “sabbioso”, pesante, particolare, che profumava di deserto. Non ho mai dimenticato quella sensazione, e ancora oggi a distanza di tantissimi anni, ogni volta che mi reco nel Sud della Tunisia sento ancora lo stesso sapore, e può sembrare paradossale, ma non è lo stesso del sud di altri paesi desertici come Egitto, Marocco o le steppe della Turchia anatolica (tutte dai profumi completamente diversi). Quell’attimo fuggente fuori dal louage è stato sufficiente per farmi capire che ero piombato in un’altra epoca, dove c’era la Tunisia più verace. Ancora adesso, se penso alla Tunisia istantaneamente collego il posto a due pensieri: la prima volta in cui mi sono affacciato dalla Terrazza del Cafe Panorama a Tunisi, e quell’aria strana che ho percepito da Tataouine in giù. 

Alba a Chenini – photo credits Leonardo Orlandi

Il tragitto in taxi è tranquillo, il tassista cerca di mettere su un discorso usando parole in francese elementare, ma entrambi troviamo il modo di comunicare e mi lascia il suo numero, l’indomani mi sarebbe servito per tornare indietro. Dopo circa 20 minuti di buio e curve di montagna arriviamo in vista di quello che sembra un piccolo villaggio, qualche luce e un paio di lampioni. Scendo dal taxi e mi trovo catapultato in un posto che non dimenticherò mai: ci sono solo tre luci accese a tentare di rischiarare l’ambiente e il villaggio arroccato nella collina, riconobbi appena le lunghe scale che dalla strada portavano ai livelli superiori della cittadina, fin su una sala da the-ristorante ed il mio albergo, il Kenza. Ad un certo punto mi ricordo che, per risparmiare, avevo prenotato l’opzione in tenda, ma il freddo è siderale e riconosco di non essere partito con abbastanza abiti pesanti. 

Il buio era quasi totale, a malapena vedevo il pezzo di strada davanti a me. Il silenzio era assordante, ma improvvisamente arrivavano delle poderose raffiche di vento che facevano sbattere gli infissi, creando un’atmosfera sinistra, mentre l’aria si riempiva di polvere e sabbia. Iniziai a camminare, ma dopo pochi passi inciampai tra una roccia di quello che non seppi mai fosse la strada o un terreno sterrato. Caddi di faccia, spaccandomi quasi il naso e la testa e rialzandomi a fatica. 

L’interno della moschea dei Sette Dormienti di Chenini – photo credits Leonardo Orlandi

Trenta secondi dopo la caduta, mi accorsi di avere davanti a me una persona, non seppi mai se era un uomo o un jedi, visto che riconobbi a malapena la sua tunica e la barba alla Obi Wan-Kenobi. Il tipo non sembrava camminare, bensì scivolare sopra i levigati pietroni della strada che dal parcheggio portava al villaggio. Quando mi era accanto mi sussurrò un “Aslema” rapidissimo, e senza darmi il tempo di ricambiare il saluto, se ne andò e scomparve nel buio della notte. 

Affamato (avevo saltato sia pranzo che colazione) iniziai ad arrampicarmi sulle scale, in direzione della luce. Chenini è divisa tra la parte vecchia e quella nuova, dove abitano alcune centinaia di persone. E’ un villaggio berbero troglodita, ovvero le tribù che l’hanno fondata hanno deciso di scavare le loro abitazioni e i magazzini nella nuda roccia, in modo da sfuggire al caldo soffocante dell’estate. Chenini vive di turismo (qui è presente la bellissima Moschea dei Sette Dormienti, nonché il villaggio stesso, che è un’attrazione di per sé), di piccola agricoltura e di allevamento. Salendo le scale iniziai a sentire le inalazioni degli escrementi lasciati dagli animali da soma, i buoi e le galline, il cui suono faceva compagnia a quello del vento furioso. In quella sensazione particolare di vento, buio, odori vari e sabbia, riuscìì a raggiungere il Kenza Hotel, dove l’omone alla reception mi indicò subito la via per la mia stanza (quindi non avrei dormito in tenda). 

La moschea dei sette dormienti di Chenini da un’altra prospettiva – photo credits Leonardo Orlandi

Il Kenza posso dire è uno degli alberghi più particolari in cui abbia mai dormito: interamente scavato nella roccia, da cui sono state ricavate sia delle stanze per 2 o 3 persone che degli stanzoni da 8 e da 10 (devo dire, per niente umidi e dalla temperatura interna quasi perfetta, né troppo caldo e né troppo freddo) in cui è possibile respirare, annusare e toccare a tutto tondo la vera Tunisia. Fin dai primi istanti ho capito che Chenini sarebbe stato un posto che avrebbe conquistato il mio cuore (e fu così, sono tornato altre 5 volte) e che il sud della Tunisia, nel giro di poche ore, aveva fatto centro e mi aveva colpito e affondato. Preso possesso della mia stanza iniziai a stendere le mie cose e a mangiare i biscotti e le merendine varie che avevo comprato durante la sosta a Kairouan nel primo pomeriggio, affacciandomi sulla collina dov’è scavato il villaggio di Chenini, illuminato tenuamente dalla luce di un grande faro posto in cima della moschea bianca. Fu l’inizio di una piccola ma indimenticabile avventura nel Sud della Tunisia, la prima di tantissime altre. Quello che accadde e che vidi dopo sarà oggetto di un nuovo articolo. 

In questa prima storia, in cui vi ho raccontato un piccolo spazzato di vita tunisina, fatto di odori, aromi, quotidianità come quella dei viaggi in louage sulle lunghe distanze, ho cercato di farvi immergere in questa strana e meravigliosa realtà. La Tunisia già di per sé non è un Paese che viene scelto come priorità dai turisti, quindi va da sé che il Sud sia ancora più particolare e unico. Ho cercato di farvi immergere nelle sensazioni del viaggiatore alle “prime/seconde armi” che ero allora, in quello che potrei definire un piccolo viaggio nel tempo, passando dalla grande e caotica Tunisi a un piccolo villaggio berbero nell’estremo Sud del paese, un paese che ha tanto da offrire e, come ho cercato di farvi capire in più occasioni, da “respirare”. Visitate il sud della Tunisia, provate ad annusare l’aria del Sud. Scegliete anche voi, come me e come Barbalbero, di andare in discesa. 

© Riproduzione riservata 

Chenini – photo credits Leonardo Orlandi


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