Un’amicizia italo – tunisina ne Sul corno del rinoceronte di Francesca Bellino
E’ una storia d’amicizia tra le due sponde del Mediterraneo, l’Italia e la Tunisia, il romanzo di Francesca Bellino “Sul corno del rinoceronte” (L’Asino d’oro edizioni, collana Omero, pag 250), che l’autrice ha voluto dedicare a tutte quelle donne che partono per amore. Ma non è il solo tema affrontato da Bellino, scrittrice, giornalista e reporter di viaggio: si riflette sulla condizione delle donne, sulla differente mobilità tra la sponda nord e la sponda sud del Mediterraneo, sulla Tunisia alle prese con i cambiamenti post Rivoluzione, sull’incontro con l’Altro che mette in crisi la nostra stessa identità. Protagoniste due giovani ragazze, una italiana e una tunisina, che si conoscono per caso e piano piano instaurano una complice amicizia che le porterà a decidere di diventare coinquiline.
Eppure non potrebbero essere più diverse: Maria, da tutti chiamata Mary, antropologa impaziente di entrare in contatto con nuove culture, modaiola, sempre attenta a curare il suo look, colleziona un uomo dopo l’altro e fa parte della generazione che «si vergogna solo di aver vergogna»; Meriem, emigrata per amore, trasferitasi in Italia per seguire l’uomo di cui si è innamorata, andando contro la sua stessa famiglia. Entrambe finiscono per assorbire una parte della cultura dell’amica: Mary cede, lasciandosi fare la ceretta alla araba, cerca di vivere con più calma; Meriem, che ormai ha visto infrangersi il suo sogno d’amore, assapora i momenti di privacy che riesce a ritagliarsi, divora un libro dopo l’altro, comincia ad uscire per gli aperitivi e a partecipare alla vita del Pigneto, il quartiere dove si sono trasferite. Una storia a specchio, dove si riflettono anche i Paesi delle due amiche, un omaggio della scrittrice alle donne hanno il coraggio di partire e allo stesso tempo affermare il diritto al viaggio. Un diritto spesso negato che i tunisini conoscono bene, viste le difficoltà nel richiedere il “visa”, il visto.
Sì, perché se si nasce in Europa o in America si può viaggiare, partire per incontrare le persone che ami, o per cercare un lavoro, o per imparare nuove lingue, ma se si nasce in Eritrea, in Somalia, in Egitto, in Palestina, in Siria, in Tunisia, si è imprigionati nella propria terra. Non solo non si può partire per piacere, ma non si può scegliere di costruire un futuro altrove. In Africa e in Medio Oriente non ci sono solo i dittatori a limitare le libertà, ma anche i rapporti familiari, la cultura tradizionale, e poi i visti e i confini. Le frontiere sono alte e invalicabili, e anche la fuga su un barcone non permette sempre di superarle, perché c’è il rischio di naufragare in mare aperto o di incontrare qualcuno dall’altra parte del Mediterraneo pronto a respingere chi arriva con la sua valigia piena di sogni.
La storia si dipana tra il 2010 e il 2011: a fare da sfondo a quest’amicizia femminile, l’Italia in crisi – economica ed identitaria – e la Tunisia della primavera araba. Meriem a un certo punto decide che non ha più senso restare in Italia e così parte per la Tunisia, accompagnata da Mary, che in questo viaggio comincia a prendere coscienza dei suoi limiti sia nel lavoro antropologico che nelle relazioni sentimentali.
Come si fa a spogliarsi dello sguardo eurocentrico? Come si fa ad andare incontro agli altri? Come si fa a guardare le cose con oggettività? Come si fa ad essere onesti? Come si fa a non tradire le comunità con cui si entra in contatto e la propria? Come si può liberare la vista?
Qualche mese dopo, la doccia fredda: Meriem é morta. Il romanzo si apre con Mary che, arrivata a Tunisi il 15 gennaio 2011, un giorno dopo la cacciata del dittatore Zine El Abidine Ben Ali, il primo giorno di libertà per il paese, “una nuova vita per la Tunisia e forse anche per la protagonista”, cerca di raggiungere Kairouan per partecipare al funerale. Il lettore segue Mary nel suo viaggio verso Kairouan, viaggio in cui attraverso diversi flashback risale all’intera vicenda. Mary trova un Paese completamente diverso, attraversato dai moti di rivolta della cosiddetta primavera araba, in cui
lo sguardo del ragazzo malmenato dai poliziotti parlava di rabbia trasformata in coraggio. (…) Il suo era lo sguardo di chi ha reagito. Di chi è passato attraverso la paralisi del nulla e ne è uscito. Di chi ha vinto il timore di esprimere i suoi desideri e ha trovato la forza di affrontare il potere per visualizzare il futuro e dire basta alla fame, alla corruzione e al soffocamento dell’identità
Mary non riuscirà a partecipare al funerale e tornerà a casa delusa e amareggiata. Dovrà mettere da parte i sogni per il dottorato, in quanto l’Università non ha fondi sufficienti, in un’Italia che “si sta spegnendo” e in cui «si diffonde la cultura dello stordimento». Troverà lavoro come operatrice per occuparsi della cosiddetta «emergenza nord Africa» e lì farà una scoperta che lascerà a bocca aperta non solo lei, ma anche i lettori.
Un libro da leggere, un invito ad andare oltre le proprie frontiere, non solo fisiche, ma anche mentali, un invito a gettare ponti tra le due sponde del Mediterraneo.
Il libro è stato recentemente tradotto anche in arabo: è acquistabile qui.
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